LA “TEOLOGIA DI SAN GIUSEPPE”

«S. Giuseppe è realmente padre di Gesù come è realmente sposo di Maria e figlio di Davide, questo è il doppio fondamento reale su cui si basa la relazione di paternità morale tra Giuseppe e Gesù. La relazione avendo un fondamento reale è anch’essa reale e non logica» (Mons. G. Sinibaldi, La grandezza di  S. Giuseppe, Roma, 1927, p. 125).

Una devozione in via di decadenza?

“Nell’epoca successiva al concilio Vaticano II,… la figura di Giuseppe vive un appannamento, paragonabile a quello di Maria in ambito teologico” (S. De Fiores, Dizionario di Mariologia, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, voce “Giuseppe di Nazaret”, p. 587)[1]. È bene, perciò, riaffermare anche la grandezza di San Giuseppe dopo quella di Maria.

San Tommaso d’Aquino insegna che “una missione o compito eccezionale affidato da Dio ad una persona richiede in lei una santità e dignità proporzionata” (S. Th., III, q. 7, a. 9). Ora il compito di Giuseppe verso il Verbo Incarnato è stato il più alto dopo quello di Maria. Quindi la dignità e santità di Giuseppe è la più alta dopo quella della Beata Vergine Maria (R. Garrigou-Lagrange, La Mère du Sauver et notre vie intérieure, Parigi, 1941, p. 346).

Dopo quella della Beata Vergine Maria, perché Maria, come abbiamo già visto, termina intrinsecamente e fisicamente al Verbo Incarnato, essendo sua vera Madre fisica (“Teotokòs”), S. Giuseppe solo estrinsecamente e moralmente (R. Garrigou-Lagrange, La Mère du Sauver…, cit., p. 350). Vedremo perché e cosa ciò comporti.

 

IL PRIMO FONDAMENTO DELLA GRANDEZZA DI SAN GIUSEPPE: VERO SPOSO DI MARIA SANTISSIMA

San Giuseppe fu vero sposo di Maria, anche se verginale. Per San Tommaso d’Aquino (S. Th., III, q. 29, a. 2; In IV Sent., dist. 30, q. 2, a. 2) è teologicamente certo e quindi negarlo sarebbe temerario, per Benedetto XIV (De festis BVM, lib. II, cap. 2) e Francisco Suarez (In IIIam S. Th., q. 29, dist. 7, sect. 1) è di Fede e quindi chi lo nega è eretico, mentre per il card. Alessio Maria Lépicier (Tractatus de Sancto Josepho, Parigi, 1908, parte I, a. 4, p. 68) è prossimo alla Fede e chi lo nega è prossimo all’eresia.

Questo titolo è il principio e il fondamento di tutti i privilegi di San Giuseppe, così come la maternità divina lo è di tutti i privilegi di Maria.

 

Prova della S. Scrittura

La S. Scrittura (Mt., I, 18-25; Lc., II, 5) afferma esplicitamente che Giuseppe, il falegname, è lo sposo della Vergine Maria, la Madre di Gesù. Perciò egli era considerato (“putabatur”) padre di Gesù (“padre putativo”), anche se in realtà Questi era figlio di Maria e della SS. Trinità o, per attribuzione, dello Spirito Santo (Lc., II, 42; III, 23; Mt., XIII, 55). Inoltre Giuseppe ha esercitato realmente il compito di capo famiglia nei riguardi di Maria e Gesù, i quali gli furono soggetti come al loro capo legittimo e vero (Lc., II, 51).

 

Un’obiezione già risolta

All’obiezione che, avendo fatto Maria voto di verginità, non vi potesse essere vero matrimonio con Giuseppe, ma solo un matrimonio apparente o putativo i teologi rispondono distinguendo nel matrimonio il contratto che concede un diritto sui corpi e l’uso di questo diritto. Ora l’oggetto diretto del contratto matrimoniale è solo il diritto e non l’uso di questo diritto. In forza del diritto ad corpora nessuno dei coniugi può rifiutare il debito coniugale all’altro se questi lo chiede, ma entrambi i coniugi possono decidere, dopo aver dato il consenso al contratto che concede il diritto sui corpi, di non usare di tale diritto per un fine più alto.

Inoltre il contratto matrimoniale è costituito essenzialmente dal consenso degli sposi al diritto sui propri corpi, mentre l’uso di questo diritto non è l’essenza del matrimonio e i coniugi possono rinunziarvi, ma non per motivi peccaminosi (cfr. Pietro Lombardo, Lib. Sent., IV, dist. 30, 2 ss.; S. Tommaso d’ Aquino, S. Th., III, q. 29, a. 2).

