RITI VALIDI/INVALIDI, LECITI/ILLECITI E PIÙ O MENO OPPORTUNI

Un rito liturgico può essere 1°) invalido o nullo (per esempio la cena luterano/calvinista, che, negando per principio la transustanziazione e la presenza reale, non produce l’effetto del Sacramento, ossia la presenza di Gesù sotto le apparenze del pane e del vino);

2°) valido, ma illecito, cioè non permesso perché vìola una norma giuridica morale o religiosa (ad esempio la Messa degli scismatici ortodossi, che negano il Primato del Papa o una Messa cattolica, in cui il celebrante fa apparire ballerine seminude nel coro a fianco dell’altare)[1]; 3°) infine può essere più o meno buono, adatto, opportuno, cioè può essere il migliore possibile o solo sufficientemente buono, ma non cattivo in sé (qualche liturgista, per esempio, dice che la riforma della Settimana Santa di Pio XII non è stata la migliore possibile, ma non è cattiva; lo stesso si dice della riforma delle rubriche della Messa Romana e del Breviario Romano del 1962 fatta da Giovanni XXIII[2]).

Ora riguardo ai “nuovi Sacramenti” promulgati da Paolo VI (specialmente i riti dell’Ordine e della Cresima) abbiamo semplicemente constatato il fatto che non vi sono dubbi positivi, cioè fondati sulla loro validità, ma senza voler presentare questa nostra costatazione come obbligatoria e definitoria, non avendone l’intenzione e neppure l’ autorità.

 

I sacramenti in genere

I teologi hanno discusso se l’istituzione di tutti i Sacramenti sia immediatamente e specificatamente divina (cioè se Cristo stesso ha stabilito la materia e la forma precise di ogni Sacramento), oppure mediatamente e genericamente (cioè gli Apostoli e la Chiesa possono determinare la materia e la forma di alcuni Sacramenti – tranne il Battesimo, l’ Eucarestia e l’Estrema Unzione – per volontà di Gesù e assistiti dallo Spirito Santo).

S. Bonaventura (Breviloquium, VI, 4, 1) sostiene questa seconda tesi, mentre nella controriforma i teologi cattolici (specialmente S. Roberto Bellarmino, De Sacramentis, Venetiis, 1590) per reazione al Luteranesimo, che negava l’Istituzione divina dei Sacramenti, hanno difeso, forse con troppo ardore, la tesi della loro Istituzione immediata e specifica da parte di Gesù. Tuttavia anche molti Dottori della Controriforma e del post-Vaticano I (Soto[3], Suarez[4], Franzelin[5] e Billot[6]) insegnano che Gesù Cristo non ha istituito tutti e sette i Sacramenti nei particolari, ossia indicando esplicitamente la materia e la forma (come ha fatto per il Battesimo e la Messa[7]), ma si è limitato a indicare il loro scopo o la grazia che debbono produrre, lasciando alla Chiesa, ossia agli Apostoli, il compito di determinarne il rito.

 

La Cresima

Per quanto riguarda la Cresima[8] e l’Ordine sacro (che sarà trattato in un prossimo articolo) secondo Scoto, Lessio, Billuart, Soto, De Lugo, Gotti, Billot, De Guibert, Van Noort, E. Hugon e Galtier, Gesù li ha istituiti con determinazione generica, lasciando alla Chiesa la facoltà di determinarne meglio gli elementi essenziali (cfr. A. Piolanti, voce “Ordine”, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, col. 223).  

Monsignor Antonio Piolanti, che non era l’ultimo arrivato in teologia dogmatica sacramentaria, insegna: «La Chiesa, fondandosi sul Nuovo Testamento e sui Padri ecclesiastici, ha solennemente definito nel Concilio di Trento (DB 844) che Gesù ha istituito tutti e sette i Sacramenti, pur lasciando libertà sul modo in cui lo ha fatto» (Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 371, voce “Sacramenti” a cura di A. Piolanti). In breve, il Concilio di Trento non ha voluto definire ed ha lasciato libertà di opinioni teologiche diverse su questa questione.

