IL PROBLEMA DELL’UNA CUM

1° SECONDO LA SANA TEOLOGIA DELLA PRIMA, SECONDA E TERZA SCOLASTICA

Padre Domingo Bañez

L’eminente teologo domenicano Domingo Bañez[1], commentando la Somma Teologica dell’Aquinate (In IIam-IIae, q. 1, a. 10) e riprendendo l’ipotesi del suo confratello il cardinal Tommaso de Vio detto il Gaetano[2] (De comparatione auctoritatis Papae et Concilii, Roma, Angelicum, 1936, ed. a cura di Vincent Pollet, cc. 18-19), spiega che il Papa se, per pura ipotesi investigativa, cadesse in eresia, resterebbe Papa.

Infatti la mancanza della grazia santificante lo separerebbe dall’Anima della Chiesa e la mancanza di fede dal Corpo di Essa, ma la giurisdizione visibile del Pontefice romano non ne verrebbe scalfita poiché essa riguarda il governo visibile della Chiesa, che è una società visibile e non può essere privata  della Prima Autorità visibile che la governa a motivo della mancanza in quest’ultima di grazia o di fede, i quali sono abiti soprannaturali invisibili[3].

Quindi, secondo il Bañez, (e il Gaetano alla scuola di S. Tommaso[4]) il Papa ipoteticamente eretico non sarebbe membro vivo della Chiesa per mancanza di grazia, non farebbe più parte del Corpo della Chiesa per errore contro la fede, ma ne sarebbe Capo visibile in atto quanto al governo o alla giurisdizione: “Il Papa non è Capo della Chiesa in ragione della santità o della fede perché non è così che può governare i membri della Chiesa, ma è Capo di essa in ragione dell’ufficio ministeriale, che lo rende atto a dirigere e governare la Chiesa mediante il governo esterno e visibile e tramite la gerarchia ecclesiastica, che è visibile  e palpabile. Quindi secondo l’ influsso spirituale della grazia e della fede non è membro della Chiesa di Cristo, se non le ha; invece secondo il potere di governare e dirigere la Chiesa ne è il Capo visibile in atto” (In IIam-IIae, q. 1, a. 10, Venezia, 1587, coll. 194-196)[5].

 

Charles-René Billuart

 Il Billuart[6] (1685-1757) nel suo De Incarnatione (dissert. IX, a. II, § 2, obiez. 2) riprende la tesi del Bañez e insegna che “il Capo governa e il membro riceve la vita della grazia. Quindi, se il Papa cadesse in eresia, manterrebbe ancora la giurisdizione con la quale governerebbe la Chiesa, ma non riceverebbe più l’ influsso della grazia santificante e della fede da Cristo Capo invisibile della Chiesa e dunque non  sarebbe membro di Cristo e della Chiesa. Ora in un corpo fisico chi non è membro fisico non può esserne capo fisico, ma in un corpo morale o in una società la testa morale può sussistere senza essere membro morale di essa. Infatti un corpo fisico senza vita non sussiste e un capo fisico morto non governa il corpo fisico, mentre il capo morale di una società o corpo morale lo governa anche senza la vita spirituale o la fede” (cfr. Ch.-R. Billuart, Cursus theologiae, III pars, Venezia, 1787, pp. 66; II-II pars, Brescia, 1838, pp. 33-34, 123 e 125).

 

Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange

Recentemente anche uno dei più grandi teologi del Novecento, padre Reginaldo Garrigou-Lagrange[7], nel suo trattato De Christo Salvatore (Torino, Marietti, 1946, p. 232), commentando San Tommaso (S. Th., III, qq. 1-90) e riprendendo la dottrina dei due Dottori domenicani controriformistici citati sopra, precisa che un Papa ipoteticamente eretico occulto resterebbe membro della Chiesa in potenza, ma non in atto, e manterrebbe la giurisdizione tramite la quale governa visibilmente la Chiesa. L’eretico pubblico, invece, non sarebbe più membro della Chiesa neppure in potenza, come insegna il Bañez, ma manterrebbe il governo visibile della Chiesa.

