“LA GRANDE ERESIA” (MARCEL DE CORTE) Prima parte

Marcel De Corte (1905-1994) fu professore di filosofia all’Università di Liegi in Belgio, di cui divenne Rettore[1].

Nel presente articolo cercherò di condensare il contenuto del suo ottimo libro La grande eresia (Roma, Giovanni Volpe, 1973) e di integrarlo con altri studi sul medesimo argomento.

 

Modernismo e neomodernismo

De Corte nel suddetto libro tratta del modernismo e lo qualifica una grande eresia. Penso di poter dire, senza esagerazioni, che è uno dei libri più interessanti che siano stati scritti sull’argomento.

Egli, sin dall’inizio, distingue il modernismo classico, condannato da S. Pio X, dal  neomodernismo o nuova teologia o “progressismo”[2], condannato da Pio XII (La grande eresia, Roma, Giovanni Volpe, 1970, p. 7).

 

Il progressismo o neomodernismo secondo De Corte accentua le caratteristiche del modernismo, “eresia per eccellenza”, e quindi può essere definito  come l’eresia “radicale e totale” (ivi). Il progressismo o neo-modernismo sta al modernismo classico come il nichilismo filosofico o la post-modernità sta all’idealismo filosofico o alla modernità. Ora la post-modernità filosofica non solo pretende che Dio sia il prodotto del bisogno del sentimento umano, ma addirittura vorrebbe “uccidere” Dio (Nietzsche, Freud e il Sessantotto). Mentre la post-modernità teologica col Vaticano II ha tentato (specialmente con la Costituzione Gaudium et Spes) di conciliare l’inconciliabile, tramite una “svolta antropologica” che cerca di far coincidere teocentrismo e antropocentrismo assorbendo Dio nell’Uomo, ma Sant’Agostino ci ricorda: “o Dio o l’Io, tertium non datur.

Il nome modernismo è stato usato da S.  Pio X nel Decreto Lamentabili (3 luglio 1907)[3], nell’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907)[4], nell’Allocuzione Relicturus Ecclesiam (16 dicembre 1907)[5], nel “motu proprio” Sacrorum antistitum (1° settembre 1910)[6] e nell’Allocuzione Il grave dolore (27 maggio 1914)[7]. Papa Sarto, secondo De Corte, in questi Atti magisteriali individua due caratteristiche principali e fondamentali del modernismo: 1°) l’ applicazione della filosofia soggettivista alla Religione rivelata; 2°) il disprezzo della Tradizione apostolica, che è fonte della Rivelazione assieme alla S. Scrittura (p. 8)[8].

Omnia tibi dabo

L’infatuazione per la modernità da parte dei modernisti ha comportato l’accettazione del soggettivismo, del relativismo e dell’ immanentismo della filosofia moderna) e dal punto di  vista della  teologia, ha comportato la rottura con la dottrina e la pratica della “Chiesa pre-conciliare”, come la  chiamano i modernisti stessi (v. card. Benelli, Segretario di Stato di Paolo VI, estate del 1976).

In cambio di quest’infatuazione dei chierici per il mondo moderno, cosa dà il mondo agli uomini di Chiesa? Tutto! Sì, proprio tutto (“omnia tibi dabo”), ma ad una condizione:  “si, cadens, adoraveris me” (Mt., IV, 8-11). De Corte spiega: “il prezzo da pagare al mondo è l’identificazione del cristianesimo con la democrazia moderna, con il liberalismo[9], con il socialismo, con il culto dell’Uomo, con il principio di contraddizione, […] con la Rivoluzione. Così il Vangelo secolarizzato si trasforma in teologia della liberazione o in strumento di Sovversione” (p. 91 e 94).

Tuttavia il mondo promette e non mantiene. Dunque «gli uomini di Chiesa avranno un bel farsi amabili, cedendo continuamente allo spirito del mondo, ma non saranno mai amati né dal mondo e quel che è peggio, neppure da Dio, come diceva Dante: “a Dio spiacenti e a li nimici sui”» (De Corte, p. 123).

L’essenza della “modernità”

La filosofia moderna, come esaltazione del Soggetto pensante e dell’Idea, inizia con Cartesio e termina con Hegel, che ha risolto il mondo nell’Io o Idea assoluta ed ha unificato l’umano e il divino e viceversa. La modernità sfocia, quindi, immancabilmente, in una sorta di monismo panteista: non vi è nulla di reale al di fuori del Pensiero e non esiste alcunché di trascendente, ma tutto è immanente al Pensiero assoluto in cui si trova tutto il reale in divenire (Dio e il mondo). Gli individui sono unificati nel Pensiero assoluto. Il Pensiero crea se stesso, il finito è identificato con l’Infinito, che è il Pensiero assoluto. Non vi è distinzione di coscienze e libertà individuali, che sono racchiuse nel Pensiero assoluto. Quindi non vi è distinzione tra errore e verità, tra bene e male, tra sì e no, poiché lo Spirito nell’atto di pensare è sempre verità e bontà e l’errore o il male sono il passato e come gli idealisti dicono, il passaggio del Pensiero dalla tesi alla sintesi[10].

La modernità fa dipendere – spiega padre Cornelio Fabro – la realtà dal pensiero[11]. Infatti l’ Idealismo afferma che l’Idea costituisce la realtà dell’essere e perciò l’essenza dell’Idealismo consiste nel concepire la realtà o la natura come una derivazione del Pensiero e dello Spirito o Idea[12]. L’Idealismo assoluto di Hegel ha come risultato «l’immanenza totale dell’Infinito nel finito, di Dio nel mondo […] e la supremazia della ragione sulla Religione»[13]. L’Idealismo assoluto nega la realtà del finito, che viene elevato ad Assoluto, nega la libertà dei singoli, la Trascendenza di Dio, la gratuità della grazia santificante[14]. L’Idealismo ha fatto, in breve, svanire la Fede nello gnosticismo più estremo[15].

