L’INFALLIBILITÀ, L’UNITÀ E L’ANTICHITÀ DELLA SINAGOGA  E DELLA CHIESA (2a parte)

La Tradizione cattolica e la Tradizione gnostico-giudaica pervertita (o Cabala)

  • Julio Meinvielle

Scomparso nel 1973 l’argentino don Julio Meinvielle riprende e approfondisce, studiando la Cabala ebraica, la tesi sostenuta nella Controriforma dal Pighius alla luce della S. Scrittura e della Tradizione sostenendo che Dio, tramite la Rivelazione, ha trasmesso all'umanità, fin dal primo uomo, la Verità sui misteri della sua vita intima (cfr. S. Th., II-II, q. 2, a. 7). Però la Rivelazione orale primordiale comunicata da Dio ad Adamo fu deformata e falsificata dalla ribellione e dalla malizia dell'uomo: «Purtroppo dalla Tradizione orale giudaica (...),

sotto l'istigazione dello spirito del male, prese origine una Tradizione spuria, quella gnostico/cabalistica (...). Si parte da un “dio” indeterminato... contenente in sé i contrari (...male e bene...) che diviene mondo ed uomo. L'uomo, nella concezione gnostico-cabalistica, sarebbe il culmine del processo emanativo dell'universo» (J. Meinvielle, Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano, Sacra Fraternitas Aurigarum, Roma 1988, p. 14).

Per la Tradizione vera, la Tradizione cattolica, l'uomo, con un atto di Fede o di sicuro assenso dell'intelletto all'insegnamento di Dio, può conoscere i misteri che Dio ha voluto rivelare, mentre, per la falsa Tradizione gnostico-cabalistica, l'uomo non si conforma e non aderisce alla realtà ma la elabora e la costruisce, mediante un sistema soggettivo e fantasioso, in cui il mondo e “dio” sono la stessa cosa (Panteismo).

Julio Meinvielle così spiega il pervertimento della primitiva Tradizione (Cabala) giudaica: «La schiavitù del popolo eletto in Egitto (1300 a. C.) e la schiavitù a Babilonia (586 a. C. circa) provocarono, nel seno di Israele, un'immensa perturbazione e la Tradizione cabalistica ortodossa finì col cadere nell'oblio. Più tardi, quando i tempi si compirono, la colpevolezza dei dottori della Sina­goga consistette... nella gelosa cura che si presero... di nascondere al popolo la chiave della scienza o l'esposizione tradizionale dei Libri santi, per la quale Israele avrebbe riconosciuto il Messia. Verso gli ultimi tempi di Gerusalemme (150 - 100 a. C.) il culto fu invaso... dal Fariseismo. L'attenzione dei dottori si rivolse, pertanto, alla teologia talmudica... La Tradizione talmudica allora..., snaturata nella sua parte essenziale, ricevette l'impuro miscuglio delle fantasie rabbiniche...». (J. Meinvielle, op. cit., Roma 1988, pp. 21-22).

Secondo la Tradizione cattolica Adamo riceve la Rivelazione dei Misteri divini da Dio stesso, come afferma S. Tom­maso: «... In principio Dio parlava coi primi uomini allo stesso modo con cui parla con gli Angeli...» (S. Th., II-II, q. 2, a. 7).

Prima del Peccato Originale, perciò, Adamo ebbe conoscenza esplicita dell'Incarnazione del Verbo e della SS. Trinità (cfr. S. Th., II-II, q. 2, a. 7) e con lui inizia la vera Tradizione, che propone all'uomo le verità naturali e soprannaturali necessarie per la salvezza.

Questa Tradizione fu comunicata all'uomo in tre diverse “economie”: 1ª) Tradizione primordiale (Ada­mo); 2ª) Tradizione orale scritta, o Legge mosaica(1280 a. C.); 3ª) Tradizione evangelica o Legge Nuova.

Il popolo eletto, perciò, prima ancora della Legge scritta di Mosè (1280 a. C.), possedeva una Tradizione primordiale orale (Cabala ortodossa), che fu poi affidata ad un corpo speciale di 70 dottori, posti sotto l'autorità suprema di Mosè e dei suoi successori (i Sommi Sacerdoti).