È pacifico, dunque, per la sana e la più alta teologia della prima, seconda e terza scolastica (S. Tommaso, Gaetano, Bañez e Garrigou-Lagrange) che, ammesso e non concesso che il Papa cada in eresia, manterrebbe egualmente la giurisdizione e resterebbe Capo della Chiesa, pur cessando di esserne membro.

Se si trattasse di una testa fisica, spiega padre Garrigou-Lagrange, ciò sarebbe impossibile, ma è possibile se si tratta di un Capo morale e per di più “vice gerens”, ossia se si tratta del Vicario visibile di Cristo invisibile asceso in Cielo e Capo principale della Chiesa.

La ragione è che la testa fisica di un corpo non può influire e comandare i membri del suo corpo, se ne viene separata fisicamente perché non riceve più la vita dall’anima separata dal capo e dal corpo (per esempio Tizio viene decapitato e muore, la sua anima lascia il suo corpo e la sua testa non ne dirige più, tramite il cervello, tutti gli organi), mentre un Capo morale di una società o di un ente morale (temporale come lo Stato o spirituale come la Chiesa) può esercitare la giurisdizione sull’ente morale anche se è separato per l’errore contro la fede o per il peccato dalla Chiesa[8] e dall’influsso vitale interno e soprannaturale di  Cristo. Ciò, pur essendo anormale ed eccezionale, è possibile[9].

 

  1. IL SEDEVACANTISMO E LA QUESTIONE DELLA MESSA “UNA CUM”

Una questione spinosa

Si risolve, così, la famosa e spinosa questione della Messa celebrata “una cum Pontifice nostro N.” (Paulo VI-Francisco I). Infatti, siccome il Papa ipoteticamente eretico non sarebbe membro vivo della Chiesa per mancanza di grazia, né farebbe parte del Corpo della Chiesa per errore contro la fede, ma ne sarebbe, tuttavia, Capo visibile quanto al governo o alla giurisdizione secondo la migliore teologia tomistica, dall’Aquinate (†1274), ai teologi controriformistici (XVI secolo) e al Billuart (XVIII secolo) sino al padre Garrigou-Lagrange (†15 febbraio 1964), allora è del tutto lecito citare nel Canone della Messa il Papa (eventualmente) eretico, che non è membro della Chiesa, ma che quanto al potere di giurisdizione ne è il Capo, dicendo, come recita il Canone: “In primis, quae tibi offerimus pro Ecclesia tua sancta catholica: quam pacificare, custodire, adunare et regere digneris toto orbe terrarum: una cum famulo tuo Papa nostro N. et Antistite nostro N./ In primo luogo ti offriamo questi doni per la tua santa Chiesa cattolica affinché ti degni pacificarla, custodirla, riunirla e governarla in tutto il mondo insieme con [una cum] il tuo servo il nostro Papa N., e con il nostro Vescovo N.” Si chiede, infatti, al Signore di pacificare, custodire, riunire e governare  la Chiesa assieme al Papa e al Vescovo del luogo ove si celebra. In breve si prega per la Chiesa, per il Papa e per il Vescovo; nulla di più, nulla di meno. Questa è la traduzione esatta delle parole “Una cum” del Canone della S. Messa[10].

I sedevacantisti pretendono che esse significhino: “…la tua santa Chiesa cattolica che fa una sola cosa con il tuo servo il nostro Papa N.”. Ora anche se così fosse  e si dicesse, nel Canone della Messa, che la Chiesa e il Papa sono una sola cosa perché il Papa ne è il Fondamento e il Capo visibile, alla luce di quanto insegnato dai teologi citati  sopra non vi sarebbe nessun inconveniente. Quindi il Papa può essere nominato nel Canon Missae anche secondo questa traduzione inesatta senza commettere nessun peccato.

