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Categoria: Anno 2012

ATTUALITÀ DEL VERO TOMISMO  ANTIMODERNISTA

Neque aliud superest nisi Lumen Gloriae post Summam Thomae”.

 

Introduzione

Il Tomismo è oggi più che mai attuale, vivo e vegeto, anzi è l’unica medicina per i mali intellettuali e morali dell’uomo moderno e post-moderno: il Modernismo e il Neomodernismo.

Gli errori della modernità e post-modernità vennero condannati specialmente da Gregorio XVI con la Mirari vos (1832) e da Pio IX col Sillabo (1864), che è un elenco di 80 proposizioni riguardanti gli errori più diffusi già in quel tempo. «La prima idea del Sillabo – scrive mons. Piolanti – risale al card. Gioacchino Pecci, il futuro Leone XIII, che, nel novembre del 1849, come arcivescovo di Perugia, […] propose di chiedere al Papa la condanna in globo degli errori moderni concernenti la Chiesa, l’autorità e la proprietà»[1]. Pio IX assentì e nel 1852 incaricò il card. Fornari di sondare l’opinione dei vescovi (mons. Pie), teologi e liturgisti (dom Guéranger) e laici cattolici impegnati (Louis Veuillot, Avogadro della Motta e Donoso Cortès). A conclusione promulgò il Syllabus complectens praecipuos nostrae aetatis errores (DB, 1700-1780) assieme all’Enciclica Quanta cura l’8 dicembre 1864, dieci anni dopo aver definito il dogma dell’Immacolata Concezione di Maria. Nel Sillabo il Papa condannava 1°) il panteismo, il naturalismo e il razionalismo; 2°) l’indifferentismo; 3°) il social-comunismo, le società segrete, bibliche e cattolico-liberali; 4°) gli errori sulla Chiesa, sulla società civile in sé e nei rapporti con la Chiesa; 5°) gli errori sulla morale naturale e cristiana, sul matrimonio; 6°) gli errori sul potere temporale del Papa; 7°) il liberalismo.

 

Tali deviazioni riesplosero alla fine dell’Ottocento e furono ricondannate sotto il nome di Modernismo da S. Pio X col Decreto Lamentabili (3 luglio 1907, DB, 2001 ss.) e l’Enciclica Pascendi (8 settembre 1907). Papa Sarto spiegava che il Modernismo è un misto ibrido[2] di cattolicesimo verbale e di soggettivismo reale, fondato su tre sistemi filosofici: 1°) l’agnosticismo kantiano, che svaluta il valore oggettivo e reale della conoscenza umana per rimpiazzarla col soggettivismo relativista; 2°) l’immanentismo di Kant (†1804) e Schleiermacher  (†1834), per cui la conoscenza soggettiva umana contiene virtualmente in sé ogni realtà, anche divina, che si sviluppa sotto lo stimolo del ‘sentimento religioso’; 3°) l’evoluzionismo filosofico auto-creativista, per cui la realtà non è l’essere ma il divenire dentro e fuori dell’uomo (Hegel †1831 e Bergson †1941).

 

La barriera del tomismo

Questi errori erano stati già confutati in nuce dal tomismo originario, che è “la costruzione più solida e armoniosa di tutto il pensiero cristiano” (Pietro Parente). Infatti, come abbiamo già visto, la dottrina tomistica dell’ “Atto puro” (S. Th. I, q. 2, a. 3), ossia dell’Ente che è solo Atto (= perfezione) senza alcuna potenza (= imperfezione), che è solo e tutto ‘essere’ senza ‘divenire’, Ente che chiamiamo Dio o Essere sussistente, “assolutamente Semplice” (Concilio Lateranense IV e Vaticano I, DB 428, 1782; S. Th. I, q. 3) senza composizione neppure di essenza ed essere (altrimenti l’essere sarebbe estrinseco alla sua essenza e quindi causato e l’essenza divina sarebbe in potenza rispetto all’essere e dunque Dio sarebbe atto misto e non Atto puro) è la radicale confutazione di ogni evoluzionismo filosofico-teologico proprio del Modernismo e Neomodernismo (cfr. Teilhard de Chardin †1955 e la nouvelle théologie da lui originata e condannata dall’ Enciclica Humani generis di Pio XII nel 1950).

 

Contro il nihilismo teologico

Dio è “Immutabile” (S. Th., I, q. 9): “Presso di Lui non c’è mutamento né ombra di vicissitudine” (Giac., I, 17). Dio, secondo l’Esodo (III, 15) e S. Tommaso, è “l’Essere stesso sussistente”. In ebraico “Io sono Colui che è” si legge: “Io sono l’È”, È = Jahwèh[3]. Onde in Dio l’essenza si identifica con l’essere, il quale essere, invece, nelle creature è per partecipazione ossia è distinto dalla loro essenza (S. Th. I, q. 3, a. 4). Tale dottrina pone un abisso invalicabile tra Dio e il creato e rigetta ogni potenziale panteismo.

