IL FALSO E IL VERO DANTE CHIARIMENTI   Prima parte

Ci accadde, molto tempo fa – Anno Domini 2011 – di leggere un periodico di informazione culturale – su cui caliamo il silenzio, secondo l’ottimo consiglio di ser Brunetto Latini “Saper d’alcuno è buono / delli altri fia laudabile tacerci” (Inf. XV, 103/104) nel quale, da più autori, veniva condotto un percorso esegetico circa Dante Alighieri, descritto, via via come: esoterico – eretico – templare – cataro – alchimista – fedele d’Amore – kabbalista – massone – nonché – esploratore di continenti nordici – supremo iniziato – profeta – mistagogo[1].

Non figurando, in questa sciorinatura, segno alcuno di fede cristiana, era, ed è evidente, il disegno degli autori di eradere e vanificare l’essenza sua cattolica intruppandolo nelle confraternite dei sincretisti e degli gnostici, pertanto il nostro impegno sarà quello di confutare siffatte sottili manovre dimostrando, invece, la forte fibra del suo cristianesimo e l’inconcussa sua fede.

Da quando, nell’anno 1826, con i tipi di Giovanni Murray – Londra – in piena atmosfera romantica apparve il commento alla Commedia, redatto da Gabriele Rossetti, nel quale veniva svelato un Dante, diverso da quello fino ad allora conosciuto, un Dante oscuro, esoterico, vate dell’unità d’Italia, antipapista – musica per le orecchie anglicane – la schiera dei sommozzatori dei fondali dell’occulto e i solutori dello “enigma forte[2] crebbe con l’andar del tempo.

Spiritismo, occultismo, positivismo, scienza meccanica, psicoanalisi, tutti legati tra loro in un’incredibile discorde concordia, aprirono, in fine secolo XIX, nel muro dell’esegesi dantiana classica, tradizionale, un’ampia crepa per la quale transitarono studî, investigazioni che inondarono, da allora ad oggi, scuole, biblioteche, fondazioni e bancarelle e che si caratterizzarono – come tuttora – per essere ripetizioni di quanto scritto in precedenza, idee che si rimpallano da un autore all’altro, ultime e nuove paradossali farandole, rimasticature che si propongono come chissà quali novità. Una cascata di quisquilie, di amenità, di ombre concettuali, ambagi, deliranti elucubrazioni, immagini comuni distorte, per anamorfosi, in simboli “tramandate da scritture cariche di simbologie e plasmate nel linguaggio della oscurità[3], ma levigate con l’orpello di una retorica affabulatoria, suadente, ricca di riferimenti per lo più accomodati alla nuova esegesi e taluni di sana invenzione.

Nient’altro, quindi, se non il mutato registro di valutazione che, mentre nei secoli XVI – XVII – XVIII divampava, acre e frequente, l’ avversione a Dante ad opera del Bembo, del Bettinelli, del Tassoni ed anche di Voltaire i quali lo definirono vuoto per dottrina, inesperto di lingua, ora, all’inizio del XIX secolo viene scoperto uomo di alto ingegno, poeta di occulta idealità, messaggero di enigmi, fermo possessore e custode di sottile sapienza[4].

Nei commenti riportati sul periodico abbiamo ritrovato le distillate, mirabolanti, cerebrali essenze che Rossetti, Pascoli, Benini e compagnia recitante, avevano concepito, partorito e offerto al mondo della cultura, quali annunzio di novella chiave interpretativa del mondo dantiano.

Di costoro, che tanto lusingano l’intelletto e affascinano per una qual detta “luminosa opacità” irradiante dalla notte del mistero, noi fummo costretti, per l’esercizio della professione docente, ad immergerci nelle opere in cui – lo diciamo in maniera netta – nulla di interessante, di perspicuo, di notevole e di vero in termini di oggettività che ci avrebbe arricchito l’intelletto, abbiamo avuto la ventura di trovare. Ipotesi, nient’altro che artificiose congetture aggettanti l’una all’altra nello sterile ma astuto gioco di trasformare il “se” ipotetico nel “dato che” affermativo. Un esempio: l’ipotesi, posta dal Pascoli[5] che il messo celeste, di cui si parla in Inf. IX, 80/99, nasconda l’identità di Enea, per il fatto che sia rampollata da tanto ingegno, diventa, per Luigi Valli assoluta certezza tanto da informare totalmente il suo studio. Lo stesso Valli, con il medesimo procedimento, classifica Dante quale ipotetico socio del sodalizio detto “Fedeli d’ amore[6] che Julius Evola accoglie, poi, come ulteriore notizia certa[7].