 

Prima Sedes a nemine judicatur

Nel caso di un Papa cattivo, che porti la Chiesa verso una grave crisi nella fede e nei costumi, siccome nessuna autorità umana è superiore al Papa si può pregare Dio che lo converta o che lo tolga da questa terra come S. Tommaso d’Aquino insegna: “il cattivo prelato può essere corretto dall’inferiore che ricorre al superiore denunciandolo, e se non ha un superiore [come nel caso del Papa, il cui superiore è solo Cristo, ndr], ricorra a Dio affinché lo corregga o lo tolga dalla faccia della terra” (IV Sent., dist. 19, q. 2, a. 2, qcl. 3, ad 2). In nessun caso si può giudicare il Papa [con un verdetto giuridico, s’intende] e deporlo dal Papato: “Prima Sedes a nemine judicatur”. Il Concilio Vaticano I (IV sessione, 18 luglio 1870, Costituzione dogmatica Pastor aeternus) ha definito dogmaticamente il principio della ingiudicabilità del Papa da ogni autorità umana e ecclesiastica[11]. Il CIC del 1917 al canone 1556 riprendendo la definizione dogmatica del Vaticano I ha stabilito il principio: “Prima Sedes a nemine judicatur”, ripreso tale e quale anche dal CIC del 1983, canone 1404.

Quindi nel Canone della Messa è lecito pregare Dio che aiuti la Chiesa assieme al Papa e al Vescovo del luogo (una cum Papa  nostro N. et Antistite nostro N.) e che, se non vi è altro rimedio, tolga dalla faccia della terra Papa nostro Francisco” e lo accolga nel seno della Sua Misericordia. Si badi, però, che augurarsi la dannazione di qualsiasi persona è peccato mortale.

 

3° CONCLUSIONE

Non vi è dunque nessun peccato nel nominare nel Canon Missae il nome del Papa ritenuto, ma non dimostrato, decaduto dal Pontificato perché, ammesso e non concesso, che non  sia membro della Chiesa per eventuale indegnità o eresia, ne resta il Capo e il fondamento visibile quanto al governo. È anche lecito assistere alla Messa “una cum” senza commettere peccato mortale.

Un battezzato scellerato per vita immorale o per mancanza di fede, se eletto canonicamente Papa, non è membro vivo o non è affatto membro della Chiesa, però ne resta il Capo (anche se indegno) quanto al potere di giurisdizione. Quindi la governa visibilmente e lo si deve nominare nel Canone della Messa senza per questo macchiarsi di peccato e sporcare la Chiesa, che è Santa quanto alla sua natura (Corpo Mistico di Cristo), al suo fine (il Cielo),  alla sua origine (Cristo)  e ai suoi mezzi (Sacramenti, Magistero infallibile e Leggi), ma è composta per divina volontà di membri sia santi sia peccatori. Il Papa come membro può essere un peccatore anche contro la fede, ipoteticamente potrebbe essere considerato “eretico”, ma solo in maniera puramente investigativa o dubitativa, come quando S. Tommaso d’Aquino si chiede in forma fittiziamente dubitativa “An Deus sit/ Se Dio esista” (S. Th., I,q. 2, a. 3), tuttavia in entrambi i casi resterebbe Capo visibile (anche se indegno) della Chiesa quanto al governo di Essa.

Privare oggi, in questo mondo contemporaneo letteralmente diventato “infernale”, i fedeli della Messa tradizionale perché viene celebrata nominando nel Canone il nome del Papa eletto canonicamente e regnante pubblicamente anche se malamente è un azzardo scellerato, che espone la maggior parte dei fedeli al rischio prossimo di non poter vivere abitualmente in stato di grazia, privandoli di tutti Sacramenti amministrati “una cum”.

Ai fedeli è lecito andare ad ogni Messa tradizionale (celebrata anche non “una cum”) perché è il Ministro che  risponde a Dio delle sue scelte, mentre  il fedele deve solo rispondere se ha osservato il 3° Comandamento: “Ricordati di santificare le feste”.

Non dimentichiamo mai l’ insegnamento dell’Angelico secondo cui “Dio non abbandona mai la sua Chiesa al punto da non poter trovare ministri sufficienti per le necessità del popolo” (S. Th., Suppl., q. 36, a. 4, ad 1). Ora, se gli unici Sacramenti leciti fossero quelli amministrati senza l’ “una cum”, i ministri cattolici sarebbero forse un centinaio su un miliardo e mezzo di fedeli cattolici. Quindi sarebbero totalmente insufficienti per le necessità del popolo e la Chiesa non sarebbe più “cattolica” ossia sparsa nell’ universo mondo, sarebbe una chiesuola neppure nazionale, ma addirittura regionale.