Infine Dio è “Infinito”, ossia senza limiti o imperfezioni, poiché l’atto e l’essere, che in sé non sono imperfetti, sono limitati nella creatura dalla potenza o essenza che li riceve, ma, siccome in Dio l’Essere come Atto puro non è composto con la potenza è illimitato o infinito (S. Th. I, qq. 7-8). Egli è anche “Onnipotente”, cioè ha la potenza di produrre ed agire illimitatamente (S. Th., I, q. 25); è di Fede che Dio è onnipotente (“Simbolo apostolico”: Credo in Deum Patrem omnipotentem”; Conc. Vaticano I, DB 1792). S. Tommaso spiega che la potenza è fondata sull’Essere divino, in quanto un ente agisce ed è potente in quanto è in atto (“agere sequitur esse”), anzi tanto più è in atto tanto più è potente. Ora Dio è Atto puro senza alcuna potenza o imperfezione, Dio è l’Essere per essenza, infinito, e quindi gli spetta una potenza infinita di agire o onnipotenza, cioè Egli può far tutto, tranne il male che è un non-ente o privazione di essere buono[4].

Quindi si può affermare o “Attribuire qualcosa a Dio” sia nell’essere (Attributi o nomi statici) sia nell’ agire (Attributi dinamici), ma, siccome la Rivelazione oltre l’essere presenta anche molti altri nomi o attributi di Dio (Creatore, Santo, Infinito, Eterno), sembrerebbe che questi, essendo molteplici, si oppongano alla semplicità divina (di cui sopra), donde il problema: o i nomi di Dio hanno valore reale ed allora Dio non sarebbe più semplice; o hanno valore solamente logico e quindi la teologia è un gioco di parole o “flatus vocis” (apofatismo o nichilismo teologico). S. Tommaso (S. Th. I, q. 13) risponde che una distinzione è reale se due cose sono distinte realmente o ontologicamente (p. es. anima e corpo, testa e piede) oppure è logica se esse sono distinte solo nella nostra mente come concetti e non nella realtà. Per esempio, Antonio, considerato dalla mia mente come medico, musicista e cittadino, nella realtà è un solo soggetto, ma logicamente ha tre proprietà o attributi. In Dio non vi è distinzione reale tra i Suoi attributi (Creatore, Infinito, Essere); vi è solo una distinzione logica, onde gli Attributi divini sono concetti formalmente diversi tra loro. Tuttavia non sono solamente concetti logici o mentali, poiché hanno un fondamento nella realtà, ossia ad essi corrisponde una realtà che è l’Essenza infinita divina onde si può parlare di Dio e attribuire a Lui qualche Nome che ha un fondamento nella realtà, ma Egli resta assolutamente semplice.

L’agnosticismo teologico, proprio del Modernismo, è rigettato dall’ Angelico specialmente grazie alla dottrina della “Analogia (S. Th. I, q. 13), che l’Aquinate approfondì per confutare l’agnosticismo teologico della filosofia giudaica di rabbi Mosè Maimonide († 1204), il “Dux dubitantium”. Per S. Tommaso tra Dio e il creato vi è somiglianza, ma non in modo che la creatura raggiunga una identità o “univocità” con Lui (panteismo), e neppure vi è tanta dissomiglianza o “equivocità” che la creatura resti a Lui del tutto estranea (agnosticismo teologico o apofatismo). Tra Dio e il creato vi è analogia o somiglianza relativa quanto al fatto di esistere e dissomiglianza sostanziale quanto alla essenza di Dio e delle creature. Perciò i concetti umani o Nomi di Dio sono inadeguati alla divinità, ma non sono falsi, poiché colgono qualcosa di Lui ovvero proprietà attribuibili alla sua Essenza[5].

Il vero e il falso Tomismo

Il vero Tomismo è l’alternativa per diametrum al Modernismo e all’apofatismo; mentre il falso Tomismo trascendentale (che di tomista ha solo il nome) è soggettivista e apofatico, nichilista ed immanentista. Quel che il Modernismo, condannato da San Pio X nel 1907, ha tentato con il Cattolicesimo in genere (lo spurio connubio del soggettivismo kantiano con la dottrina cattolica), il Neomodernismo, condannato da Pio XII nel 1950, lo ha tentato con il falso Tomismo cercando di sposare il Tomismo con il soggettivismo kantiano ed hegeliano (cfr. Yves Congar, Dominique Chenu, Henri de Lubac, Karl Rahner). Quindi bisogna fare attenzione: quando si parla di Tomismo occorre prima verificare se è il vero Tomismo realmente tale o se è solo il falso Tomismo puramente nominale.