Inoltre l’essenza del matrimonio non esige il consenso esplicito alla unione carnale, basta quello implicito (S. Th., Suppl., q. 48, a. 1) e Maria e Giuseppe fecero voto di verginità condizionatamente al volere divino: “si Deo  placeret, dando implicitamente il consenso all’uso del matrimonio se Dio lo avesse comandato loro ” (S. Th., III, q. 29, a. 2; Supplementum, q. 49, a. 1 e 3). Il Cajetanus commenta: “il verbo placeresi Deus placuerit’ va inteso nel senso di jubere o comandare ‘si Deus jusserit’. Quindi Maria e Giuseppe, condizionando la rottura del loro voto di verginità solo davanti ad un comando esplicito di Dio, dettero un consenso implicito all’uso del contratto matrimoniale solo se Dio lo avesse comandato ossia emisero un voto di verginità condizionato alla Volontà di Dio e, dopo l’ assicurazione della concezione verginale ad opera dello Spirito Santo ed il loro matrimonio, fecero voto assoluto di verginità” (S. Tommaso, In IV Sent., dist. 30, q. 2, a. 1, quaestiuncula 2, ad 2; Cajetanus, In IIIam S. Th., q. 28, a. 2).

“Vero matrimonio, dunque, quello di Giuseppe, anche  se verginale[2] come risulta dal voto di castità della Madonna (Lc., I, 34) e dal dogma della sua perpetua verginità” (F. Spadafora, Dizionario biblico, Roma, III ed., 1963, p. 317)[3]. In esso non mancò nessuno dei beni essenziali del matrimonio: l’amore coniugale, la fedeltà e pure la prole, anche se concepita verginalmente da Maria per opera dello Spirito Santo senza concorso fisico di Giuseppe, anzi Gesù può dirsi il frutto miracoloso di quel matrimonio ordinato da Dio a quella Prole.

 

Prova della Tradizione patristica

La dottrina comune dei Padri è che il fondamento di tutta la Teologia di S. Giuseppe è costituito da un vero contratto matrimoniale con Maria, vera Madre di Dio, il quale implicitamente contiene l’ appartenenza estrinseca e morale di S. Giuseppe all’ordine ipostatico ossia all’ unione della natura umana alla Persona divina in Cristo (S. Th, III, q. 1 a. 1)[4].

La Scolastica

San Tommaso d’Aquino, come sempre fedele alla Tradizione, insegna che “il matrimonio tra S. Giuseppe e la Beata Vergine Maria fu vero e perfetto quanto all’essenza, non quanto all’uso”, poiché “il voto di verginità da parte di S. Giuseppe fu condizionato prima del matrimonio e assoluto solo dopo”[5].

I grandi Commentatori dell’ Aquinate riprendono la dottrina del Maestro[6].

 

L’argomento di convenienza

Gli empi avrebbero potuto calunniare Maria e Gesù se Giuseppe non fosse apparso come vero sposo della Beata Vergine Maria; inoltre egli era essenziale per garantire a Gesù il titolo messianico di “Figlio di Davide”.

Nonostante ciò, Gesù, Maria e Giuseppe sono stati calunniati dal giudaismo postbiblico. Infatti “nella letteratura talmudica [II-V secolo d. C.] la presenza di Maria è legata alla denominazione Jeshu o Jeshuà ben (figlio di) Pantera, riservata a suo figlio Gesù. Pantera è il nome di un soldato romano che sarebbe stato amante di Maria e quindi padre di Gesù. L’accusa di adulterio fatta a Maria […] ed altre dicerie simili trovano riscontro all’interno del Talmud (b. Kallah 18b; b. Shabbat 104b; b. Sanedrin 67a) […]. A partire dal Medioevo queste tradizioni su Maria confluirono nelle Toledòt Jeshu o Storie di Gesù. Il seduttore di Maria è un ebreo, Gesù è un bastardo[7]” (S. De Fiores, Dizionario di Mariologia, voce “Ebrei/Maria nell’ Ebraismo postbiblico”, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2009, pp. 452-455). Di queste calunnie non si trovano traccia nel giudaismo contemporaneo di Gesù, e ciò grazie alla presenza di S. Giuseppe

 

Il Magistero ecclesiastico

Gregorio XV col Decreto dell’8 maggio del 1621 ha stabilito la “Festa liturgica di S. Giuseppe”; tale Decreto viene confermato e rafforzato da Clemente X (Decreto del 6 dicembre 1670), Innocenzo XI (Lettera apostolica del 19 aprile 1679), Clemente XI (Decreto del 4 febbraio del 1714), Benedetto XIII (Decreto del 9 dicembre del 1726), Leone XII (Decreto del 18 aprile del 1826). A partire da Pio IX inizia un vero e proprio insegnamento dottrinale su S. Giuseppe (Lettera apostolica Iam alias, 5 luglio 1861; Decreto Quemadmodum Deus, 8 dicembre 1870, colla quale nomina S. Giuseppe “Patrono universale della Chiesa”; nella Lettera apostolica Inclytum Patriarcham, 7 luglio 1871, ne qualifica il culto come superiore a quello dovuto agli altri Santi) proseguito da Leone XIII (Enciclica Quamquam pluries, 15 agosto 1889, nella quale espone la dottrina su S. Giuseppe nella maniera più profonda e sistematica: Giuseppe, Capo della S. Famiglia, partecipa alla ineguagliabile dignità della Madre di Dio; Lettere apostoliche Quod paucis, 28 gennaio 1890; Etsi apud, 3 giugno 1890; Quod erat, 3 marzo 1891; Neminem fugit, 14 giugno 1892; Cum sicut, 24 settembre 1895), Benedetto XV (Motu proprio Bonum sane, 8 dicembre 1920, nel quale affida l’umanità ferita e moribonda per la prima guerra mondiale, a Giuseppe “patrono della buona morte” spirato tra Gesù e Maria), Pio XI (Discorsi del 21 aprile 1926 e 19 marzo 1928; Enciclica Divini Redemptoris del 19 marzo 1937, con la quale nomina S. Giuseppe “vero patrono degli operai” e capo della crociata anticomunista), Pio XII (Enciclica Sacra virginitas del 25 marzo 1954 nella quale fa un’analogia tra la verginità di Maria SS. e di S. Giuseppe; Discorso alle Acli, 1° maggio 1955, col quale istituisce la Festa liturgica di “S. Giuseppe Patrono degli artigiani”).

