A che punto siamo?

Prima parte -

Custos, quid de nocte? – Sentinella, cosa succede in questa notte?

Già, a che punto, di questa vertiginosa e oscura discesa, siamo giunti?

Tutto ebbe inizio – ufficialmente – nel 1958, con l’elezione a Papa della Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica e Romana del cardinal Angelo Giuseppe Roncalli, Arcivescovo di Venezia, che, col nome di Giovanni XXIII ebbe – a suo dire – dallo Spirito Santo, l’idea di convocare un Concilio Ecumenico di nuovo conio, di nuova identità.

Fu così che il Concilio Vaticano II, abolita la tradizionale e millenaria regola per la quale siffatti 0rganismi rivestivano carattere esclusivamente “dogmatico”, venne ufficialmente definito “pastorale” – un abile stratagemma dal momento che il rapporto Dogma/ Pastorale si rovescerà in Pastorale/Dogma, dove tale mutazione sarà il grimaldello per lo scasso dell’intero ordinamento dottrinario cattolico da cui sortirà la nuova formula “Evoluzione del dogma” che avrebbe dato la stura alle più temerarie e dissacranti novità con interventi eversivi nella morale, nella liturgia, nella esegesi evangelica. La discesa, peraltro già avviata con i conati del modernismo e del movimento ecumenista, prese, con l’elezione di Roncalli e con il suo nihil obstat, un moto che si dava a prevedere vieppiù accelerato, come lo avvertirono molti uomini di Chiesa che il Pontefice definì “profeti di sventura” (Solenne apertura del CVII, 7 – 11 ottobre 1962).

Già molto prima – anni ’20 – Delegato Apostolico in Bulgaria, Angelo Roncalli, pervaso da sentimenti ecumenistici, riconosceva la Chiesa Ortodossa quale porzione di quella Universale di Cristo a fronte di “piccole differenze”, e quindi accreditata di valenza soteriologica. Una anticipazione di quella che Benedetto XVI definirà, l’11 maggio 2008 domenica di Pentecoste, “l’unità nella diversità”, paradosso–ossimoro tipico di una cultura pseudofilosofica, relativistica, altisonante ma vuota.

Una mentalità così aperta, ed ecumenica, non poteva non istruire una più ampia politica di solidarietà stendendo le braccia, in segno di fraterna accoglienza, alla massoneria del che è nota la sua amicizia con Yves Marsaudon, esponente di spicco della Loggia francese, discepolo di Oswald Wirth grande iniziato, satanista cultore di tarocchi, al quale concesse benevolmente di rivestire le insegne del cattolico Sovrano Militare Ordine di Malta cancellando, di fatto, l’incompatibilità assoluta tra le due istituzioni.

Ma non fu soltanto questa circostanza a testimoniare la corrispondenza d’ecumenici sensi tra il Delegato Apostolico rev.do Angelo Roncalli e la Massoneria ché, in un’altra, lo si vide inginocchiarsi davanti al Presidente francese, il massone ateo, Vincent Auriol, ricevere, da costui, il 14 gennaio 1953, la berretta cardinalizia.

E mentre da Delegato Apostolico teneva, con i nemici di Dio, rapporti di viva cordialità e di stima, da Papa, col nome di Giovanni XXIII, infieriva su uno stigmatizzato frate Cappuccino, san Padre Pio da Pietrelcina, collaudando una linea di condotta, portata avanti dai Papi postconciliari, che elargisce abbracci, sorrisi, udienze personali ai più noti nemici di Cristo – massoni, abortisti, atei, scismatici, comunisti, gnostici, pervertiti – riservando inchieste, scomuniche, emarginazione ai più fedeli figli della Chiesa, come esempio monumentale essendo l’annientamento dei Frati Francescani dell’Immacolata, ordinato da papa Francesco, e la ghettizzazione di quattro cardinali rei di aver chiesto lumi su alcuni punti della esortazione apostolica Amoris Laetitia. Così, come il cardinal Roncalli, anche papa Francesco è uso inginocchiarsi fino a terra come quando – 11 aprile 2019 – con gesto umiliante e teatrale, baciò le scarpe di taluni esponenti sudanesi chiedendo loro di farsi promotori di pace, ma non s’inginocchia davanti alla Santissima Eucaristia.

Mentre Giovanni XXIII trascorse gli ultimi tempi della sua vita battendosi il petto per quello che si era rivelato essere il suo Concilio pastorale, una “Pentecoste rovesciata”, già si profilava la figura del successore, Giambattista Montini, Arcivescovo di Milano, colui che, col nome di Paolo VI, opererà la più radicale e traumatica riforma della Chiesa nel solco dell’auspicata apertura al mondo che vedrà, assisi nelle varie commissioni di lavoro, i rappresentanti del Protestantesimo luterano –anglicano, che intratterrà un quasi quotidiano rapporto personale con il massone Gran Maestro (GOI) Giordano Gamberini, e che vieterà ai Padri conciliari di registrare, nei documenti, un sia pur minimo e timido cenno di condanna della dottrina marxista–comunista arrivando, come si vedrà nel prosieguo, a perseguitare eminenti personaggi di cultura, di azione e di condotta opposte.

