Dalla sofistica a “fiducia supplicans”

Prologo

San Tommaso d’Aquino ha scritto che la negazione speculativa dei “primi princìpi per sé noti[1] è paragonabile – nella pratica – alla perdita della “sinderesi”: “Fa il bene, fuggi il male” (S. Th., II–II, q. 154, aa. 11–12).

Infatti, la trasgressione – della sinderesi (il primo principio della vita pratica) ripugna alla retta ragione e all’ordine naturale (v. Rom., I, 26). Ora, in tutte le cose, la degenerazione più grave è la corruzione dei princìpi, da cui tutto il resto dipende. Ma, i princìpi della ragione umana sono dati da ciò che è secondo natura; infatti, la ragione presupposto ciò che è determinato dalla natura dispone il resto in conformità ad essa. Ciò avviene sia in campo speculativo che pratico.

Perciò, come nell’ordine speculativo, l’errore circa i princìpi per sé noti ed evidenti è il più grave e vergognoso; così nell’ordine pratico, agire contro natura, è il peccato più grave e più turpe, poiché si trasgredisce ciò che è determinato dalla natura.

Ecco perché il cartesianismo, il kantismo e l’hegelismo, che errano diametralmente contro la retta ragione, non potevano non portare allo stato attuale della degenerazione non solo teoretica, ma anche morale e contro/natura (Fiducia supplicans, 18 dicembre 2023).

Agere sequitur esse / si agisce come si pensa”. Perciò, il problema della sinderesi va inquadrato alla luce del sano realismo della conoscenza.

Se si vuol agire male, significa che si nega la realtà e si vuol rendere il bene male e il male bene; benedicendo il male come se fosse il bene.

Le origini filosofiche del “meta/umanesimo” di Fiducia supplicans

La nostra epoca, che nega la realtà e la vuole violentare con il gender, il fluido, il “trans/umano” e la “Fiducia supplicans”, arriva a simili aberrazioni etiche perché è partita da aberrazioni teoretiche: Cartesio e Kant. 

L’intelletto umano è capace di conoscere la realtà; è un fatto evidente a tutti gli uomini forniti di retta ragione e onestà intellettuale e morale.

Spesso l’errore intellettuale ha un’origine pratica o morale, ossia ci si vuol sbagliare e non si vuole ammettere la realtà per non dover cambiar vita. 

Il pensiero moderno è impregnato di soggettivismo, relativismo, agnosticismo teoretico e morale.

La ragione umana ha la possibilità di conoscere la realtà, giungere alla verità e di farci vivere da veri uomini, ossia da “animali razionali” (Aristotele), i quali devono “fare il bene e fuggire il male: questo è tutto l’uomo” (Sal., XXXIV, 15). Come si vede la sinderesi è la conclusione logica e pratica del realismo della conoscenza, che si basa sui princìpi primi e per sé noti della ragione umana.

Non si può dubitare di tutto. Infatti, nel momento in cui dico di dubitare, implicitamente affermo che son certo almeno di una cosa: della mia asserzione di dubitare d’ogni cosa.

“È ridicolo andare in cerca di ragioni contro chi, rifiutando il valore della ragione, non vuol ragionare” (Aristotele, Metafisica, IV, 4). S. Tommaso d’Aquino chiosa: “Sono stolti e insinceri i dubbi sui fatti della più ovvia esistenza” (Commento alla Metafisica di Aristotele, lezione XV, n. 709).

La filosofia realista eleva il buon senso – comune a tutti gli uomini capaci d’intendere e volere – a scienza filosofica, la quale si basa sulla convinzione che esiste una realtà oggettiva indipendente dal pensiero dell’uomo, il quale ha un’intelligenza che non lo inganna, ma coglie il suo oggetto senza deformarlo, anche se non lo conosce totalmente e perfettamente.

 

La lotta perenne del realismo “aris/tomista” contro la sofistica idealista

Perciò, la verità esiste e consiste nell’adeguamento dell’intelletto alla realtà. L’idealismo, la sofistica, l’agnosticismo, lo scetticismo (che negano la capacità umana di conoscere la realtà) impiegano la ragione per  criticare la ragione umana, come se l’unica “ragione ragionevole” fosse la loro.