 

  • Paul Drach

Alle tre economie della Tradizione cattolica corrispondono tre “contro-economie”: a) la Cabala prima o luciferina, e la Cabala primordiale o adamitica post peccatum; b) la Cabala orale farisaica (175 a. C.); c) tradizione scritta anti mosaico-cristiana (Talmùd, III e V sec. d. C.). Nell’Ottocento un ex rabbino convertito, Paul Louis Bertrand Drach, ha approfondito in maniera ammirevole la questione dei rapporti tra la Chiesa di Cristo e la Sinagoga dell’Antico Testamento alla luce della Cabala.

Secondo il Drach la Cabala non ancora pervertita dell'antica Sinagoga mosaica non ripudiata da Dio [fino al Giovedì Santo] trattava della natura di Dio, dei suoi attributi, «dell'Incarnazione e della Trinità; ciò è attestato... anche da molti Rabbini che si sono convertiti al cristianesimo leggendo la Cabala [verace]. (...) Questa è la Cabala antica e vera, che distinguiamo... dalla Cabala  moderna, falsa, condannabile e condannata dalla S. Sede, opera di Rabbini, che hanno egualmente falsificato e snaturato la Tradizione talmudica. I dottori della Sinagoga la fanno risalire a Mosè, ammettendo nel tempo stesso che le principali verità che conteneva erano conosciute, tramite Rivelazione orale di Dio, dai primi Patriarchi» (P. L. B. Drach, De l'harmonie entre l'Eglise et la Sinagogue, Paul Mellier edit., Paris 1844, tomo 1, pp. XIII, XXVII).

È utile a questo punto leggere quanto scrive il Rabbino convertito Drach sull'affermarsi accanto a quella vera di una Cabala nuova e falsata dai Rabbini e dai Farisei: «[vi è] una Cabala vera e senza miscugli, che s'insegnava oralmente [ed in privato, tra i dottori soltanto] nella Sinagoga antica, il cui carattere è francamente cristiano [annunziava cioè Cristo come seconda Persona della SS. Trinità e come Verbo Incarnato e Redentore crocifisso]. Vi è una  seconda Cabala, falsa, piena di superstizioni ridicole e che si occupa anche di magia e di medicina... qual è diventata nelle mani dei rabbini [farisei e sadducei] della Sinagoga infedele [dopo il Giovedì Santo]... Una parte notevole della Tradizione, il cui deposito era stato confidato alla Sinagoga antica, consisteva nelle spiegazioni mistiche, allegoriche e anagogiche del Testo sacro; in breve tutto ciò che la Tradizione insegnava sul... mondo spirituale (...). Questa dottrina orale, che è la Cabala,  aveva per oggetto le più sublimi verità di Fede, e riconduceva incessantemente al Redentore promesso”. (Cfr. anche R. Gougenot des Mousseaux, Le judaisme et la judaisation des peuples chrétiens, Paris 1869, Henry Plon editeur, pp. 509 - 525).

 

Indegni ma sempre Sacerdoti sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento

Nel Vangelo secondo Giovanni (XI, 45-53) si legge che Gesù aveva risuscitato Lazzaro morto da quattro giorni ed allora «molti giudei credettero»  (v. 45). Tuttavia altri andarono a denunziarlo ai farisei e ai Sommi Sacerdoti (vv. 46-47). Allora «i Sommi Sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio» (v. 47) per decretare giuridicamente la condanna a morte di Gesù che già avevano stabilito in cuor loro[1].

L’Angelico nel suo In evangelium Joannis expositio (lezione VII, par. II, n. 1567) spiega: «a proposito di quella riunione del sinedrio emerge la malvagità dei Sommi Sacerdoti che volevano far perire Gesù […] specialmente dalla condizione delle loro persone, poiché non si trattava di semplici fedeli o popolani, bensì di sacerdoti e farisei. Ora i Sommi Sacerdoti erano a capo delle cose sacre». Si badi che la “malvagità” dei sacerdoti dell’Antica Alleanza non è dovuta alla loro vita privata, ma all’incredulità nei confronti del Messia promesso dalla Rivelazione divina e alla volontà perversa e addirittura deicida di farlo morire, eppure essi son chiamati da tutti e quattro i Vangeli sempre “Sommi sacerdoti”, come Giuda è chiamato “diavolo” dal Vangelo (Giov., VI, 70-71; XIII, 2) ma nessuno tra gli Apostoli, i Padri, i teologi e gli esegeti ha ritenuto Giuda non-Apostolo o Apostolo solo in potenza e materialmente e non in atto o formalmente, ma Apostolo tout court.

