Il grande scisma d’occidente  La lezione da trarne

Non tratteremo in maniera esauriente questo periodo della storia ecclesiastica[1], ma lo riassumeremo allo scopo di trarne una lezione per  noi, che viviamo in un periodo di crisi nella Chiesa analogo a quello del Grande Scisma d’Occidente.

 

La “cattività” avignonese del Papato (1309-1377)

Alla morte di papa Gregorio XI (27 marzo 1378) la sede pontificia era tornata, dopo settanta anni, da Avignone a Roma da appena un anno. La situazione della Chiesa era preoccupante a causa dell’ indebolimento dell’autorità del Papato.

Infatti, dopo lo scontro tra papa Bonifacio VIII e Filippo il Bello re di Francia nel 1305 era stato eletto Papa, col nome di Clemente V, il francese Bertrand de Got, arcivescovo di Bordeaux, uomo debole ed in balìa della prepotenza del re di Francia, il quale fece in modo che la sede papale fosse trasferita da Roma ad Avignone, dando inizio a quel triste periodo noto come “cattività avignonese” (contro il quale si batterono S. Brigida di Svezia e S. Caterina da Siena) durato sino al 1377, e durante il quale la Chiesa sembrò privata (parzialmente e pro tempore) della nota della Cattolicità o universalità con l’apparire infeudata ad una sola Nazione con forti velleità universalistiche, sciovinistiche[2].

Né vi erano solo disordini disciplinari e di governo nella Chiesa, ma vi erano anche alcune deviazioni dottrinali, che possono eccezionalmente introdursi nell’insegnamento non infallibile dei Papi, senza con ciò inficiare il dogma dell’infallibilità pontificia né il primato del Papa[3].

Infatti Clemente V annullò la Bolla di Bonifacio VIII Clericis laicos e alcune parti della Bolla Unam Sanctam del medesimo Bonifacio VIII ed inoltre canonizzò, in polemica con Bonifacio, Celestino V, il quale da alcuni veniva considerato il vero Papa forzato ad abdicare, mentre Bonifacio sarebbe stato un usurpatore (proprio come oggi qualcuno ritiene vero Papa Benedetto XVI costretto ad abdicare e Francesco I un usurpatore).

Il successore di Clemente V fu Giovanni XXII (1316-1334), che, come dottore privato, sosteneva la tesi teologicamente erronea secondo cui le anime dei giusti non godono la Visione Beatifica dopo la morte ma solo dopo il giudizio universale, tesi difesa anche dal cardinale Jacques Fournier che, però, divenuto suo successore (1334-1342) col nome di papa Benedetto XII[4], la condannò con la costituzione dogmatica Benedictus Deus (1336, D. 530).

L’ortodossia teologica dei Papi avignonesi (che son considerati dalla Chiesa veri Papi) non brillava certamente, ma ciò non deve portarci a negare il primato del Papa né la sua infallibilità alle condizioni definite dal Concilio Vaticano I né l’ indefettibilità del Papato. Il Concilio Vaticano I, infatti, ha definito (DB 1839) che se il Papa in quanto Papa (“ex cathedra Petri”), e non in quanto dottore privato definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede o la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza, è infallibile.

 

I prodromi dello scisma

Per risolvere il problema dei rapporti tra re/Papa Jean de Jandun e Marsilio da Padova compilarono il Defensor pacis sostenendo la superiorità dell’imperatore (oltre che del Concilio) sul Papa (Gallicanesimo politico) e Guglielmo di Occam radicalizzò ed estese tale tesi alla Chiesa, teorizzando la superiorità del Concilio sul Papa (Conciliarismo teologico).

Purtroppo la teoria conciliarista fu sottoscritta, nel dicembre 1352,  anche dal cardinale avignonese Stefano Aubert durante il conclave che lo elesse Papa col nome di Innocenzo VI (1352-1362), dichiarandola, però, nulla soltanto sei mesi dopo la sua elezione. Anche qui non si può negare una certa deficienza di purezza dottrinale nei Papi di quell’epoca[5].

 

Il pretesto dello scisma

Alla morte di Gregorio XI il  conclave finalmente si tenne a Roma nel 1378, ma siccome la maggioranza dei cardinali era francese (11 su 16) ci si aspettava e si temeva l’elezione ancora di un Papa francese, mentre il popolo romano reclamava un papa romano o perlomeno italiano.

I cardinali riuniti in conclave, sotto la pressione della massa agitata del popolo romano, l’8 aprile 1378 elessero Papa (in maniera non del tutto scevra da timore e quindi non del tutto canonicamente regolare ed ineccepibile) l’arcivescovo di Bari Bartolomeo Prignano natio di Napoli, che prese il nome di Urbano VI (1378-1389).

La sua elezione non era stata ancora annunziata quando la folla irruppe nelle sale del conclave per timore che fosse stato eletto un francese; i cardinali si dettero alla fuga, ma i romani si tranquillizzarono poiché era stato eletto un italiano, anche se non natio di Roma. Anche qui si può notare facilmente come lo svolgimento del conclave non è stato il più rigorosamente canonico e legale possibile, ma la sua accettazione ha convalidato o sanato in radice ogni dubbio d’ illegalità (cfr. nota n. 13).