Petrus

 

[1]Nato a Valladolid il 29 febbraio 1528 e morto a Medina del Campo il 21 ottobre del 1604. Discepolo di Domingo Soto e di Melchior Cano all’Università di Salamanca, vi scrisse profondi commenti alla Somma Teologica dell’Aquinate e insegnò per molti anni acquistando fama di profondo interprete di S. Tommaso d’Aquino (†1274), il massimo Dottore della prima Scolastica e il Dottore Comune o Ufficiale della Chiesa universale. Il nome del Bañez è legato indelebilmente alla celebre controversia sul concorso divino, sulla pre-mozione fisica, sulla grazia efficace e sulla predestinazione al Cielo ante praevisa merita sostenuta da lui e dal suo Ordine nel 1582-1588 contro Ludovico Molina (Cuenca 1536-Madrid 1600) e i Gesuiti. Fu uomo di vita austera e di profonda pietà e per vari anni il confessore di S. Teresa d’Avila e dell’imperatore Filippo II.  Cfr. U. Viglino, voce Bañez, in Enciclopedia Cattolica; C. Giacon, La seconda scolastica, Milano, Bocca, 1946, vol. II.

[2]Teologo, cardinale e Maestro generale dei  Domenicani, nato a Gaeta il 2 febbraio 1468, morto a Roma il 10 ottobre 1533, riposa nella Basilica di S. Maria sopra Minerva a fianco del Ferrariensis (Ferrara, 1474 – Rennes 1528) o Francesco de’ Silvestri da  Ferrara, il grande commentatore della Summa contra Gentiles di Tommaso d’Aquino. Tommaso de Vio fu un lavoratore infaticabile e scrisse numerosissime opere di filosofia,  teologia e di esegesi, ma la sua fama più duratura resta legata al classico commento della Summa Theologiae di S. Tommaso d’Aquino, composto dal 1507 al 1520, la cui maggiore edizione è quella Leonina in 13 volumi, iniziata nel 1882 per volere di Leone XIII. Cfr. U. Degli Innocenti, voce De Vio Tommaso, in Enciclopedia Cattolica; C. Giacon, La seconda scolastica, Milano, Bocca, 1946, vol. II.

[3]“Qualunque sia la forma di governo, ciò che importa  anzitutto è che ci sia un governo, altrimenti una società non sta in piedi. Quindi l’esistenza di un governo è giustificata dall’ordine intrinseco che pone e conserva i rapporti tra gli uomini, i quali devono vivere e vivono di fatto in società. Ora il governo di una società complessa, com’è la società civile o lo Stato nazionale [e a maggior ragione la società spirituale universale che è la Chiesa, ndr], deve essere forte, cioè capace di tenere sotto di sé e dirigere tutte le attività delle famiglie e degli altri organismi che possono svolgersi entro la società suddetta” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di Teologia Morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, vol. I, p. 753, voce “Governo”).

[4]III Sent., d. 25, q. 1, a. 2, ad 5; S. Th., II-II, q. 14, a. 2, arg. 4; II-II, q. 1, a. 10; II-II, q. 10, a. 5, ad 3; II-II, q. 1, a. 7, arg. 2; II-II, q. 2, a. 6, ad 3II-II, q. 1, a. 9, sed contra.

[5]È interessante notare che Domingo Bañez (In IIam-IIae, q. 1, a. 10, Venezia, 1587, col. 196) trattando questo problema fa un’analogia tra il Re e il Papa, tra lo Stato e la Chiesa, analogia negata da alcuni che dichiarano il Papa decaduto dal Papato. 

[6]Nato a Revin sulla Mosa nelle Ardenne l’8 gennaio 1685, morto ivi il 20 gennaio 1757. La sua opera principale è la Summa Sancti Thomae hodiernis Academiarum moribus accommodata (19 voll., Liegi, 1746-51), cui fece seguire il Supplementum cursus Theologiae (Liegi, postumo 1759). Il Billuart stesso  fece un compendio delle due opere intitolato Summa Summae Sancti Thomae sive compendium Theologiae (6 voll., Liegi, 1754). Difese la dottrina tomistica e bañeziana sulla premozione fisica, la predestinazione e la grazia efficace. Egli fu il teologo più stimato del suo tempo specialmente nel XIX secolo. Anche ai nostri giorni la sua Summa è uno dei manuali più consultati per l’assoluta fedeltà al tomismo, la chiarezza dell’ esposizione e la precisione del linguaggio. Cfr. P. Mandonnet, voce Billuart, in D. Th. C., vol. II, coll. 890-892.

