NATALE SUL COL DEL ROSSO
di Piercole Musini
L’aria dello scompartimento era diventata irrespirabile. Uscii nel corridoio, mentre il treno continuava a tuffarsi nel buio della fredda notte invernale, e un brivido improvviso mi solcò la schiena. Ero stanco del viaggio e consultai l’orologio per l’ennesima volta.
Ancora un’ora! E poi ancora un’ ora di automobile, prima di arrivare alla casa di campagna dove ero atteso per il Natale.
Affondai le mani nelle tasche, assaporando mentalmente la gioia di allungarle presto alla fiamma del camino, in un’atmosfera di serena intimità, odorosa di arance e di muschio.
Dal fondo della carrozza avanzò un uomo. Era anziano e corpulento, ma ciò che di lui attraeva irresistibilmente l’attenzione erano i baffi.
Due baffi enormi, radicati fino a metà guancia, arcuati verso il basso e terminanti in due repentine volute all’altezza del bavero.
Lo sconosciuto reggeva con una mano una valigetta, e con l’altra si puntellava tratto tratto alla parete esterna della carrozza, per neutralizzare gli oscillamenti che il treno in corsa imprimeva senza troppo garbo. Quando fu alla mia altezza, mi appiattii contro il finestrino per cedergli il passo, ma proprio in quel momento, per una improvvisa curva della linea ferrata, il corpulento signore perse l’equilibrio, andò a tastoni un istante per non finirmi addosso e, urtando la valigia contro uno spigolo, ne provocò l’apertura.
Fu un rovinio di piccoli oggetti avvolti in pezzi di carta, e se io fui desolato per quell’incidente, sul viso dello sconosciuto si manifestò subito una profonda costernazione.
– Ohssignore! – esclamò chinandosi immediatamente per raccogliere le cose sparse.
– Roba fragile? – chiesi apprestandomi ad aiutarlo.
– Altro che! – rispose lui, pur senza specificare e lanciandomi un’occhiata triste alla quale i baffi spioventi davano un’aria ancor più melanconica.
Quando tutto fu riposto sommariamente nella valigia, il coperchio rifiutò di chiudersi. E, l’omone, reggendo il bagaglio con due mani e appoggiandosi coi gomiti ora qua ora là alle pareti del corridoio, si avviò al fondo della carrozza.
Lo vidi poggiare la valigetta sul sedile del frenatore e poi mettersi a controllare il contenuto dei fagottini.
Fui preso dalla curiosità e lo raggiunsi.
– Qualcosa di rotto? – gli domandai sorridendo.
– Pare di no, perché sono stato previdente e le ho incartate bene. Ecco, vede? Questa è scheggiata un poco sulla spalla, ma è roba da niente.
Mi mostrò una statuetta. Era un pastore che, immaginai, avrebbe dovuto essere palestinese, ma che aveva piuttosto l’aspetto di un contadino croato.
– Porto il presepio nuovo ai miei nipotini – spiegò lo sconosciuto – glielo avevo promesso dall’anno scorso…
Cominciammo a conversare e, poiché l’argomento iniziale fu il presepio, si parlò del Natale imminente, ma soprattutto di quelli passati, che offrono sempre spunti per nostalgiche rievocazioni.
– …ma il mio più bel Natale – disse l’uomo dai baffi monumentali continuando il suo discorso – rimane sempre quello di quarantacinque anni fa…
– Era il 1917 ed ero in guerra. Avevo 23 anni e mi trovavo nei pressi del Grappa nella zona di Col del Rosso. Per tre giorni le truppe del maresciallo Hindenburg, che avevamo di fronte, avevano sferrato massicci e numerosi attacchi, ma avevano ripiegato in seguito alla nostra resistenza e al nostro contrattacco.
Col del Rosso, Col d’Echele, Valbella e Monte Tomba erano stati sgombrati dal nemico, e la notte di Natale ci trovò stanchi, malconci, ma contenti di una vittoria che pure era costata tanto sangue e tante sofferenze.
In guerra, però, anche il Natale non permette il riposo e la serenità che si vorrebbero. Io e quattro miei compagni fummo inviati di pattuglia sul versante nord di Col del Rosso. Spirava un vento gelido e c’era tanta neve; quella stessa neve che, cominciando a cadere abbondantemente proprio il 21, aveva favorito la nostra difesa e la nostra reazione.
Ci muovevamo cauti e lenti. La notte era senza luna ma serena, e avremmo potuto incontrare improvvisamente una pattuglia avversaria, perché il nemico era davanti a noi. Ad un tratto il caporale disse sottovoce:
– È nato!
– Eh? – fece uno di noi, senza afferrare l’allusione.