A che punto siamo?

Seconda parte

Premessa: poiché il pontificato di Papa Montini si estenderà per ben 15 anni – tempo completamente impegnato a dar fondo alla mutazione della Chiesa da realtà divina e trascendente/verticale in realtà umana e immanente/orizzontale – facciamo nota la necessità di trattare il tema in due interventi a causa  della vastità dell’opera demolitrice programmata e condotta personalmente da Paolo VI. 

Giovanni XXIII muore il 3 giugno 1963. Il conclave elegge, il 21 giugno, l’arcivescovo di Milano, Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini che, col nome di Paolo VI, sarà il 262° successore di Pietro. Se papa Roncalli aveva dato il via alla maratona–staffetta della demolizione ecclesiale – dogma, morale, liturgia – papa Montini non solo ne raccoglie il testimone ma, con una impennata mai vista, mette in azione una serie di “riforme” (?) con cui sconvolge, ab imis, la portante architettura dottrinaria, il complesso liturgico, l’intera struttura gerarchica, l’organizzazione della Chiesa Cattolica. Sono atti eversivi che costituiranno il modello con cui i Papi successivi misureranno ulteriori attacchi corrosivi alla Tradizione, esempio recentissimo essendo il motu proprio Traditionis custodes di papa Bergoglio. Atti eversivi che hanno il loro codice genetico nel nefasto Concilio Vaticano II i cui documenti trasudano, ad ogni riga, errori, eresie, forzature, mascheramenti della Verità che si presentano come le chiavi con cui la novella Gerarchia conciliare apre le porte alla cultura modernista.

Al fine di rendere chiaro il legame tra il pensiero vaticansecondista e le picconate inferte alla Chiesa, Corpo e Anima di Cristo, riteniamo necessario illustrare, in misura assai sintetica ma congrua, i tre documenti più impregnati di tossicità.

Vediamo:

1) LUMEN GENTIUM: costituzione “dogmatica” in cui si afferma che “l’unica Chiesa di Cristo, costituita e organizzata come società sussiste nella Chiesa cattolica”, intendendo, con siffatto verbo, il riconoscimento delle altre confessioni eretiche dei “fratelli separati” come facenti parte – seppure in maniera non intera – di una generica Chiesa di Cristo. Con siffatta gherminella lessicale, i Padri conciliari, abbandonato l’est = è che, in termini di predicato nominale, dichiarava la Chiesa Santa, Cattolica, Apostolica, Romana quale essenza stessa di Cristo, e assunto il subsistit in = sussiste in, che in termini di complemento di stato in luogo indica una posizione ma non l’essere, i Padri conciliari, dicevamo, inaugurano il nuovo corso storico dell’ecumenismo. Un tradimento compiuto con determinazione luciferina, un vero colpo al cuore del Cattolicesimo. Non c’è, pertanto, motivo di meraviglia e di sorpresa se, nei documenti successivi e nei successivi anni, il sincretismo diverrà lo strumento con cui si compirà la normalizzazione della Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana quale “società” inserita nel calderone gnostico del CMC – Consiglio Mondiale delle Chiese – organo dell’ONU.                        

2) NOSTRA AETATE: documento responsabile dell’attuale stagnazione della dottrina cattolica, immersa nel relativismo teologico ed etico, con cui i nuovi teologi, i così detti “periti conciliari”, spacciano confessioni filosofiche di contenuto luciferino, e perciò false religioni, quali realtà inserite nel disegno unificante di Dio nonché riconoscendo confessioni “monoteiste” non trinitarie come consanguinee della Chiesa Cattolica. Sicché: a) ecco l’Induismo e il Buddhismo, elevati su un piano di trascendenza perché in queste culture “gli uomini scrutano il mistero divino con l’inesauribile fecondità dei miti e con i penetranti tentativi della filosofia cercando la liberazione fisica attraverso forme di vita ascetica, sia nella meditazione profonda, sia nel rifugio in Dio con amore e confidenza”.

Non preoccupano i periti i veri contenuti di queste due false religioni che esprimono, nella pratica, violenza, magia, erotismo orgiastico, abiezione igienica, annullamento ontologico, agnosticismo. No, non sono preoccupati i Padri conciliari, così come non sarà preoccupata Madre Teresa da Calcutta tanto da pregare nelle pagode, tanto da non battezzare i moribondi – bambini e adulti – ritenendo giusto che ognuno muoia nella sua fede, alla faccia del perentorio comando, impartito da Gesù agli apostoli, e a tutti i cristiani, di andare per il mondo, annunciare il Vangelo e battezzare nel nome della Santissima Trinità, perché soltanto chi crederà, e sarà battezzato, si salverà. (Mc. 16, 16).