 


[1] S. Holstein, Une dévotion en perte de vitesse, in «Cahiers Marials», Parigi, n. 20, 1975, pp. 289-297.

[2] “Maria fu vergine prima, durante e dopo il parto” è un dogma di Fede rivelata (Is., VII, 14; Mt., I, 18) e definita dal Concilio Lateranense del 649 (DS 503).

[3] Cfr. U. Holzmeister, De Sancto Josepho quaestiones biblicae, Roma, 1945.

[4] Clemente Alessandrino (Adumbratio in Epistulae Judae, PG 9, 731), Origene (In Matth., XIII, 55, PG 13, 875), Eusebio da Cesarea (Historia Ecclesiastica, lib. II, cap. 2, PG 20, 134), S. Ilario da Poitiers (In Matth., I, 4, PL 9, 922), S. Ambrogio da Milano (Ad Galatas I, 19, PL 17, 364), S. Epifanio (Adv. haer., lib. III, t. 2, PG 42, 707), S. Cirillo Alessandrino (In Jo., VIII, 5, PG 82, 638), S. Giovanni Crisostomo (Homiliae III et IV in Matth., PG 57, 47), S. Girolamo (Advers. Helvidium, n. 19, PL 23, 1833), S. Agostino, che è considerato il maggiore panegirista di S. Giuseppe (Sermo LI, PL 38, 350; De consensu evang., PL 34, 1071), Rabano Mauro (In Matth., I, PL 107, 753), Pietro Lombardo (In Gal., I, 19, PL 192, 101), S. Pier Damiani (Epist. VI ad Nicolaum II, PL 145, 384), Ruperto da Deutz (In Cant., I, 2, PL 168, 871).

[5] Cfr. In IV Sent., dist. 30, q. 2, a. 1, quaestiuncula 2; S. Th., III, q. 28, a. 4, Ivi, q. 29, a. 2; Ad Gal., cap. 1, lect. 5; In Jo., cap. 2, lect. 2.

[6] Il cardinal Tommaso de Vio detto Cajetanus (In IIIam S. Th., q. 28, a. 2), Domenico Soto (Libro de la vita y excelencias del glorioso San José, Bruxelles, 1660), Charles-René Billuart (Summa Sancti Thomae hodiernis Academiarum moribus accommodata, XIX voll., Liegi, 1764-1751, De matrimonio, dist. III, a. 7), F. Suarez (Disputationes in IIIam partem S. Th. Divi Thomae, t. II, q. 29, a. 2, disp. 7-8).

E così anche i Dottori dell’epoca “post-medievale” e “tridentina”: S. Bernardino da Siena (Sermo de Sancto Joseph, Opera Omnia, Lugduni, 1650), S. Teresa d’Avila (Vita, cap. 6), S. Francesco di Sales (Entretien 19, Oeuvres, Parigi, 1862, t. 3), S. Alfonso de’ Liguori (Sermoni su S. Giuseppe, Roma, 1879), S. Pietro Canisio (De Maria Virgine, lib. II,  cap. 4).

[7] Le Toledot sono state tradotte in italiano dall’attuale rabbino capo di Roma e pubblicate sotto il titolo Il Vangelo del Ghetto [Toledot Jeshu], (Roma, Newton Compton, 1985), alla faccia del dialogo ebraico-cristiano e della fratellanza ebraica nei confronti del Cristianesimo! (Cfr. Giovanni Paolo II, 13 aprile 1986, Discorso alla sinagoga di Roma sull’Ebraismo post-biblico “Fratello maggiore del Cristianesimo”). Cfr. anche A. Maggi, Nostra signora degli eretici (Maria e Nazaret), Assisi, Cittadella, 1988, pp. 65-78: “Un bastardo di un’adultera!”; M. Masini, Maria di Nazaret nel conflitto delle interpretazioni, Padova, Messaggero, 2005, pp. 207-267, cap. IV: “Myriam di Nazaret  nella memoria del Giudaismo”, una rassegna completa ed interessante degli scritti ebraici su Maria.