– Dev’essere mezzanotte passata. La notte di Natale, perbacco! Al mio paese mia madre e mia moglie sono già in chiesa…
Un altro mio compagno osservò:
– Guardate là: c’è una grotta. Andiamo là dentro un momento. Saremo riparati dal vento.
Entrammo nella grotta e il nostro commilitone più giovane (un ragazzo ancora) si tolse l’elmetto, si sfilò il passamontagna e si inginocchiò in un cantuccio. Il caporale rimase sull’entrata e voltò le spalle all’interno con fare superiore: ma era perché aveva gli occhi pieni di lagrime.
Fu allora che, togliendomi i guanti di ruvida lana, raccolsi un po’ di terra umida sull’imboccatura della grotta e, manipolandola qualche minuto, le diedi la forma approssimativa di un bambinello da presepio. Poi stesi il fazzoletto sull’ elmetto del mio compagno e vi deposi il Bambino Gesù più brutto che abbia visto, anche se si scorgeva appena nella fioca luce delle stelle riflessa dalla neve.
Il caporale allora trascurando ogni prudenza tattica tolse di tasca una candela che usava nel rifugio della trincea. L’accese e la pose vicino alla culla più insolita in cui l’Uomo potesse essere posto.
Io, sottovoce, presi a recitare:
– Padre nostro, che sei ne cieli…
E gli altri pregarono con me, col pianto in gola e il cuore grosso da far male.
Il nostro raccoglimento durò ancora, dopo la preghiera. Per quanto tempo? Chissà! Col cuore e con la mente eravamo molto lontani dal fronte… E quando, alle nostre spalle, risuonò la voce che disse: Fröhliche Weihnachten [= Lieto Natale] – sussultammo come bambini spaventati. La realtà ci aveva colti alla sprovvista. Una pattuglia nemica era lì, all’imboccatura della grotta, con le armi puntate contro di noi; e mentre scattavamo in piedi pur sapendo che non avremmo più fatto in tempo ad opporre la minima resistenza, la stessa voce ripeté, quasi con dolcezza:
– Fröhliche Weihnachten! –
I nostri nemici abbassarono i loro fucili, e guardarono la piccola culla illuminata dal mozzicone di candela con occhi affascianti. Erano tre; erano giovani come noi e avevano bisogno di un presepio, anche se brutto come il nostro.
Ci guardammo confusi e increduli. I tre austriaci, che ci avevano augurato “Buon Natale” nella loro lingua, si fecero il segno della Croce e, poi, in sordina cominciarono a cantare “Stille Nacht”, la bella melodia natalizia che anche noi conoscevamo con le parole “Placida notte, dolce mister..”.
Poco a poco, e sempre con maggior entusiasmo, ci unimmo al coro di quei nostri nemici che sentivamo intensamente fratelli: e in due lingue diverse, su un terreno che già nei giorni precedenti era stato teatro di asperrime lotte, e che forse anche l’indomani ci saremmo contesi sanguinosamente, levammo un canto a Colui che era nato fra gli uomini perché potessero trovare la pace e l’amore.
Quando si spense l’ultima nota del nostro coro, il nostro caporale si avvicinò a quello degli austriaci che sembrava il più anziano e, augurando “Buon Natale”, gli tese la mano, che l’altro strinse con impacciata commozione. Anche noi stringemmo la mano agli altri componenti della pattuglia nemica; poi, uno dei tre tedeschi infilò una mano dentro al pastrano e ne trasse una babbuccia da neonato. Doveva essere del suo bambino, se la teneva sul cuore; e, dopo averla baciata, la depose accanto al simulacro del Bambino Celeste rimanendo un attimo in preghiera.
Poi si voltò di scatto e seguìto dai suoi compagni, si allontanò voltandoci le spalle senza timore e scomparendo nella notte di quel gelido Natale di guerra.
L’omone dai baffi spropositati aveva finito il suo racconto. Mi fissò un istante, in silenzio, quasi a studiare la mia reazione ad una così strabiliante storia; poi, frugando nella valigia ancora aperta, ne trasse un cofanetto di legno.
– Qui dentro – mi spiegò – i bambini di casa nostra mettono sempre le loro offerte a Gesù. Si tratta di pensierini scritti su un foglietto e di denaro per i poveri: ma accanto ai loro propositi e ai loro doni, c’è sempre una babbuccia.. Questa…
E, aperto il cofanetto, mostrò una scarpina di lana azzurra. Quella che un ignoto soldato, in una lontana Notte Santa, aveva lasciato accanto al presepio dei suoi nemici sul campo di battaglia, invocando in un’accorata e silenziosa preghiera, gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà.