1970/2020: 50 ANNI DALLA “NUOVA MESSA”

Ricapitolando riassumiamo ora, per sommi capi, i principali cambiamenti in senso filo/protestante – evidenziati dal da Silveira assieme ai Cardinali Ottaviani e Bacci e al “Breve Esame Critico del NOM” – attuati nella “Messa di Paolo VI”, sia nell’architettura liturgica sia nel Rito stesso, con la precisazione che ci occuperemo qui solo di quelli più facilmente percepibili anche dai semplici fedeli. Infatti basta assistere al nuovo rito della Messa per vedere, sentire, costatare e toccare con mano la sua enorme diversità riguardo alla Messa romana di Tradizione apostolica.

La rottura con la Tradizione nel caso della Messa montiniana (a differenza dei 16 Decreti del Concilio Vaticano II[1]) si vede, si mostra e non si dimostra,  come per i princìpi per sé noti o  evidenti (per esempio, “il tutto è maggiore della parte”; “il sì è il sì, il no è il no, il sì non è  il no”…).

 

Cambiamenti Concreti Nell'Architettura Liturgica

1°) Abolizione sistematica delle balaustre delimitanti lo spazio sacro del Presbiterio. L'area di quest'ultimo, prima riservata – come sta ad indicare il termine stesso –  ai sacerdoti e agli altri ministri sacri, diviene ora una passerella per l’esibizione di laici  malati di protagonismo. Risultato: abolizione del concetto di “luogo sacro”, desacralizzazione del sacerdote, progressiva equiparazione pratica di clero e laicato.

2°) Rivolgimento “verso il popolo” dell'altare per la celebrazione. Il sacerdote non si rivolge più a Dio per offrirgli il divino Sacrificio a favore dei fedeli, bensì verso il popolo nell'ambito di una semplice riunione di preghiera ciò segna in concreto o liturgicamente e praticamente il passaggio teologico operato dottrinalmente e teoricamente dal Concilio Vaticano II dal teocentrismo all’antropocentrismo. Da notare che nemmeno in antico l'altare fu mai rivolto “verso il popolo” bensì verso l'Oriente, simbolo di Cristo, come tra l’altro testimonia anche l’orientamento topografico di molte antiche Basiliche. L'altare, anzi la mensa “verso il popolo” è, invece, una creazione tutta personale di Lutero e degli altri pseudo/riformatori del XVI secolo.

3°) Progettazione dell'altare quasi sempre a forma di mensa, ossia di tavola per una cena. La Messa non è più Sacrificio espiatorio, ma diviene semplice cena o agape fraterna. L'altare, infatti, richiama l’idea del Sacrificio offerto a Dio; la mensa invece richiama quella di un pasto comune nell'ambito di un semplice “memoriale”. Per questo nei “templi” protestanti si usa – là dove esiste – sempre una mensa e mai un altare.

4°) Il Tabernacolo, secondo le nuove rubriche della “Messa di Paolo VI”, può essere rimosso dal centro del presbiterio. Recenti e altrettanto subdole disposizioni, come, ad esempio, quelle della Conferenza Episcopale Italiana, hanno perfezionato l'opera, prevedendo un suo graduale spostamento in una apposita cappella laterale. Per non irritare i protestanti, è ovvio: così la Presenza permanente di Nostro Signore Gesù Cristo nel Tabernacolo non disturberà più l'«irreversibile cammino ecumenico».

5°) Al centro del presbiterio, in genere al posto del Tabernacolo, è situata ora la sede del sacerdote celebrante. L'uomo o l’Io prende il posto di Dio, mentre la Messa diventa un semplice incontro fraterno tra l'assemblea e il suo “presidente” ossia l'ex sacerdote pre/conciliare, ridotto ormai a semplice regista, “animatore liturgico”, perfetto showman della nuova antropocentrica Chiesa conciliare. In questa atmosfera da kermesse si inserisce, con l'approvazione entusiasta dei Vescovi, lo squallido filone pop-folk delle varie orchestrine parrocchiali più o meno giovanili, destinato a riscaldare l'atmosfera con ritmi e ballabili vari (in non poche “eucaristie conciliari” si balla ormai a tutti gli effetti).

 

Cambiamenti Pratici Nel Rito Della Messa

1°) Sono abolite le preghiere iniziali ai piedi dell'altare al termine delle quali, tra l'altro, il sacerdote si riconosceva indegno di entrare nel Santo dei Santi per offrire il Sacrificio divino, e invocava l' intercessione dei Santi per essere purificato da ogni peccato.

Al loro posto, nella “Nuova Messa antropocentrica” il “presidente dell' assemblea” si effonde in un melenso predicozzo preliminare di benvenuto (non ci si meravigli del “Buona sera!” con cui Bergoglio, il dì della sua elezione, si presentò ai fedeli radunatisi in Piazza San Pietro, nel 2013), spesso semplice preludio del suo scatenarsi in una “creatività liturgica” più o meno anarchica. Bergoglio non ha fatto null’altro che portare alle loro conclusioni pratiche le premesse teoriche del Concilio e postconcilio.

2°) È abolito il doppio Confiteor (il primo era recitato dal solo celebrante, il secondo successivamente dal popolo) che prima distingueva il sacerdote ordinato dai fedeli, i quali gli si rivolgevano chiamandolo “pater”, ossia “padre”, quindi ben distinto dai figli o fedeli battezzati. Nella “nuova Messa”, in cui il Confiteor è recitato una sola volta tutti insieme, per i fedeli il sacerdote non è più “pater” ma un primus inter pares, un semplice “fratello” alla pari con loro, democraticamente e protestanticamente annegato – appunto – nell'attuale “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli...”.

3°) Le letture bibliche possono essere proclamate anche (oggi possiamo ben dire sono proclamate invariabilmente) da semplici laici, uomini e donne (anche la Comunione può essere distribuita da essi pure sulla mano, come la Messa può essere servita da “chierichette”). Il tutto contro la proibizione risalente alla Chiesa dei primi secoli che aveva sempre riservato tale compito ai soli membri del clero a partire dal Lettorato, che era, appunto, uno degli Ordini minori attraverso i quali si diveniva chierici. Tra i protestanti, invece, non esiste clero, ma solo ministri e ministeri (per questo la “riforma di Paolo VI” ha abolito quelli che erano gli Ordini clericali minori e al loro posto ha istituito, appunto, dei... Ministeri: lettorato e accolitato) e chiunque – uomo o donna – ha accesso all’ambone ...

4°) Nell'Offertorio dell'antica Messa il sacerdote offriva Cristo come Vittima al Padre in espiazione dei peccati (Sacrificio di espiazione della pena/propiziazione della colpa) con parole inequivocabili: “Accogli, o Padre Santo… questa Vittima immacolata che io, indegno tuo servo, Ti offro... per i miei innumerevoli peccati... e per tutti i fedeli cristiani […] per la salvezza nella vita eterna”. Questa aperta sottolineatura dell'aspetto espiatorio (remissione della pena dovuta alla colpa) e propiziatorio (remissione della colpa o del peccato) della Messa è sempre stata indigesta per i protestanti, tanto che le prime parti dell’antica Messa Romana soppresse da Martin Lutero furono proprio le preghiere offertoriali. Adesso, nell'Offertorio della “nuova Messa” di Paolo VI, il “presidente dell'assemblea” – ex sacerdote pre/conciliare – offre solo pane e vino affinché diventino un indeterminato “cibo di vita eterna” e una quanto mai vaga “bevanda di salvezza… frutto del lavoro dell’uomo”.  L'idea stessa di Sacrificio espiatorio è accuratamente cancellata.

5°) Nella “Messa di Paolo VI” il Canone Romano è, sì, mantenuto, tanto per salvare la faccia, assieme ad altri tre Canoni, ma in forma mutilata. Gli sono state però affiancate, con il chiaro scopo di soppiantarlo gradualmente (oggi il primo Canone o quello romano, infatti, è tranquillamente morto e sepolto), altre tre nuovi Canoni o nuove “preghiere eucaristiche” (II, III, IV) più aggiornate, frutto della collaborazione di sei “esperti” protestanti, nelle quali il “presidente dell'assemblea” ringrazia Dio “per averci [tutti fedeli e sacerdote, ndr] ammessi alla tua presenza a compiere il servizio sacerdotale”  (Preghiera o Canone II),  fondendo il suo ruolo e quello dei semplici fedeli in un unico “sacerdozio comune” di luterana memoria; oppure, ancora,  si rivolge a Dio lodandolo perché Egli continua “a radunare… un popolo, che (nell'edizione latina è detto ut, cioè “affinché”) da un confine all'altro della terra offra… il sacrificio perfetto” (Preghiera o Canone III),  dove il popolo dei fedeli – e non più il solo sacerdote – sembra diventare l’elemento determinante affinché avvenga la consacrazione. Nella seconda fase del piano di protestantizzazione, nel “Messale di Paolo VI” sono state inserite altre quattro “Preghiere eucaristiche” (o, meglio, la Preghiera V in quattro varianti: A, B, C, D) che si spingono ancora oltre. Vi si afferma, infatti, che Cristo “ci raduna per la santa cena” (concetto e terminologia del tutto protestanti), mentre il “presbitero-presidente conciliare” non chiede più che il pane e il vino «diventino» il Corpo e il Sangue di Cristo (come ancora faceva nelle “Preghiere” II, III e IV), ma solo che “Cristo sia presente in mezzo a noi”. Una semplice e vaga “presenza” di Cristo “in mezzo a noi”. Niente più transustanziazione, né Sacrificio espiatorio/propiziatorio. Senza dei quali, però non esiste neppure la Messa. Il “sacrificio”, di cui si parla successivamente nella medesima “Preghiera eucaristica”, deve intendersi, dunque, necessariamente solo come “sacrificio eucaristico o di lode” (cosa ancora accettata da Lutero e compagni, i quali invece rifiutavano assolutamente l'idea di sacrificio espiatorio/propiziatorio). Ultimamente comunque, nella penultima fase di «restaurazione “imperiale” ratzingeriana» (diretta a salvare l’essenziale della Rivoluzione del Vaticano II dall’ anarchia più completa, smussando gli eccessi e gli estremismi, mediante la tattica leninista di “due passi avanti e un passo indietro”), nell’ ultima edizione tipica in latino del «Messale di Paolo VI» le parti incriminate della V preghiera eucaristica sono state cambiate e sostituite con quelle usate nelle Preghiere II, III e IV.

6°) Nel nuovo rito di Paolo VI in tutte le “Preghiere eucaristiche” (compresa la prima) è stato fatto scomparire il punto tipografico precedente le parole della Consacrazione. Nell'antico Messale Romano questo punto fermo obbligava il sacerdote a interrompere la semplice “memoria” degli eventi dell’Ultima Cena, per iniziare invece a “fare”, ossia a rinnovare incruentamente, ma realmente, il divino Sacrificio. Il presbitero-presidente conciliare si trova ora in presenza di due punti tipografici, che finiranno per spingerlo – psicologicamente e logicamente – a continuare soprattutto  a far memoria, e a pronunziare dunque le formule di Consacrazione specialmente con intenzione commemorativa (esattamente come nella cosiddetta “santa cena” protestante).

7°) È abolita la genuflessione del sacerdote immediatamente dopo la Consacrazione di ciascuna delle due Specie, genuflessione con cui egli esprimeva la fede nell'avvenuta transustanziazione a motivo delle parole consacratorie appena pronunciate. Cosa assolutamente inaccettabile per i protestanti, i quali, com'è noto, negano il Sacerdozio derivante dal Sacramento dell'Ordine con tutti gli speciali poteri spirituali che ne conseguono. Ora, invece, nella “Nuova Messa” di Paolo VI il “presidente dell'assemblea” si inginocchia una sola volta e non immediatamente dopo la consacrazione, bensì solo dopo aver elevato ciascuna delle due Specie per mostrarle ai fedeli presenti; ciò che risulta pienamente accettabile per i protestanti, per i quali Cristo diviene presente (senza alcuna transustanziazione) sulla “mensa” della “santa cena” esclusivamente grazie alla fede dell'assemblea. È evidente che, per l'ennesima volta, il “nuovo rito” dei conciliari viene largamente incontro ai cosiddetti “fratelli separati”.

8°) L'acclamazione dei fedeli al termine della Consacrazione, pur presa dal Nuovo Testamento, è in quel momento del tutto inopportuna e fuorviante. Introduce infatti un ennesimo elemento di ambiguità presentando un popolo “in attesa della Tua [di Cristo, ndr] venuta” proprio mentre Egli, invece, è realmente presente sull'altare come Vittima del Sacrificio espiatorio appena rinnovato. La cosa – come del resto tutte le altre modifiche e innovazioni – si rende più evidente quando la si inquadra nel contesto generale di tutti gli altri mutamenti.

9°) Nell'antico Rito Romano al momento della Comunione i fedeli, umilmente inginocchiati, ripetevano ad imitazione del centurione (Mt., VIII, 8): “O Signore, non sono degno che Tu entri nella mia casa,  ma dì solo una parola e l'anima mia sarà guarita”, espressione di esplicita fede nella Presenza reale del Signore sotto le sacre Specie. Nella “Messa di Paolo VI”, invece, i fedeli si limitano a dire di non esser degni di “partecipare” alla “tua mensa”, espressione del tutto indeterminata, perfettamente accettabile anche in ambiente protestante.

10°) Nell'antica Messa Romana l'Eucaristia veniva ricevuta obbligatoriamente in ginocchio, sulla lingua e usando ogni precauzione per evitare la caduta di frammenti (con l'uso di un piattino). Nella “Messa di Paolo VI”, invece, secondo la solita strisciante tattica modernista, si cominciava col prevedere “ad experimentum” – termine passepartout per ogni sovvertimento –  la semplice possibilità di ricevere la Comunione in piedi. In breve tempo, come da copione, i “presbiteri conciliari” l’hanno reso praticamente obbligatorio per via intimidatoria (uno sprezzante «si alzi!» è il minimo che può aspettarsi oggi l'incauto fedele che osasse rifiutare il diktat  presbiteriano). Successivamente (seconda fase del piano) è stata introdotta ad opera delle varie Conferenze Episcopali (in Italia di Giovanni Paolo II) la Comunione sulla mano, entusiasticamente propagandata da un “clero conciliare” senza più fede e completamente indifferente di fronte agli inevitabili sacrilegi, volontari o meno, ai quali viene così sottoposto il Corpo di Cristo.

11°) La distribuzione della SS.ma Eucaristia non è più riservata al Sacerdote o al Diacono come stabilito fin dall’epoca apostolica; dietro autorizzazione del Vescovo, ora godono della stessa facoltà anche Suore o semplici laici. Nulla di più utile all’«irreversibile cammino ecumenico» che il livellamento progressivo tra clero e laicato, in vista della protestantizzazione finale delle masse cattoliche.

12°) Nella Messa di Paolo VI il “presidente dell'assemblea” sùbito dopo la Comunione, come logica conclusione della nuova “celebrazione eucaristica” filoprotestante, si siede comodamente – spingendo col suo esempio i fedeli a fare altrettanto. Del tutto superfluo almanaccare sul perché. È chiaro: riposa dopo la cena comunitaria.

Non proseguiamo oltre nell'analisi della “Messa di Paolo VI”, di cui abbiamo trattato forzatamente solo alcuni aspetti più evidenti nella loro gravità e potenzialità distruttiva. Ricordiamo qui, per concludere, il grave ammonimento di quel celebre studioso di sacra Liturgia che fu Dom Prospero Guéranger. “Il primo carattere dell'eresia antiliturgica – scriveva il grande abate benedettino di Solesmes – è l'odio per la Tradizione nelle formule del culto divino. Ogni settario che vuole introdurre una nuova dottrina si trova infallibilmente in presenza della Liturgia, che è la Tradizione pregata alla sua massima potenza, e non potrebbe aver riposo senza aver messo a tacere questa voce, senza aver strappato queste pagine che racchiudono la fede dei secoli passati”. Ai protestanti, per esempio – continuava dom Guéranger – era stato sufficiente effettuare con astuzia  “la sostituzione di libri nuovi e di nuove formule alle formule e ai libri antichi, e tutto è stato consumato. Non vi era ormai più nulla che infastidisse i nuovi dottori: potevano predicare con tutti gli agi: la fede dei popoli era priva di difese[2].  E ancora: la scusa adoperata dagli eretici – avvertiva dom Guéranger – per attuare il sabotaggio della Fede tramite i cambiamenti nella liturgia è sempre stato un preteso “ritorno all'antichità”: «È essenziale esaminare le intenzioni e le dottrine di coloro che propongono dei cambiamenti nella liturgia e di tenersi in guardia contro di essi, anche se fossero coperti da pelli di pecora e  non avessero altro sulla bocca che le belle parole di “perfezionamento” e di “ritorno all'antichità”»[3]. Sembra una profezia scritta per i nostri tempi. In campo protestante G. Siegwalt, docente di teologia protestante a Strasburgo, ammetteva che “non vi è nulla, nella messa ora rinnovata, riformata, che potrebbe infastidire veramente il cristiano evangelico [cioè protestante, ndr] o che potrebbe infastidirlo più che non possano farlo [...] degli elementi, reali o assenti, del culto protestante[4].

Hilarion

Fine della terza ed ultima parte

 

[1] Cfr. Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.

[2] Dom P. Guéranger, Institutions Liturgiques, Chiré-en-Montreuil, Editions de Chiré, 1977 (ed. ridotta), pp. 107-110.

[3] Institutions Liturgiques, t. II, p. 738.

[4] Vedi il suo articolo L’intercommunion, in “Doc. Cath.”, n. 1555, 18/1/1979,  p. 96.