Inoltre  la  malizia dei membri del sinedrio è estrema proprio perché sacerdoti, che, posti a capo delle cose sacre, invece le violano, mentre la colpevolezza dei fedeli è molto meno grave in quanto li seguono proprio perché sacerdoti. I capi sapevano chiaramente, come insegna S. Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 47, a. 5, 6; S. Th.,  II-II, q. 2, a. 7, 8), che Gesù era il Messia e volevano ignorare o non ammettere che era Dio (ignoranza affettata, che aggrava la colpevolezza).

San Giovanni scrive: «ma uno di loro di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno» (v. 49). L’Angelico (lez. VII, par. V, n. 1574) commenta: «la persona che pronunziò la sentenza [di morte contro Gesù] viene indicata mediante il suo nome: “Caifa” e la sua dignità: “era Sommo Sacerdote”. In proposito va notato che il Signore aveva istituito (Levitico, VIII) un unico Sommo Sacerdote[2], alla cui morte soltanto doveva subentrare un successore che avrebbe esercitato l’ufficio di Sommo Pontefice a vita. Ma in seguito, col crescere dell’ambizione e dei litigi tra i giudei, fu permesso che vi fossero più Sommi Sacerdoti, che esercitassero a turno tale dignità, uno ogni anno. Essi talora acquistavano la carica, come narra Giuseppe Flavio (Antichità giudaiche, lib. XX, cap. 10)».

La simonia dunque esisteva già nell’Antica Alleanza, prima di Simon mago (Atti, VIII, 18), e non era un impedimento alla legittima detenzione dell’autorità da parte di chi l’avesse sacrilegamente comprata col denaro: i Sommi Sacerdoti simoniaci non erano considerati Pontefici solo materialmente o virtualmente e non formalmente o in atto, ma Sommi Pontefici e basta. Il “simoniaco”, nonostante sia un infedele, incredulo o ateo, che non crede a nulla, neppure a Dio, giacché compra col denaro cose spirituali come fossero materiali (cfr. S. Th., II-II, q- 100, a. 1), ha l’autorità spirituale che ha comprato anche nella Nuova ed Eterna Alleanza, benché abbia commesso un peccato mortale di sacrilegio (San Pio X, Costituzione dogmatica Vacante Sede Apostolica, 25 dicembre 1904; Pio XI, Motu proprio Cum proxime, 1° marzo 1922; Pio XII, Costituzione dogmatica Vacantis Apostolicae Sedis, 8 dicembre 1945)[3].

La simonia è un peccato contro la Fede, anzi è il rinnegamento totale di essa (incredulità, infedeltà o irreligiosità) e non di uno o più articoli di Fede (eresia), ma non fa perdere l’autorità a chi l’ha usurpata comprandola sacrilegamente. San Girolamo nel suo Commento su Matteo IV (XXVI, 57) scrive: «narra Giuseppe Flavio che Caifa aveva acquistato per denaro da Erode il sommo pontificato per un solo anno. Non c’è quindi da stupirsi se questo malvagio pontefice giudica ingiustamente». Il Vangelo prosegue e narra che Caifa disse allora: «È meglio che uno solo muoia per tutto il popolo» (v. 50) e San Giovanni aggiunge: «questo non lo disse da sé, ma, essendo Sommo Sacerdote, profetizzò» (v. 51). Il Dottore Comune della Chiesa commenta (lez. VII,  par. VII, n. 1576): «quando un uomo parla usando la propria ragione, parla da se stesso, ma, quando parla mosso da una causa superiore e per ispirazione esterna, non parla da sé»; poi (n. 1577) l’Angelico specifica: «avendo Giovanni aggiunto: “essendo Caifa Sommo Sacerdote in quell’anno”, Giovanni fa riferimento alla dignità pontificale di Caifa per dedurne che parlò in quel momento sotto la mozione dello Spirito Santo. Ciò ci fa capire che il Paraclito muove anche i malvagi[4] costituiti in autorità ad esprimere certe cose future per l’utilità dei loro sudditi». Infine (n. 1579) l’Aquinate spiega che «lo Spirito Santo non rese buona la sua [di Caifa, ndr] mente e volontà, le  quali rimasero intenzionate al male, ma solo la sua lingua affinché dichiarasse che si sarebbe compiuta la salvezza e redenzione del popolo».