Come si vede, vi sono sostanzialmente due correnti filosofiche: 1°) La prima sostiene – secondo il buon senso e la retta ragione – che esiste una realtà oggettiva e che essa può essere conosciuta poiché esiste in sé ed è posta davanti al soggetto conoscente.

2°) La seconda è sostanzialmente una (“irrealismo”) e accidentalmente composita: o a) crede che sia il pensiero umano a porre in essere la realtà (idealismo); oppure b) crede che l’uomo non abbia la capacità di conoscere la realtà (agnosticismo); ovvero c) che debba dubitare di tutto (scetticismo).

Tutta la vita normalmente vissuta di ogni uomo presuppone la concezione realistica della conoscenza. Infatti, ogni uomo dotato di sanità mentale ritiene che esistano più soggetti conoscenti e non uno soltanto (‘monismo’); più oggetti e non un solo oggetto (‘panteismo’). Inoltre, l’uomo normale sa che le cose reali esistono fuori del suo pensiero e indipendentemente da esso e che le conosce come sono in se stesse e non applicando loro una propria forma soggettiva (come vorrebbe Kant).

Ciò vale per gli stessi filosofi idealisti, almeno nella vita pratica. Essi in teoria propugnano l’idealismo o il soggettivismo della conoscenza, ma in pratica agiscono, e quindi pensano, da realisti. Lo scettico Pirrone “per coerenza si sforzava di non badare ai precipizi, ma, assalito da un cane, s’impaurì, ben distinguendo un cane da un agnello” (Diogene Laerzio, Raccolta delle vite e delle dottrine dei filosofi, IX, 2). Onde “lo scettico coerente dovrebbe chiudersi nel mutismo assoluto, perché parlare vuol già dire avere ed esprimere certezze. Quindi, Cratilo finì col tacere e muoveva solamente il dito” (Aristotele, Metafisica, IV, 5, 1010 a).

Aristotele scriveva: “Secondo Eraclito si può negare il principio di non contraddizione. Allora, perché va a Megara e non se ne sta tranquillo a casa pensando di camminare? E perché non si getta nel pozzo, ma si guarda bene dal farlo proprio come se pensasse che cadere non è lo stesso che non cadere?” (Metafisica, IV, 4, 1008 b).

Gli astronomi sono convinti di studiare delle realtà che son fuori di qualsiasi coscienza o soggetto pensante e così i fisici, i chimici, i geografi.

Tutti gli storici considerano Giulio Cesare e il pugnale di Bruto come realtà oggettive e non come prodotti del loro pensiero.

In breve, ogni uomo fuori della discussione filosofica è immancabilmente realista e per l’idealista – nell’atto di filosofare – vale sempre ciò che scriveva Aristotele riguardo ai sofisti del suo tempo: “Non si crede a tutto ciò che si dice” (Metafisica, IV, 3, 1005 b).

Nel filosofo idealista o sofista si realizza immancabilmente una frattura tra la teoria e la pratica: come uomo nella vita comune e pratica pensa e agisce da realista; mentre come filosofo, quando sale in cattedra, la pensa da idealista e nega la realtà oggettiva del soggetto conoscente e dell’oggetto conosciuto.

Ora, se per fare il filosofo bisogna cessare di esser uomo è meglio smettere di fare il filosofo.

Per esempio, Kant filosofeggiando dice che l’uomo non conosce la cosa in sé, ma la conosce come gli appare avendo applicato a essa una sua categoria o forma a priori soggettiva. Tuttavia, per arrivare a dire ciò, prima egli ha indagato su quella cosa in sé che è la conoscenza umana e che è il soggetto conoscente, ossia “Kant in sé” e non come ci appare. Se si negasse ciò, si arriverebbe a dire che ogni teoria filosofica non ha nessun valore, che è del tutto soggettiva e relativa.

 

Il “senso comune filosofico” e il “buon senso pratico”..

Continua sul giornale in abbonamento.....

[1]Il bene è il bene, il male è il male; il bene non è il male”.