Il giorno seguente (9 aprile) Urbano VI fu intronizzato e venne incoronato il 18 aprile.

I cardinali assistettero alla cerimonia di incoronazione e parteciparono all’attività pastorale del nuovo Papa. Quindi è pacifico che i cardinali lo avevano riconosciuto come Papa: anche se l’elezione dell’8 aprile fosse stata fatta sotto il timore del popolo romano e dunque in se stessa non fosse del tutto libera da pressioni violente esterne[6], tuttavia l’ atteggiamento successivo dei cardinali la riconosceva, la convalidava, la sanava[7] e l’interpretava praticamente come canonicamente valida.

Allo stesso modo anche se l’ elezione canonica di Alessandro VI (un simoniaco che voleva non  il bene della Chiesa, ma solo il bene materiale della sua famiglia) o di Paolo VI (filomodernista) ha avuto degli impedimenti (volontà oggettiva di non fare il bene della Chiesa), il riconoscimento di Alessandro VI/ Paolo VI come Papa da parte della Chiesa li ha resi da Papi dubbi a Papi indubitati. 

Infatti in caso di dubbio sull’ elezione di un Papa o sul fatto che sia veramente Papa poiché non ortodosso  o non correttamente e legittimamente eletto, la soluzione data dalla sana teologia è che “l’ accettazione pacifica di un Papa da parte di tutta la Chiesa è il segno e l’effetto infallibile di una elezione e di un pontificato validi[8].  

Purtroppo Urbano VI procedette con un rigore talmente eccessivo[9] per reprimere gli abusi che allora affliggevano la Chiesa che i cardinali francesi (presso i quali soprattutto si era introdotto lo spirito del Conciliarismo gallicano e che S. Caterina chiamava “dimoni incarnati”) fuggirono a Napoli e di lì scomunicarono il Papa dichiarandolo decaduto[10]. Era l’inizio di una serie di sbagli che a partire da un errore teologico (superiorità del Concilio sul Papa) porteranno ad una situazione catastrofica nella Chiesa (tre Papi contemporanei, che presumono tutti e tre di essere il vero e unico Vicario di Cristo).

Poi a Fondi i cardinali francesi indissero un conclave illegale (come illegale è la destituzione del Papa, che non ha superiori su questa terra e non può essere deposto da nessuno e neppure dal Concilio, che è inferiore al Papa come il corpo è inferiore al Capo e il gregge al Pastore) ed elessero un antipapa, il quale prese il nome di Clemente VII[11], adducendo come pretesto che l’ elezione di Urbano VI era stata forzata dal popolo romano e quindi invalida, mentre, invece, in un primo tempo essi l’avevano accettata pacificamente e quindi in ogni caso convalidata o sanata in radice (cfr. nota n. 17).

Clemente VII pose la sua residenza ad Avignone e aprì una nuova Curia formata da 13 cardinali francesi. Così la Cristianità si divise in due parti: la romana o urbaniana e l’avignonese o clementina, che, pur essendo illegittima, ottenne un forte seguito politico: la Francia, il regno di Napoli, la Savoia, la Spagna, la Sicilia, la Scozia e alcuni territori della Germania meridionale.

Papa Urbano VI rispose scomunicando l’antipapa Clemente VII.

Nasceva così il Grande Scisma d’Occidente che sarebbe durato quasi 40 anni (1378-1417).

Sei cardinali del Papa romano Urbano VI suggerirono al re di Napoli Carlo III di prendere prigioniero il Papa e di metterlo sotto cautela poiché malato di mente, ma il Papa lo seppe e fece giustiziare i cardinali (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 65).

 

Il Conciliarismo prende piede

La dottrina del primato del Papa e della costituzione monarchica della Chiesa vacillava sempre più e il Conciliarismo divenne dottrina quasi comune di quell’epoca tristissima. Infatti la teologia si dette da fare per il ristabilimento dell’unità ecclesiastica. L’Università di Parigi, “che si era assunta i compiti del magistero ordinario” (H. Jedin, Storia della Chiesa., Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2,  p. 199), nel 1381, con i due professori tedeschi Enrico di Langestein e Corrado di Gelnhausen, raccomandò la convocazione di un Concilio generale, che secondo loro era superiore al Papa, per dirimere la situazione, mentre la complicò ulteriormente.

Alla morte del Papa romano si sperava che i cardinali fedeli a lui avrebbero riconosciuto, mediante una convalidazione o sanatio in radice[12], come Papa legittimo l’ antipapa avignonese e viceversa alla morte dell’antipapa avignonese si sperava che i cardinali riconoscessero il Papa romano e la situazione si sarebbe convalidata praticamente (cfr. nota n. 17). Ma le cose andarono diversamente ancora per altri tre Papi romani (Bonifacio IX, 1389-1404; Innocenzo VII, 1404-1406; Gregorio XII, 1406-1415) ed un altro antipapa avignonese (Benedetto XIII, 1394-1423).