  1. Agostino nel suo Commento su Giovanni (XI, 49-51, Discorso XLIX) spiega: «San Giovanni evangelista attribuisce ad un disegno divino il fatto che Caifa fosse Pontefice, cioè Sommo Sacerdote».Dio ha voluto che Caifa fosse Sommo Sacerdote perché decretasse con la bocca la morte di Gesù dovuta alla sua cattiva volontà. Tuttavia Dio mosse solo la sua lingua a profetizzare la Redenzione del genere umano mediante la morte di Cristo, ma la volontà di Caifa rimase malvagia ed egli, nonostante tutto ciò, restò Sommo Sacerdote.

 

Inconsistenza del sedevacantismo anche mitigato

Il Vangelo secondo Matteo (XXVI, 65) narra che, quando Gesù confessò, interrogato da Caifa, la sua divinità, «il Sommo Sacerdote si stracciò le vesti». L’Aquinate nelle sua Catena aurea riporta il commento di diversi Padri della Chiesa su questo passaggio, tra cui quello di San Girolamo che è molto forte e va letto nel contesto della sua ‘Omelia 85 sul Vangelo di Matteo’ per essere capito bene: «Caifa per il fatto che si strappa le vesti  mostra o vaticina che gli ebrei hanno perduto la gloria sacerdotale e che è vuoto il trono del pontefice» (Catena aurea, Expositio in Mattthaeum, cap. XXVI, lez. 16, Torino, Marietti, 1953). Ora, nel contesto dell’Omelia 85 di Girolamo in Matthaeum, si legge che «lo zelo rabbioso con cui Caifa straccia la sua veste, fu un vaticinio o una profezia della fine del sacerdozio dell’ Antico Testamento, il quale sarebbe stato rimpiazzato, dopo il deicidio e la scissione del velo del Tempio, da quello del Nuovo ed Eterno Testamento sino alla fine del mondo» (Homilia in Matth., 85). Per cui il gesto di Caifa, come lo scindersi del velo del Tempio, mostra, profetizza o vaticina la fine dell’Antica Alleanza, ma ciò non significa che, secondo San Girolamo, Caifa non era Sommo Pontefice; infatti nel corso dell’Omelia 85 e del Commento IV a Matteo Girolamo continua a chiamare Caifa Sommo Pontefice come fanno tutti i Vangeli e gli altri Padri della Chiesa.

Melchior Cano (Libri XII de locis theologicis, Roma, Cucchi, 3 voll., 1900) ha posto tra i “Luoghi Teologici” la S. Scrittura, la Tradizione apostolica e patristica, i Dottori scolastici, la Liturgia, le quali sono tutte concordi nel ritenere Caifa Sommo Sacerdote e Giuda Apostolo benché deicidi e diavoli, per cui la tesi del sedevacantismo anche mitigato (Papato materiale e non formale) non è teologicamente fondata.

San Gregorio Magno nel suo Sermone XLIV, 2 scrive: «Caifa strappando tutta la sua veste si privò del suo decoro di Sommo Pontefice; infatti il Levitico (XXI, 10) insegna: “non stracciate le vostre vesti”. Lo stesso strappo che fa a pezzi il tuo abito e decoro sacerdotale presto straccerà a metà il velo del Tempio». Sempre San Tommaso nella Catena aurea In Marcum (XIV, 63) cita San Leone Magno: «stracciandosi la veste Caifa, il Sommo Sacerdote, ignorando il significato profetico di questo gesto, si spoglia dell’onore sacerdotale[5], contravvenendo al Levitico capitolo VIII: “non rompere i tuoi vestiti”. […]. Come per dimostrare che la Vecchia Legge sarebbe finita, quello strappo del suo ornamento sacerdotale è lo stesso che tra poco avrebbe stracciato il velo del Tempio». Infine l’Angelico cita San Beda: «Caifa si straccia la veste, la tunica di Gesù non fu rotta neppure dai soldati che se la giocarono a sorte. Ciò è figura del sacerdozio dell’Antico patto, che sarebbe finito per colpa del deicidio, invece la saldezza della Chiesa, simboleggiata  dalla veste inconsutile di Cristo, non finirà mai».Inoltre tutti i versetti dei quattro Vangeli chiamano Caifa “Sommo Sacerdote” e nessuno dei Padri che li hanno commentati  afferma che Caifa non fosse  Sommo Sacerdote oppure lo fosse solo virtualmente o materialmente.