- Gli articoli per intero sono disponibili sull'edizione cartacea spedita in abbonamento -

[1] Ha scritto numerose opere di filosofia aristotelico/tomistica tra cui: (a solo 29 anni!) La doctrine de l’intelligence chez Aristote (Parigi, Vrin, 1934), Le Commentaire de Jean Philopon sur le IIIme Livre du ‘Traité de l’Ame’ (Parigi, Droz, 1934), Aristote et Plotin (Parigi, Desclée, 1935); ed altre di filosofia politica, tra le quali spiccano: Incarnation de l’homme (Parigi, de Médicis, 1942, tr. it., Brescia, 1949), Philosophie des moeurs contemporaines (Bruxelles, Ed. Universitaires, 1944), Essai sur la fin d’une civilisation (Bruxelles, Ed. Universitaires, 1949), L’homme contre lui-meme (Parigi, NEL, 1962, La grand hérésie (Parigi, 1969, tr. it., Roma, Volpe, 1970), L’intelligence en péril de mort (Parigi, Club de la Culture française, 1969, tr. it., Roma, Volpe, 1973), De la Justice (Jarzé, Dominique Martin Morin, 1973), De la Prudence (Jarzé, DMM, 1974), De la Force (Jarzé, DMM, 1980),  De la Témperance (Jarzé, DMM, 1982).

 

[2] Cfr. N. Petruzzellis, voce “Progresso”, in Enciclopedia Filosofica del Centro di Studi Filosofici di Gallarate, II ed., 1982, Firenze, Le Lettere, vol. VI, coll. 858-861.

[3] Cfr. DS, 3401-3466.

[4] Cfr. DS, 3475-3500.

[5] Cfr. Tutte le Encicliche e i principali Documenti Pontifici emanati dal 1740, a cura di U. Bellocchi, Città del Vaticano, Liberia Editrice Vaticana, 1999, vol. VII; Pio X (1903-1914), pp. 283-285.

[6] Cfr. DS, 3537-3550.

[7] Cfr. Tutte le Encicliche e i principali Documenti Pontifici emanati dal 1740, a cura di U. Bellocchi, Città del Vaticano, LEV, 1999, vol. VII; Pio X (1903-1914), pp. 514-516; cfr. anche S. Pio X, Lettera apostolica sul Sillon, Notre charge apostolique, 25 agosto 1910, ibidem, pp. 408-546.

[8] Cfr. Adhémar d’Alès, voce “Modernisme”, in Dictionnaire Apologétique de la Foi Catholique,  4 voll., Parigi, 1911-1922.

[9] J. Maurel, Somme contre le Catholicisme libéral, Paris-Bruxelles, 1876.

[10] Cfr. A. Zacchi, Il nuovo Idealismo italiano di Benedetto Croce e Giovanni Gentile, Roma, 1925; M. Cordovani, Cattolicismo e Idealismo, Milano, 1928; C. Ottaviano, Critica dell’Idealismo, Napoli, 1936.

[11] In breve l’idealista “è una mente distorta, che vede o vuol  vedere costantemente le cose diverse da quel che sono” (M. De Corte, La grande eresia, Roma, Volpe, 1970. p. 124).

[12] Voce “Idealismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, col. 1562.

[13] Ibidem, col. 1566.

[14] Questo errore filosofico dell’ Idealismo, che fa della grazia un qualcosa di dovuto alla natura, è stato ripreso teologicamente dal modernismo classico condannato da San Pio X nella Pascendi (1907) e poi dal neo-modernismo o “nuova teologia” e specialmente da padre Henri de Lubac nel “Surnaturel” del 1946 condannati da Pio XII nella Humani generis (1950). Come si vede il legame tra i due errori – idealismo filosofico e modernismo teologico – è assai stretto e profondo. Onde se l’Idealismo o la modernità, ha dei notevoli punti di contatto col satanismo, questi sono ancora più forti col modernismo e neo-modernismo, i quali aggravano l’errore filosofico rendendolo “a-teologico”. La teologia del Vaticano II è satura di questi concetti che sono stati sparsi a larga mano dai vari de Lubac e soci nell’ assise conciliare. Il de Lubac come Balthasar, Daniélou, Congar erano condannati negli anni Cinquanta da Pio XII e sospesi dall’insegnamento come neo-modernisti, ma poi furono chiamati a fare in qualità di “periti” il Concilio Vaticano II da Giovanni XXIII negli anni Sessanta ed infine creati cardinali da Paolo VI e Giovanni Paolo II, per gli stessi demeriti o errori per i quali Pio XII li aveva condannati. Come si fa a parlare di “continuità” tra Vaticano II e Tradizione della Chiesa quando si costata la inversione e la rottura radicale?

Per quanto riguarda la Liturgia De Corte scrive: «come si osa proclamare che non si tratta di una nuova Messa, che nulla è cambiato, che tutto è come prima, quando non resta nulla o quasi nulla della Messa di Tradizione apostolica? […]. Questa Messa “si discosta in modo impressionante dalla teologia cattolica sulla Messa, quale è stata formulata nella XX sessione del Concilio di Trento”. Queste parole severe del cardinale Alfredo Ottaviani non c’è uomo di buona fede che non le faccia sue dopo aver assistito al Novus Ordo Missae. Il comune fedele constata con evidenza che “non ci si raccapezza più! Qui non c’è più nulla di cattolico”» (cit., p. 106, 107 e 108).

[15] Ibidem, col. 1567.