Ora se il Tridentino non ha voluto definire e obbligare non vedo come lo possano fare dei semplici fedeli, sacerdoti o Vescovi, che non hanno il potere supremo di Magistero sulla Chiesa universale, infallibilmente assistito a certe determinate condizioni (cfr. Concilio Vaticano I, DB, 1839).

San Paolo (I Tim., IV, 14), quanto alla materia della Cresima, parla solo dell’imposizione delle mani. Gli Atti degli Apostoli (VI, 6; XIII, 3) non precisano le parole della forma del Sacramento. La Traditio apostolica di S. Ippolito[9] (quindi la raccolta della Tradizione divino/apostolica in materia sacramentaria e non solo un passaggio della S. Scrittura) dell’inizio del III secolo parla di preghiera, che accompagna l’ imposizione delle mani.

Dunque, dalla Tradizione apostolico/divina, dalla S. Scrittura e dal Magistero ecclesiastico ed infine dalla Ragione teologica, esposta dagli studi dei Dottori ecclesiastici e dei teologi approvati, risulta il fatto (“et contra factum non valet argumentum”) che per la Cresima la materia del Sacramento è l’imposizione delle mani, cui si è aggiunta nel III secolo l’unzione.

 

L’unzione è essenziale per la validità della Cresima?

La Tradizione divino/apostolica e patristica dal II al V secolo (e non un solo passaggio della S. Scrittura) insegnano: “Si impone la mano per invitare lo Spirito Santo [a scendere sul fedele o il consacrando]” (Tertulliano, De Bapt., VIII). S. Cipriano di Cartagine scrive: “attraverso la nostra orazione e l’imposizione delle mani” (Epist., LXXIII, 9) si fa discendere lo Spirito Paraclito sull’ ordinando. Anche Eusebio da Cesarea nella Storia Ecclesiastica (I, 13, 18; VII, 2) parla di  imposizione delle mani assieme alla preghiera. S. Agostino d’Ippona scrive: “l’ imposizione delle mani è unita alla preghiera sopra il fedele” (De Bapt., III, 16, 21). S. Leone Magno scrive: “la benedizione o imposizione delle mani sia conferita dai Ministri sacri a digiuno” (Epist., IX, 1).

S. Tommaso d’Aquino fornisce di ciò la Ragione teologica: l’ imposizione delle mani è il simbolo naturale, e quindi adottato comunemente, per significare la trasmissione di un potere (S. Th., III, q. 84, a. 4, ad 1um) e quindi Gesù e gli Apostoli si sono serviti dell’imposizione delle mani per infondere la grazia sacramentale specialmente nella Cresima, nell’Estrema Unzione e nell’ Ordinazione.

Da notare che “per la Cresima l’imposizione delle mani rimane tuttora, come prima, elemento essenziale del rito sacramentale, anche se non può essere separata dalla sopraggiunta nel III secolo unzione col crisma” (F. Càrpino, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, col., 1718)[10].

Anche i manuali di Teologia morale e dogmatica più recenti e preconciliari insegnano che “nelle Chiese d’Occidente il dono dello Spirito Santo viene considerato ab immemorabili come comunicabile mediante l’imposizione delle mani. A questo rito primitivo si aggiunse un’unzione, che compare la prima volta nella Traditio apostolica’ di S. Ippolito (III secolo). La crismazione si trova dappertutto solo dopo papa Innocenzo I († 417). […]. Ora anche in questo caso la sostanza del Sacramento della Cresima non è stata adulterata, perché, attraverso i cambiamenti accidentali, non è stato mutato sostanzialmente il significato della grazia [la pienezza dei doni dello Spirito Santo] che Cristo ha voluto conferire mediante questo Sacramento. Le alterazioni accidentali apportate nel IV secolo hanno lasciato intatti gli elementi essenziali primitivi. Mai nella Chiesa si è avuto il dubbio che non si sia conservato l’essenziale di quello che gli Apostoli vollero fare nel conferire, tramite la Cresima, lo Spirito Santo ai battezzati” (Antonio Lanza – Pietro Palazzini, Principi di Teologia morale, Roma, Studium, 1956, III vol., I Sacramenti, pp. 81-83).