È, come si nota, nient’altro che un fideismo fondato sul noto “ipse dixit” con la variante che ciascuno di essi diventa, per i successivi esploratori il nuovo “ipse” ammantato da un’aura di sapienziale luce. Una metodologia, come ben si vede, priva di fondamenti e dolosa, che possiamo indicare come “diallele” o “petizione di principio” – ragionamento logico fallace in cui le premesse derivano dalle conseguenze, e queste da quelle, realizzando così un circolo vizioso dove la dimostrazione è solo apparente – con la quale una gratuità si aggiunge ad altra precedente giustificandola e questa ad altra ancora fino a saldare il cerchio per ricominciare ulteriori avvitamenti. Tale figurazione è nota al volgo come “il cane che si morde la coda” o, per rappresentarla in termini dotti ed eletti, come il “serpente uroburos”, il colubro che si mangia la coda e che, dovendo continuare a divorarsi, arriverà al punto di mangiarsi… la bocca.

Cade a concio quanto, riguardo a tali investigatori, Erasmo aveva scritto: “Ci sono molti che, non so come, affettano ricchezza e varietà di linguaggio, mentre non sono capaci di esprimere adeguatamente un concetto neanche una sola volta”[8]. E sarebbe, inoltre, opportuna, in queste cose, una santa semplicità che, come osserva san Girolamo[9], diversamente dalla voluttà dell’insolito, potrebbe sbrogliare matasse aggrovigliate.

Attratti dalle sirene del fascinoso e carezzevole tinnire del carillon esoterico, molti altri si impegnarono nella ricerca di prove che asseverassero le ipotesi e le supposizioni formulate, producendo lavori di scavo di lunga, laboriosa e costante dedizione, e non sempre velleitari, abbagliati, però, da vetri colorati scambiati per diamanti. A costoro ben si attaglia il consiglio manzoniano secondo cui molto di vero si sarebbe potuto sapere “se invece di cercar lontano si fosse scavato vicino[10].

Confezionare e annunciare ipotesi, gettandole nel crivello del dibattito, è un compito e un dovere di qual che sia studioso e quando, per taluni indizî, sia permesso congetturare a pro’ o contro, se ne dichiarino la natura, i presupposti e i fondamenti perché la virtù dello storico consiste nell’onestà, nel rispetto della verità così com’è di importanza capitale l’obiettività nella critica specialmente quando questa si riversi nella speculazione filosofica.

Ora, sull’aire della scoperta di un Dante segreto, vive e vegeta una selva di cultori che si definiscono “dantisti” che, riuniti in conventicole, traggono da questi garbugli misterici, fama, lucro e pagnotta, attovagliati a un’editoria che si definisce “di nicchia”, la cui produzione dilaga nei salotti, nella tv, sulla carta stampata, sulla rete informatica e sulle bancarelle. La povertà e la pomposa levità di molte affermazioni, prive di radici, è l’armamentario di queste coorti il cui vero scopo è quello di rappresentare la nostra maggiore Musa, come il banditore, il primipilo, l’alfiere di una cultura anticristiana nel segno della libertà. A costoro, noi rispondiamo ribaltando la prospettiva, con documentazione inoppugnabile per nulla intimoriti dal rischio di sentirci definiti obsoleti, poveri di spirito e accademici di poco conio, confidando in chi disse “La verità vi farà liberi” (Gv. 8, 32).

E noi ci disponiamo pronti a liberare Dante dai falsi paludamenti e dall’oscurità restituendolo, in piena luce, alla sua vera identità, quella di ardente e forte difensore della Fede e della Chiesa Cattolica, sentinella vigile, maestro di pensiero e di vita.

L.P.

 

[1] Edoardo Schuré, I profeti del Rinascimento, Ed. Laterza, 1922 pag. 40/43.

[2] Edy Minguzzi, L’enigma forte – il codice occulto della Divina Commedia, Ed. EGIC, 1989.

[3] Piero Vassallo, Ritratto d’una cultura di morte. I pensatori neognostici, Ed. D’ Auria, 1994 pag. 13.

 

[4] Autori vari, Dante oscuro e barbaro nei sec. XVII–XVIII, Ed. Carocci, 2008

[5] Giovanni Pascoli, Sotto il velame, Ed. Zanichelli, 1900, pag. 218.

[6] Luigi Valli, Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore, Ed. Luni, 1994.

[7] Julius Evola: La tradizione ermetica, Mediterranee, 1996 pag. 36 e passim.

[8] Erasmo, Colloquia, Ed. Einaudi, Biblioteca della Pleiade, 2002, pag. 218

[9] San Girolamo, Epistole, 57, 12 – Ad Pammachium, Ed. BUR, 1980, pag. 418.

[10] Alessandro Manzoni, I Promessi Sposi, Ed. S.E.I., pag.176.