 

Il conciliabolo di Pisa

Gregorio XII era stato eletto soprattutto perché fautore dell’unità, ma per vari motivi deluse le aspettative dei suoi elettori così che la maggioranza dei cardinali romani nel 1408 si staccarono dall’ obbedienza al Papa di Roma (Gregorio XII) proprio mentre i cardinali avignonesi si staccavano dall’ obbedienza all’ antipapa Benedetto XIII. I 13 cardinali romani e la curia avignonese si radunarono a Livorno nel giugno 1408 e decisero, come se la Santa Sede fosse vacante ed essi i veri reggitori della Chiesa, di convocare un Concilio universale a Pisa per il 25 marzo del 1409.

Naturalmente il conciliabolo (tale perché senza Papa) di Pisa fu dominato  dalla tesi conciliarista e in base alla ipotesi teorica (del tutto improbabile e per nulla certa) del Papa eretico[13] depose sia il Papa (Gregorio XII) che l’antipapa (Benedetto XIII) come eretici e scismatici notori  il 5 giugno del 1409 ed elesse un nuovo antipapa il 26 giugno 1409, che prese il nome di Adriano V (1409-1410). Così si ebbero tre Papi, di cui due antipapi e un vero Papa.

“Il tentativo di ristabilire l’unità della Chiesa mediante un Concilio terminò senza successo” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 101). Anzi peggiorò notevolmente la situazione.

 

Il Concilio di Costanza

Alla morte dell’antipapa pisano Adriano V (1410) era stato eletto un altro antipapa pisano col nome di Giovanni XXIII (mentre permanevano il vero Papa romano Gregorio XII e l’altro antipapa avignonese Benedetto XIII).

Intanto il re d’Ungheria Sigismondo, eletto re tedesco nel 1411 e al quale importava la cessazione dello scisma anche per poter essere incoronato imperatore a Roma, quale protettore del Papato intervenne pesantemente nella questione dello scisma colla buona intenzione di risolvere la crisi che travagliava la Chiesa e l’Europa intera[14]: “La politica determinò lo sviluppo degli affari della Chiesa” (H. Jedin, Storia della Chiesa., Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2,  p. 196).

Il re Sigismondo spinse fortemente l’antipapa pisano Giovanni XXIII ad indire un Concilio ecumenico a Costanza per il 1° novembre del 1414. Giovanni stesso venne a Costanza con l’intenzione di presiedere un Concilio, convocato materialmente da un antipapa e indetto formalmente da un re.

Durante lo svolgimento del Concilio, però, si tentò di spingere alle dimissioni tutti e tre i “Papi” (il vero Papa romano e i due antipapi avignonese e pisano) senza porsi neppure questa volta, come già a Pisa, il problema che uno dei tre doveva essere il papa legittimo.

Il 3 marzo del 1414 Giovanni XXIII aveva promesso di abdicare, ma nella notte del 20 marzo, spaventato dell’ostilità dei membri del Concilio e temendo la violenza del re tedesco, fuggì da Costanza travestito. Egli avrebbe voluto sciogliere il Concilio, ma re Sigismondo riuscì a farlo imprigionare e a far aprire il processo per la sua destituzione. Qui è addirittura il re che prende il posto del Concilio e si ritiene superiore ad un Papa presunto tale, che viene deposto – si badi – in quanto Papa inadempiente e non in quanto anti-papa.

Il Concilio senza il  “Papa” (che era fuggito) si fece forte di sé e dell’aiuto del re e continuò anche senza Papa (o meglio, antipapa) per ricreare l’unità della Chiesa con questa motivazione: “il Concilio ha la sua potestas direttamente da Cristo. Quindi anche il Papa deve obbedienza alla potestas Concilii. Perciò ogni fedele, fosse anche il Papa, che si oppone a una decisione conciliare deve essere punito” (G. Alberigo, Storia dei Concili Ecumenici, Brescia, Queriniana, 1990, p. 226).

Come si vede, il Concilio di Costanza agì secondo la falsa dottrina del Conciliarismo mitigato (ripreso ed edulcorato ulteriormente con la “collegialità” dal Vaticano II).

Il 29 maggio il Concilio depose il Papa o meglio l’antipapa pisano Giovanni XXIII, che accettò obtorto collo la decisione giuridica conciliare sotto la pressione del re Sigismondo e passò il resto della sua vita a Firenze con il titolo cardinalizio, sottomettendosi poi a Martino V.

Inoltre il Concilio vietò, nella XII sessione, ogni elezione del Papa fatta senza il consenso del Concilio (Conciliorum Oecomenicorum Decreta 416, Istituto Scienze Religiose, Bologna, III ed, 1973).

Il vero Papa, Gregorio XII, non pose resistenza alla sua destituzione, ma “non poteva andare ad un Concilio convocato da Giovanni XXIII; era necessario che egli stesso lo convocasse e questo diritto gli fu riconosciuto dal Concilio[15] e così il 4 luglio il suo cardinale Giovanni Dominici indisse il Concilio e subito dopo annunciò il ritiro del proprio Papa” (H. Jedin, Storia della Chiesa, Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2,  p. 202) nella XIV sessione il 4 luglio 1415 (COD 421, Istituto Scienze Religiose, Bologna, III ed, 1973). Implicitamente il Concilio riconosceva così che il Papa rimosso era il vero Papa e che tutta la serie dei pontefici romani succeduti a Urbano V era legittima.