[7]Nato ad Auch in Francia nel 1877 e morto a Roma nella Clinica S. Domenico in piazza Sassari il 15 febbraio 1964. Nel 1909 iniziò l’insegnamento della teologia dogmatica alla Pontificia Università dei Domenicani chiamata Angelicum in Roma e lo proseguì sino al 1960. “Nella prima metà del XX secolo e soprattutto durante il Pontificato di Pio XII fu il teologo più ascoltato dalla Curia romana. Preciso, chiaro, metodico e profondo, seppe mettere al servizio della teologia meglio di qualsiasi altro la filosofia neotomistica” (B. Mondin, Dizionario enciclopedico di filosofia, teologia e morale, Milano, Massimo, II ed., 1994, p. 362). Garrigou-Lagrange “è stato il più eminente e influente teologo cattolico della prima metà del XX secolo, colui che dopo la crisi modernista ha saputo meglio d’ogni altro operare una solida sintesi tra il dato rivelato e il realismo filosofico di S. Tommaso. L’edificio che egli ha costruito con lo strumento della filosofia tomistica è di enorme portata; è ammirevole oltre che per la sua grandiosità anche per la solidità d’ogni sua parte. È il classico edificio della teologia classica post-tridentina” (B. Mondin, Dizionario dei Teologi, Bologna, ESD, 1992, p. 255). Cfr. I. Colosio, Il padre Maestro Reginaldo Garrigou-Lagrange, l’uomo di studio, in “Rivista di ascetica e mistica”, 1965, pp. 52-68.

[8]Giovanni Hus (1369-1415) riteneva, come i Donatisti, che i sacerdoti privi della grazia santificante non conferiscono i Sacramenti validamente (DS, 1208). Egli estendeva questo principio anche al potere che riguarda il governo o la giurisdizione della Chiesa. In breve, secondo Hus, un Papa che non segue S. Pietro nei buoni costumi e nella confessione della fede, non è Papa, successore di Pietro, ma è vicario di Giuda Iscariota (DS, 1212-1213); se il Papa è cattivo o infedele, allora, al pari di Giuda, è un demonio, un ladro, destinato all’eterna rovina, e non è Capo di una Santa Chiesa Militante, non essendo neppure membro di questa (DS, 1220). Secondo Hus ciò vale per tutti i Cardinali e i Vescovi ed anche per i titolari dei poteri civili: “nessuno è pubblica autorità civile sin da che è in stato di peccato mortale” (DS, 1230). Cfr. G. Perini, I Sacramenti, Bologna, ESD, 1999,  II vol., Battesimo, Confermazione, Eucarestia, pp. 87-88; A. M. Lanz, voce Hus, in Enciclopedia Cattolica. .

[9]Non è assolutamente o metafisicamente possibile anche per miracolo solo ciò che ripugna (per esempio che un triangolo, restando tale, abbia quattro angoli); è fisicamente possibile per miracolo che un peso  lasciato nel vuoto non cada a terra se Dio sospende le leggi naturali; solo in maniera eccezionale e anormale invece è moralmente possibile che una madre odi e uccida suo figlio andando mostruosamente contro l’inclinazione naturale.

[10] Si veda G. Campanini – G. Carboni, Vocabolario Latino-Italiano, Italiano-Latino, Torino, Paravia, 1961, VI ed., p. 158, voce “Cum”: “preposizione con l’ablativo indicante compagnia. […]. Una cum, insieme”.

[11]“Insegniamo e dichiariamo che, secondo il diritto divino del Primato papale, il Romano Pontefice è il giudice supremo di tutti i fedeli […]. Invece nessuno potrà giudicare un pronunciamento della Sede Apostolica, della quale non esiste autorità maggiore. Quindi chi afferma essere lecito appellarsi contro le sentenze dei Romani Pontefici al Concilio ecumenico, come ad un’autorità superiore al Sommo Pontefice, è lontano dal retto sentiero della verità” (DS, 3063-3064).