Bernard Bartmann spiega: “Non si ha una decisione precisa e stabile circa la materia della Cresima. Per questo si spiega la divergenza delle opinione teologiche. Si possono riconoscere due tendenze principali: 1°) secondo alcuni (Aureolus, Petavius, ecc.) l’imposizione delle mani è la sola materia sufficiente; 2°) altri invece (S. Tommaso, Eugenio IV, Bellarmino, ecc.) dicono che basta la sola crismazione. Anche qui, quasi come sempre, si aggiunge una terza opinione intermedia, secondo la quale 3°) occorrono entrambi i riti (unzione e imposizione delle mani). Questa terza opinione è quella comunemente seguìta” (Manuale di Teologia dogmatica, Alba, Paoline, ed. VIII, 1949, vol. III, I Sacramenti, p. 113).

Forma della Cresima

Nella Chiesa latina vi furono, sino al XII secolo, varie forme del Sacramento della Cresima. Nel Pontificale Romanum appare un’unica forma solo a partire dal XIII secolo, forma restata in vigore sino al 1971.

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[1] Cfr. Concilio di Costanza (DB, 626), Concilio di Trento (DB, 856 e 954) e Pio VI Costituzione Auctorem fidei, 28 agosto 1794, sugli Errori del Sinodo giansenista di Pistoia (DB, 1580-1592).

[2] Qualcuno arriva a criticare persino la festa di S. Giuseppe Patrono degli Artigiani del 1° Maggio, istituita da Pio XII; altri criticano la riforma dello strascico dei cardinali accorciato da 12 a soli 9 metri da Pio XII; altri ancora criticano la non più obbligatorietà delle fibbie alle scarpe, dei ferraioli e ferraioletti, che sarebbero tutte riforme non perfette ossia non moderniste, ma più o meno modernizzanti…

[3] In IVum Sententiarum, Salamanca, 2 voll., 1557, 1560.

[4] Commentarii et disputationes in IIIam S. Th., Venetiis, 1599.

[5] Tractatus de sacramentis, Roma, Gregoriana, ed. V, 1911.

[6] De Ecclesiae sacramentis, Roma, Gregoriana, ed. VII, 1932.

[7] “Battezzando nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Mt., XXVIII, 19): in Matteo l’acqua è implicitamente significata nella parola ‘battezzare’ che significa ‘lavare’, mentre è esplicitata in Gv., III, 5; IV, 1-2; IX, 1-6. Per l’ Eucarestia: «Gesù prese del pane e disse: “Questo è il mio corpo”, prese il calice [del vino] e disse: “Questo è il mio sangue”» (Mt., XXVI, 26-28).

[8] Paolo Galtier, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 856, voce “Cresima.

[9] Padre Paolo Galtier definisce la Traditio apostolica “la più antica descrizione liturgica pervenutaci all’inizio del III secolo” (in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 856, voce “Cresima”). S. Ippolito è l’autore della Tradizione apostolica, che tratta delle ordinazioni dei Vescovi, Presbiteri e Diaconi e dà un gran numero di regole riguardanti il Rituale liturgico ecclesiastico specialmente sul Battesimo, l’Eucarestia, le preghiere e i funerali. Il testo latino della Traditio apostolica è stato curato e pubblicato da dom B. Botte (Parigi, Cerf, 1946, 2a ed. 1984), ne esistono anche le versioni in copto, arabo ed etiopico; la  traduzione italiana è stata curata ed edita da A. Casamassa (Roma, 1947).  

[10] Cfr. anche Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. VII, coll. 1302-1425.