 

  • Giuseppe Ricciotti

L’abate Giuseppe Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo (Milano, Mondadori, 5a ed., 1974, 2° vol., par. 562-568, “Il Processo di Gesù davanti al Sinedrio”, pp. 642-648) chiama Caifa per ben sei volte “Sommo Sacerdote”; inoltre  (pagina 647, par. 567) scrive in maniera specifica: “Chi interrogava [Gesù] era rivestito dell’Autorità Somma e Ufficiale in Israele. […]. Pericoloso che fosse, era ben giunto [per Gesù] il momento di dichiarare apertamente la propria qualità davanti all’intero Israele, rappresentato dal Sommo Sacerdote e dal Sinedrio”. Quindi si deve concludere con gli Evangelisti, i Padri della Chiesa, il Dottore Comune e gli esegeti approvati che Caifa era Sommo Sacerdote come Giuda era Apostolo.

 

  • Antonino Romeo / Francesco Spadafora

 ........................

(L'Articolo continua nell'edizione cartacea)

 

[1] Mons. Antonino Romeo scrive: “In Israele il sacerdote (kohèn, colui che sta in piedi o assiste) appare al tempo di Mosè. Il Pentateuco parla di un sacerdozio pre-mosaico, che si innesta nella storia generale delle religioni, quando nei tempi più remoti ognuno offriva a Dio sacrifici privati. […]. Dopo, Mosè unificò le funzioni cultuali nella tribù di Levi, i leviti erano assistenti o accoliti dei sacerdoti, e il sacerdozio nella famiglia di suo fratello Aronne, che assieme a Mosè facevano parte della tribù di Levi. […]. Mosè consacrò Aronne sommo sacerdote con l’unzione del capo, questa unica consacrazione di Aronne sarebbe passata ai suoi discendenti diretti  e il sommo sacerdozio al primogenito della famiglia di Aronne, mentre gli altri membri della tribù di Levi rimanevano addetti solamente al culto come ‘associati’, aiutanti o servienti dei sacerdoti. […]. I requisiti per il sacerdozio erano soprattutto la discendenza, dimostrabile mediante le tavole genealogiche, da Aronne. […]. I sacerdoti offrivano i sacrifici nel Tempio di Gerusalemme, istruivano il popolo nella fede e lo guidavano nella legge col potere di chiarire ed applicare le prescrizioni, inoltre amministravano la giustizia con potere coercitivo. […]. I sacerdoti d’Israele furono spesso indegni, sin dall’inizio (i due figli di Aronne Nadab e Abiù). […]. La fine del mosaismo e la distruzione del Tempio nel 70 d. C. tolse al sacerdozio israelitico ogni ragion d’essere. Il giudaismo non ebbe più sacerdoti, né sacrificio che poteva essere offerto solo nell’unico Tempio di Gerusalemme e soltanto dai discendenti di Aronne, mentre le tavole genealogiche andarono smarrite con la distruzione del Tempio ” (in Dizionario biblico,  diretto da F. Spadafora, Roma, Studium, 3a ed., 1963, pp. 531-533; cfr. A. Romeo, Enciclopedia del Sacerdozio, voce “Il Sacerdozio d’Israele”, Firenze, 1953, pp. 393-498).

[2] Levi era figlio di Giacobbe, vissuto nel 1700 a. C. circa, mentre Mosè visse nel 1300 a. C., ossia circa 400 anni dopo Levi, ed apparteneva alla tribù di Levi assieme ad Aronne suo fratello (cfr. Antonino Romeo, voce “Levi”, in Dizionario biblico, a cura di Francesco Spadafora, Roma, Studium, 3a ed., 1963, p. 369; cfr. A. Romeo, Enciclopedia del Sacerdozio, voce “I Leviti”, Firenze, 1953, pp. 423-435, 438 ss.).

[3] Per l’analogia che intercorre tra la costituzione divina e le proprietà della Chiesa di Cristo e della Sinagoga o Chiesa dell’Antico Testamento (prima del deicidio) si veda D. P. L. B. Drach, De l’harmonie  entre l’Eglise et la Synagogue, Parigi, Mellier, 1844., tr. it., Roma, 1864; cfr. Eugenio Zolli, voce “Drach David Paul”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1919-1920.

[4] Non malvagi per vita privata moralmente peccaminosa, ma per incredulità pubblica e manifesta, in quanto avevano comprato il sacerdozio e volevano usarlo per far crocifiggere Gesù.

[5] Compie un atto moralmente disonorevole, ma resta giuridicamente Sommo Sacerdote.