Il Concilio di Costanza (1414-1418) non voleva abolire il Papato, come qualcuno ha scritto, ma certamente ne voleva limitare e diminuire il prestigio ed anche il Primato; lo stesso avverrà al Concilio di Basilea del 1431 (cfr. G. Alberigo, Storia dei Concili Ecumenici, Brescia, Queriniana, 1990, p. 228).

L’antipapa avignonese Benedetto XIII venne deposto dal Concilio di Costanza in quanto eretico nella sessione XXXVII il 26 luglio del 1417 (COD 437), ma egli non accettò la decisione del Concilio e rimasto senza seguito si ritirò a fare il “papa” privato a Peñiscola vicino a Valencia, ove morì antipapa impenitente nel 1423.

Il 18 ottobre del 1417 morì il vero Papa Gregorio XII, che il Concilio aveva nominato legatus a latere della Marca d’Ancona, e la Sede apostolica restò vacante finché l’11 novembre del 1417 a Costanza venne eletto un unico Papa “dal collegio cardinalizio e dai sei rappresentanti delle cinque nazioni lì presenti” (H. Jedin, Storia della Chiesa, Milano, Jaca Book, 1977 ss., vol. V/2, p. 203): il cardinale Oddo Colonna che prese il nome di Martino V.

Così ebbe fine il Grande Scisma soprattutto per l’ingerenza del potere politico negli affari ecclesiastici, il che non è in sé corretto da un punto di vista giuridico e teologico, ma de facto et per accidens  sistemò, convalidò e sanò una situazione di crisi (cfr. nota n. 19) cosicché la Chiesa ha riconosciuto la validità di questi atti pur essendo in sé non perfettamente a norma di legge canonica e di dottrina dogmatica. La Chiesa è anche una società giuridica composta di uomini e come tale, con un po’ di buon senso e di spirito storico e giuridico, sa prender atto dello stato di fatto che si viene a creare nella sua storia.

 

Il Concilio ecumenico di Basilea

A partire dalle tendenze conciliariste, recepite dal Concilio ecumenico di  Costanza, si aprì il XVIII Concilio ecumenico di Basilea (1431-1437) in cui “il conflitto tra il primato del Papa e il Conciliarismo era inevitabile” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 113). Siccome non era presente nessun Vescovo ma solo i loro rappresentanti e i dottori in teologia e in diritto canonico, il papa Eugenio IV (1431-1447), successore di Martino V, il 18 dicembre del 1431 sciolse il Concilio, ma il Concilio, imbevuto di teorie conciliariste, si rifiutò di obbedire, anzi addirittura si riaprì sine Papa,  intimò al Papa di abrogare lo scioglimento e citò il Pontefice perché rendesse conto di tale “abuso”. Il conflitto tra Papa e Concilio durò due anni (1431-1433), ma alla fine il Papa, pressato da gravi problemi a Roma e in Italia, cedette.

Il 15 dicembre del 1433 papa Eugenio IV ritirò il decreto di scioglimento e dichiarò il Concilio di Basilea come legittimo XVII Concilio ecumenico della Chiesa.

Nel frattempo il Concilio di Basilea aveva cominciato a mettere in pratica la teoria della superiorità del Concilio sul Papa e si stabilì come supremo potere nella Chiesa al di sopra di papa Eugenio IV.

Basilea fu soprattutto un Concilio di teologi e canonisti, i Vescovi furono meno di un decimo dei partecipanti e il Papa era ritenuto del tutto contingente alla vita del Concilio e della Chiesa.

Nel 1436 avvenne una seconda rottura e questa volta definitiva tra Papa e Concilio riguardo al luogo in cui avrebbe dovuto continuare il Concilio iniziato a Basilea. Il Concilio e i conciliaristi, sotto la pressione del re di Francia, del cardinale francese Luigi d’Aleman e dei suoi seguaci volevano continuarlo a Basilea o ad Avignone, mentre papa Eugenio IV, memore della “cattività avignonese” del Papato optava per Ferrara, gradita ai greci che avevano chiesto trattative per l’unione. Dopo lunghe tergiversazioni il 18 settembre 1438 il Papa trasferì il Concilio da Basilea a Ferrara, ma la maggioranza dei teologi e dei Vescovi rimase a Basilea. Qui i conciliaristi “dichiararono la superiorità del Concilio sul Papa e il 25 giugno 1439  deposero come eretico papa Eugenio IV ed elessero un altro Papa [antipapa] che prese il nome di Felice V. Il medesimo Conciliarismo che aveva aiutato a Costanza a ricomporre il grande scisma, ne provocò un altro a Basilea” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 117).