  1. b) Ecco la sperticata lode riservata all’Islam: “La Chiesa guarda con stima anche i musulmani che adorano l’unico Dio… che ha parlato agli uomini... essi hanno in stima la vita morale e rendono culto a Dio soprattutto con la preghiera, le elemosine e il digiuno”. Non importa che l’islam non riconosca il Signore Dio uno e trino, che non riconosca Gesù quale figlio di Dio, morto per la salvezza dell’uomo, che ritenga i cristiani infedeli degni di morte. Un elogio dettato soltanto dal timore, una “captatio benevolentiae” che sa tanto di ipocrisia. La Gerarchia, tremebonda e balbettante, darà, in futuro, ampia e biasimevole dimostrazione di simile viltà, spacciata per sincero apprezzamento, in numerosi momenti come quando i Papi baceranno il Corano, si inginocchieranno nella Moschea Azzurra, e quando invieranno fraterni auguri di abbondanti frutti in occasione del ramadan.

Quanto al dio islamico, esso è un simulacro preso e trasferito dal Vecchio Testamento e collocato in una dimensione di estrema distanza, inaccessibile e inconoscibile, privo della connotazione di “paternità”. Monoteismo di sola accezione etimologica, con elementi accessori, di sapore pagano, quali un paradiso, gradevole soggiorno delle “Uri”, giovani vergini come premio ai martiri di Allah.

  1. c) Ed ecco la riabilitazione di Israele. E, tanto per conferire nobiltà e veridicità a tale operazione, il documento parla con le parole dell’Apostolo secondo il quale “gli Ebrei, in grazia dei padri, rimangono ancora carissimi a Dio, i cui doni e la cui vocazione sono senza pentimento (Rom. 11, 28/29). Certamente, ma qui si cita la fedeltà del Signore Dio e non quella di Israele il quale, dopo aver deliberata la morte di Cristo si è totalmente sciolto dal complesso dottrinario mosaico dell’ antica Scrittura, per indossare i panni del Talmud, l’accolta dei più velenosi e offensivi epiteti contro Gesù, la Vergine Maria, la Chiesa Cattolica di cui è sufficiente dare alcuni esempi:

Gesù, simile a una bestia, fu appeso al patibolo, sepolto come una carogna, su un mucchio di sporcizie e, infine, gettato all’inferno” (Zohar III, 282); “Gesù, figlio di Stada (Prostituta) Pandira” (Sanhedrin, 67°); la Vergine Maria, Madre di Dio è detta “Sciria (escremento)” (Zohar III, 282); la santa Messa cattolica è sconciamente definita: “stercorazione, come è detto dei pagani che aprono l’ano e defecano davanti al loro dio” (Zohar III, 282).

Questi sarebbero i nostri “prediletti fratelli maggiori” secondo il parere di Giovanni Paolo II (13 aprile 1986 – visita alla sinagoga di Roma).  

3) – DIGNITATIS HUMANAE: dichiarazione con cui si riconosce il diritto individuale alla libertà religiosa. Tutto ovvio, perché, chi non potrebbe e vorrebbe sottoscrivere tale affermazione? Ma come l’esca nasconde l’amo così questa dichiarazione, con la difesa della coscienza legittimata a scegliere, porta al paradossale esito di riconoscere alle confessioni gnostiche, atee, financo alle sette sataniche paritetica dignità e diritto di esercitare un qual che sia magistero. Insomma: un cattolico dovrebbe rimanere inerte, diciamo rispettoso, davanti a chi, per palese mala condotta, sarebbe da riprendere e ricondurre sulla via della Verità.

 

 “Chiunque mi confesserà davanti agli uomini, anch’Io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi avrà rinnegato davanti agli uomini, anch’Io lo rinnegherò davanti al Padre mio, che è nei cieli”.

(Mt. 10, 32-33)

 

Questo documento sarà la giustificazione per le tante avventurose iniziative con cui la Gerarchia svenderà il proprio patrimonio sul mercato mondiale dell’apostasia. Vale ricordare i futuri incontri di Giovanni Paolo II con gli sciamani del Benin e la presenza ai loro riti, così come la sua partecipazione alle pagane liturgie induiste, di cui le cronache laiciste celebrarono, a suo tempo, l’apertura ecumenica alla diversità religiosa. E sull’onda di tale corrente modernista, avremo, più tardi, sacrileghe celebrazioni eucaristiche officiate nei luoghi e nei modi più irriverenti e scandalosi.

Nel prosieguo, elencheremo e chioseremo a dovere, le così dette riforme che Paolo VI condusse contro una Chiesa “non reformanda quia numquam deformata” – da non essere riformata perché mai deformata. Sì, ma fino all’11 ottobre 1962, giorno dell’apertura del Concilio Vaticano II.

L.P.