 

Il XVII Concilio ecumenico continua a Ferrara-Firenze (1438-1445)

Nel frattempo la posizione di papa Eugenio IV si era rafforzata poiché i Greci scismatici avevano accettato di partecipare al Concilio di Ferrara (9 aprile 1438 – 15 gennaio 1439) per ricomporre l’unione con la Chiesa e sotto il Papa. Per bisogno di sovvenzioni economiche, il Papa cogliendo il pretesto della peste spostò il Concilio da Ferrara a Firenze il 16 gennaio 1439.

Al Concilio di Firenze (16 gennaio 1439 – 24 aprile 1442) si discusse sul Primato del Papa e si riaffermò che “come successore di S. Pietro e Vicario di Cristo è il Capo della Chiesa intera e del Concilio ecumenico” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 118).

Grazie a questa dichiarazione e alla riunione dei Greci scismatici detti Ortodossi con il Papato, papa Eugenio IV riprese forza sul Concilio di Basilea (che era restato colà anche dopo la convocazione del Concilio di Ferrara-Firenze), ma non aveva ancora vinto l’errore  conciliarista. Infatti Francia e Germania appoggiavano le teorie conciliariste del Concilio di Basilea, divenuto un conciliabolo il 9 aprile 1438 quando non aveva voluto riconoscere il Concilio convocato dal Papa e si era autoconvocato ancora a Basilea sine Papa. Il conciliabolo di Basilea riprendeva e riconfermava l’errore conciliarista della superiorità del Concilio sul Papa (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 120).

Il cardinal Giovanni de Torquemada nella sua Summa de Ecclesia ribadì il Primato del Papa, ma la teoria conciliarista non aveva ancora ricevuto il colpo di grazia. Per questo non bastavano i soli teologi, occorreva che il Papa oltre a ribadire la dottrina del Primato di Pietro compisse una riforma della Chiesa, la quale aveva fortemente risentito di tutti questi avvenimenti iniziatisi col Papato avignonese circa due secoli prima.

Purtroppo la situazione non permetteva di imboccare “l’unica via atta realmente a scalzare il Conciliarismo in verbis et in factis, quella cioè d’iniziare con tutta serietà la vera riforma della Chiesa (come farà il Concilio di Trento)” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 122). Eugenio IV, però, sia a Firenze sia poi a Roma, diede inizio alla riforma degli Ordini religiosi e del clero.

 

Il XVIII Concilio ecumenico Lateranense V a Roma (1512-1517)

Il 19 aprile del 1512 papa Giulio II convocò il 18° Concilio ecumenico della Chiesa (dopo del quale vi saranno solo il Tridentino dal 1545 al 1563, il Vaticano I dal 1869 al 1870 e il Vaticano II dal 1962 al 1965) detto Lateranense V.

Questo Concilio si tenne a Roma per prendere le distanze dai Concili “conciliaristi” di Costanza e Basilea. Infatti esso “venne tenuto non solo a Roma, ma sotto la presidenza del Papa, fu frequentato quasi esclusivamente da Vescovi (non da teologi e canonisti). Il suo programma fu fissato dal Papa, i funzionari furono nominati da lui. I suoi Decreti ebbero forma di Bolle papali e non di Documenti conciliari/[sti]” (H. Jedin, Breve storia dei concili, Brescia, Morcelliana, 1983, VI ed., p. 123).

Tuttavia mancava la buona volontà di tradurre in pratica i Decreti del Concilio. Leone X, succeduto a Giulio II, non era un Papa riformatore come lo saranno quelli del Tridentino e Pio IX nel Vaticano I. Perciò quando si chiuse il V Concilio Lateranense (16 marzo 1517) la situazione della Chiesa restava invariata e il terreno era propizio alla pseudo-riforma di Martin Lutero, che il 31 ottobre del 1517 affiggeva le sue 95 tesi protestantiche sul portone della cattedrale di Wittemberg. Occorrerà attendere il 1545-1563 quando con il XIX Concilio ecumenico di Trento non solo si riaffermerà la verità, ma la si vivrà in maniera coerente come fece Gesù che “cominciò a fare e a insegnare”.

 

La lezione del Grande Scisma d’Occidente

Lo studio della “cattività avignonese” del Papato e del Grande Scisma d’Occidente che ne fu la conseguenza può risultare molto utile per noi che viviamo un periodo di profonda crisi nella Chiesa.

Il pontificato di Francesco I sta gettando ancor più dei precedenti pontificati conciliari e postconciliari le coscienze dei cattolici fedeli in uno stato di dubbio, di smarrimento, di sospetto. È un fatto che non può essere negato e che porta alcuni a soluzioni estreme.

In particolare egli sembra voler attuare pienamente la “collegialità episcopale” proposta “pastoralmente” dal Vaticano II (v. Lumen Gentium 22), la quale è una forma più sfumata di “Conciliarismo”, quale fu insegnato ed attuato dal Concilio di  Costanza/Basilea) anche qui non infallibilmente).

Non dobbiamo commettere gli stessi errori che furono commessi allora e particolarmente:

1°) l’errore di chi, pur essendo inferiore al Papa come il Concilio e non avendo nessun potere su di lui, lo giudica e lo depone dichiarandolo non-Papa; 2°) e, di contro, l’ adulazione e il servilismo di chi obbedisce ad ordini cattivi o illeciti, che possono esser dati anche dall’Autorità ecclesiastica[16], come è avvenuto storicamente.

Per evitare il primo errore basta ricordare la seguente verità di fede:

- Gesù vuole che la sua Chiesa sia governata da Pietro e dai suoi successori “ogni giorno sino alla fine del mondo”, con una catena apostolica mai interrotta (successione apostolica o Apostolicità della Chiesa). Ora se Cristo ha voluto stabilire la struttura della Sua Chiesa  in questo modo (Una, Santa, Cattolica e Apostolica), non si capisce come oggi voglia Lui stesso governarLa per mezzo secolo senza Papi, supplendo e rimpiazzando il Papato poiché non ci sarebbero più  Papi da oltre cinquanta anni. Ma allora il volere di Cristo è stato vanificato? Le porte dell’inferno hanno prevalso? La Chiesa da Lui fondata ha perso la sua divina istituzione e costituzione (monarchica, petrina e apostolica)?

È innegabile che l’attitudine di coloro che dichiarano nulli i Papi del Vaticano II è simile a quella di coloro che deponevano il Papa durante il Grande Scisma e lo svolgimento del Concilio di Costanza/Basilea.

Che poi la “collegialità episcopale” tenda, come il conciliarismo, alla negazione del Primato del Papa lo dimostra il fatto che nel 1964 a Costanza, dove si commemoravano i 550 anni del Concilio ivi svoltosi, il card. König cercò di contrapporre in vista di una sintesi hegeliana il Conciliarismo di Costanza-Basilea e il Primato petrino del Vaticano I.

Secondo König Costanza/Basilea & Vaticano I sono i due estremi (“tesi-antitesi”) che impoveriscono la Chiesa, la quale nel Vaticano  II ha espresso la dottrina della Collegialità episcopale non in maniera così radicale  come a Costanza ma neppure il Primato di Pietro e dei suoi successori in maniera così stretta come nel Vaticano I. Il Vaticano II sarebbe una sorta di coincidentia oppositorum o di sintesi, che hegelianamente equilibra Costanza/ Basilea (tesi) col Vaticano I (antitesi), per darci in felice sintesi il Vaticano II[17].

Per evitare il secondo errore (l’obbedienza indebita) basta ricordare che in tempi di crisi il cattolico deve limitarsi a credere e fare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e fatto (San Vincenzo da Lerino, Commonitorium, III, 5), e che non gli è lecito seguire le novità[18] contraddittorie che possono eccezionalmente infiltrarsi nell’insegnamento della gerarchia ecclesiastica anche al suo sommo Vertice quando non si pronunzia al grado in cui è infallibile.

Per fare un esempio lampante e chiaro a tutti, quando Francesco I ha detto che “non è peccato non andare a Messa la Domenica, ma è peccato erigere muri tra noi e chi non è come noi”, vale ciò che si spiega a tutti i bambini che studiano il “Piccolo Catechismo di San Pio X”: il IV Comandamento (che ha come oggetto diretto il prossimo) ci ordina di obbedire ai genitori, ma se il padre ci dovesse dire di non andare a Messa la Domenica e violare il III Comandamento (che ha come oggetto diretto Dio stesso), allora occorre obbedire a Dio e non agli uomini. Ciò non significa deporre Francesco I considerandolo come non-Papa  e neppure obbedirgli per servilismo e adulazione.

 

Una maestra inascoltata

Bisogna ammettere che lo stato attuale è talmente buio e oscuro da rendere difficile il veder chiaro, come non vide chiaro durante lo scisma d’Occidente un grande teologo e Santo il domenicano Vincenzo Ferreri, il quale si schierò con uno degli antipapi, pur essendo egli un valente teologo tomista e  quindi assertore del primato del Papa sul Concilio per cui “prima Sede a nemine judicatur” (cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa contra Gentiles, lib. IV, cap. 76). Non bisogna, perciò, meravigliarsi se nel combattere la buona battaglia contro il neo-modernismo qualcuno usi armi “non convenzionali” o reagisca esageratamente. Tuttavia questa comprensione non toglie il dovere di esporre la dottrina cattolica (pacatamente e senza insultare nessuno) qual è stata insegnata dai Padri, dai Dottori scolastici e dal Magistero ecclesiastico, senza prendere per “luogo teologico” un teologo o un noto “profeta” ed anzi “più che un profeta” o un vescovo integerrimo che non pretese mai di essere un “luogo teologico”.

 La Chiesa della Nuova ed Eterna Alleanza è stata fondata da Gesù direttamente su Pietro e i suoi successori e non sui teologi, i profeti e neppure i vescovi, che senza il Papa non possono nulla.

I luoghi teologici di cui ci si deve servire per risolvere un problema tanto delicato come quello odierno sono 1°) la S. Scrittura, 2°) la Tradizione apostolica, 3°) le decisioni o il Magistero della Chiesa, dei Concili e dei Papi, 4°) l’insegnamento moralmente unanime dei Padri, dei Dottori scolastici, 5°) la sana ragione, la filosofia perenne e la storia (Melchior Cano, Libri XII de locis theologicis, Roma, ed. T. Cucchi, 1900, 3 voll.)

Questi “luoghi teologici” ci dicono che non si deve “ubbidire nelle cose cattive e adulare i malvagi Prelati”[19], e che tuttavia i Papi “conciliari”, pur avendo mal usato del loro sommo Potere, lo hanno conservato e lo conservano. Pertanto  non si deve pretendere che l’Episcopato collegiale, l’eminente teologo, il “profeta” o la sola Tradizione senza Magistero vivente possano rimettere la Chiesa in ordine al posto del Papa.

Ogniqualvolta in tempi di caos ecclesiale si è ceduto, sia pure con le migliori intenzioni, a questa tentazione, il rimedio si è rivelato peggiore del male, perché, per restaurare la Chiesa, si è attentato alla sua divina costituzione. Gesù l’ha voluta una monarchia fondata su uno solo (Pietro e i suoi successori fino alla fine del mondo) e gli uomini, invece, tramutano il Papa in un re costituzionale, che può essere giudicato, corretto e rimosso dall’ Episcopato (riunito in Concilio o sparso nel mondo), che sarebbe superiore al Papa come il tutto è superiore ad una singola parte, per cui il Papa è sottomesso al Concilio o è pari ad esso collegialmente.

È questa la lezione più grave dello Scisma d’Occidente e del “conciliarismo” che inquinò anche gli uomini migliori di quel tempo, ma, si sa, se la storia è maestra di vita, è anche una maestra inascoltata.

Cajetanus

 

[1]Se qualcuno volesse approfondire il tema può studiare L. Von Pastor, Storia dei Papi dalla fine del medioevo, 16 voll., Roma, 1910-1934; A. Fliche – V. Martin, Storia della Chiesa, Torino, Siaie, 1942 ss. ; H. Jedin, Storia della Chiesa, 13 voll., Milano, Jaca Book, 1977 ss.

[2]Cfr. I Papi e gli antipapi, Milano, Tea, 1993, voce Clemente V,  a cura di Massimo Montanari, p. 90.

[3]Cfr.  A. X. Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’ Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.

[4]Cfr. I Papi e gli antipapi, Milano, Tea, 1993, voce Benedetto XII,  a cura di Bruno Andreoli, p. 92.

[5]Anche i Papi romani non furono immuni dall’errore conciliarista diventato una “moda” teologica in quei tempi.

[6]In teologia morale si studia che certe azioni giuridiche (per esempio, nel caso nostro, un’elezione) sono rese invalide se vengono imposte sotto la spinta di un grave timore, oppure son rese rescindibili dietro richiesta di coloro ai quali sia stato incusso il timore (per esempio, i cardinali riuniti in conclave, il cui timore, però, è storicamente non accertato). Cfr. E. Jone, Compendio di teologia Morale, Torino, Marietti, 1964, VI ed., p. 9-10; S. Tommaso d’Aquino, S. Th., I-II, q. 6, a. 5.

[7]Cfr. nota n. 14  sulla convalidazione o sanatio in radice.

[8]F. X. Wernz – P. Vidal, Jus canonicum, Roma, Gregoriana, 3 voll. 1923-1938, tomo II, p. 437, nota 170; cfr. F. Suarez, De Fide, disp. X. Sez., V, n. 8, p. 315.

[9]“S. Caterina da Siena non mancò di ammonire il Papa in questo senso”(K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 61).

[10]S. Vincenzo Ferreri si schiererà con altrettanto zelo e vigore per Benedetto XIII, che in realtà era antipapa, e chiamava il Papa romano, il successore di Clemente VII, Urbano VI, che era il vero Papa, “sedotto dal demonio ed eretico” (K. Bihlmeyer - H. Tuechle, Storia della Chiesa, vol. 3, L’epoca delle riforme, Brescia, Morcelliana, VII ed., 1983, p. 62). È molto difficile veder chiaro a mezzanotte…

[11]Cfr. I Papi e gli antipapi, Milano, Tea, 1993, voce Urbano VI,  a cura di Antonio Maria Bozzone, p. 95.

[12]La “convalidazione” riguarda un fatto successivo (accettazione da parte dei cardinali o della Chiesa docente e discente) ad un atto giuridico annullabile (l’elezione di un Papa), per cui quest’ ultimo atto giuridico perde la sua annullabilità e de facto diviene perfetto (Papa in atto riconosciuto come tale)  o sanato in radice. La convalidazione avviene in genere automaticamente con il protrarsi della situazione, ossia l’ accettazione da parte della Chiesa per le questioni spirituali o dello Stato per le questioni civili. La convalida viene detta anche “sanazione in radice” e si applica in senso stretto al contratto del Matrimonio e lo convalida se in partenza invalido. Essa comporta 1°) la cessazione dell’impedimento, che rendeva invalido il contratto; 2°) la dispensa di rinnovare il consenso; 3°) la retrodatazione ipso facto al passato senza dover percorrere tutte le tappe all’indietro. Quindi, rimosso l’ostacolo, il consenso o il contratto diventa efficace e non deve essere rinnovato. Cfr. A. Gennaro, Sanazione in radice, in Perfice munus, 1932, p. 349 ss.; P. Palazzini, De sanatione in radice, Roma, 1954; F. Carnelutti, Teoria generale del diritto, Roma, 1940; R. Danieli, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 480-481, voce Convalidazione; F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. I, p. 425, voce Convalidazione.

[13]I Dottori della Chiesa ne hanno discusso come pura possibilità teorica ipotetica (“ammesso e non concesso che il Papa possa cadere in eresia…”). Senza arrivare ad un accordo unanime e mai ad una probabilità e men che mai ad una certezza, ognuno ha espresso la sua ipotesi come possibile al massimo poco probabile o molto improbabile, ma giammai una tesi certa. Riguardo alla possibilità che il Papa cada in eresia vi sono sostanzialmente quattro soluzioni, riassunte da A. X. Da Silveira, che ci permettiamo di compendiare. La prima ipotesi (San Roberto Bellarmino, De Romano pontifice, libro II, capitolo 30; Francisco Suarez, De fide, disputa X, sezione VI, n.° 11, p. 319; cardinal Louis Billot, De Ecclesia Christi, tomo I, pp. 609-610) sostiene che un Papa non può cadere in eresia dopo la sua elezione, ma analizza anche l’ipotesi puramente teorica (ritenuta solo possibile) di un Papa che può cadere in eresia. Come si vede, questa ipotesi non è ritenuta per certa dal Bellarmino né dal Billot, ma solo speculativamente possibile. La seconda ipotesi (che il Bellarmino qualifica come possibile, ma molto improbabile, ivi, p. 418) sostiene che il Papa può cadere in eresia notoria e mantenere il pontificato; essa è sostenuta solo dal canonista francese D. Bouix (†1870, Tractatus de Papa, tomo II, pp. 670-671) su ben 130 autori. La terza ipotesi sostiene, ammesso come possibile e non concesso come certo che se cada in eresia il Papa perde il pontificato solo dopo che i cardinali o i vescovi abbiano dichiarato la sua eresia (Cajetanus, De auctoritate Papae et concilii, capitolo XX-XXI): il Papa eretico non è deposto ipso facto, ma deve essere deposto (deponendus) da Cristo dopo che i cardinali hanno dichiarato la sua eresia manifesta ed ostinata. Infine la quarta ipotesi sostiene che il Papa, se cade in eresia manifesta, perde ipso facto il pontificato (depositus). Essa è sostenuta dal Bellarmino (ut supra, p. 420) e dal Billot (idem, pp. 608-609) come solo possibile e meno probabile della prima ipotesi, ma più probabile della terza. Come si vede, si tratta solo di ipotesi, di possibilità teoretiche, neppure di probabilità, e mai di certezze teologiche (Cfr. A. X. Da Silveira, La Messe de Paul VI:

Qu’en penser?, Chiré-en-Montreuil, DPF,1975, Hypotèse théologique d’un Pape hérétique, pp. 213-281; V. Mondello, La dottrina del Gaetano sul Romano Pontefice, Messina, Arti Grafiche di Sicilia, 1965, cap. V, Il Papa eretico e il Concilio, pp. 163-194).

[14]Cfr. G. Alberigo, Storia dei Concili Ecumenici, Brescia, Queriniana, 1990, p. 224 ss.

[15]Come se il Concilio fosse superiore al Papa.

[16]Arnaldo X. Da Silveira, Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975. L’Autore cita i migliori teologi, che, riguardo a questo tema, si son basati sulla Tradizione apostolica e la S. Scrittura lette alla luce del Magistero della Chiesa. È per questo che mi permetto di citarlo non  facendone una “tesi” che pretende di essere l’unica “specificazione di un atto di Fede” senza cui è impossibile salvarsi l’anima.

[17]F. König, Der Pendelschlag von Konstanz, in Die Furche, 30 luglio 1964. Qualche mese prima in una conferenza fatta sempre a Costanza aveva paragonato il rinnovamento conciliare al movimento del mare in cui l’onda presenta un flusso e un riflusso ; così all’attuale fase conciliare della storia della Chiesa sarebbe succeduta un’altra fase, la quale – attenzione – non annullerà la prima ma la consoliderà, cfr. J. Grootaers, I protagonisti del Vaticano II, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1994,  p. 155, nota 27.

[18]Per esempio la Collegialità episcopale, che diminuisce il primato del Papa, è stata insegnata durante il Concilio Vaticano II (Lumen gentium n. 22) in maniera pastorale e non infallibile, in una maniera molto simile, anche se più sfumata, all’errore conciliarista non solo radicale ma anche mitigato ed è come quell’errore in contraddizione con la dottrina costante della Chiesa.

[19] Cajetanus, De comparatione Papae et Concilii, ed. Pollet, 1936, cap. XXVII, p. 179, n. 411.