 

Vecchi errori verniciati come nuovi, ma già confutati da S. Tommaso

A partire da queste nozioni filosofiche squisitamente tomistiche, che sorpassano Aristotele come l’essere sopravanza l’essenza, i tomisti e i neotomisti hanno potuto confutare gli errori antichi, che il Modernismo aveva verniciato di “nuovo”. Infatti l’ “Agnosticismo”, il quale limita la capacità della ragione umana di conoscere la realtà creata e di risalire da questa all’Assoluto, che S. Tommaso aveva già affrontato in Maimonide, lo si ritrova truccato e “ammodernato” in Kant, secondo cui la “cosa in sé” (nòumeno) è inconoscibile e vi si arriva solo per via di volontà o meglio di sentimento religioso.

Dall’agnosticismo consegue il “Soggettivismo”, che è la tendenza già manifestatasi in Parmenide (550 a. C. circa) e nei sofisti di assorbire nel soggetto pensante la realtà oggettiva e di negare l’oggettività di alcune sensazioni. Anche questo errore è ripresentato da Cartesio in maniera modernizzata, subordinando l’essere al pensiero (“cogito ergo sum[6]), mentre Aristotele e S. Tommaso insegnavano ad adeguare il pensiero alla realtà oggettiva extramentale.

L’«Illuminismo» è una corrente filosofica-irreligiosa nata nel Settecento in Inghilterra (Erberto di Cherbury †1648) e non in Francia, come vorrebbero farci credere i teoconservatori, e solo poi diffusasi in Francia, Germania e Italia. Esso raccoglie il soggettivismo religioso del protestantesimo ed afferma l’autonomia e la perfezione somma della ragione umana, affrancata da ogni autorità storica, civile e religiosa; è apertamente ostile alla tradizione e propugna una morale autonoma e liberale. In Francia si radicalizzò con l’ “Enciclopedismo materialista ed ateo di Diderot (†1784) e Voltaire (†1778).

Dall’illuminismo si passa all’ “Empirismo” inglese di Locke (†1704) e di Berkeley  (†1753) che si spinse sino ad eliminare la realtà della materia e a ridurre la realtà ad un flusso di sensazioni soggettive (Hume †1776). Kant (†1804) cercherà di salvare il mondo dei fenomeni, ma introducendo nella loro conoscenza delle categorie soggettive o “a priori[7]”, mentre l’ “Idealismo” negò ogni realtà fuori del soggetto pensante (Fichte †1814, Schelling †1854) e dell’Idea (Hegel †1831) o dell’atto di pensare (Gentile †1944[8]). Si è giunti così all’ immanenza assoluta dell’oggetto nel soggetto e si è rigettata ogni trascendenza non solo divina, ma anche di ogni oggetto al di fuori del soggetto pensante.

Anche contro quest’aberrazione il realismo moderato della conoscenza umana proprio della scuola aristotelico-tomistica (S. Th. I, q. 16 e q. 18) insegna che il soggetto creato non può creare l’oggetto, il quale esiste anche se lui non lo pensa. Anzi l’oggetto dell’ intelletto umano è l’ente, che è vero ontologicamente se è conforme all’Intelletto divino che lo ha pensato mentre l’intelletto umano arriva alla verità logica se si conforma alla realtà onde bisogna dire che l’idealismo ha applicato all’intelletto umano ciò che appartiene esclusivamente all’intelletto divino.

Pio XII nell’enciclica Humani generis ha condannato l’idealismo con tutte le sue conseguenze, rimandando all’unico rimedio umanamente possibile: il tomismo. Infatti il realismo tomista, assieme alla metafisica aristotelica, costruisce la filosofia sul principio di un rapporto naturale tra essere reale e pensiero, tra oggetto e soggetto, tra natura e spirito, uomo e Dio. Al di fuori di ciò vi è lo smarrimento teorico o mentale e pratico o morale.

L’«Immanentismo» è l’ esasperazione del soggettivismo idealistico perché riduce tutta la realtà al soggetto umano, che è sorgente e termine di tutta la realtà in un processo di auto-creazione, e confonde immanenza con trascendenza. Ora, Dio è, sì, onnipresente (S. C. Gent., III, 68), ma resta sempre distinto dalle creature e le trascende. Onde è più esatto parlare di presenza di Dio nel creato a) per potenza perché Dio agisce ovunque; b) per essenza in quanto in Dio essenza e azione si identificano; c) per presenza poiché Dio vede tutto.

Per evitare l’equivoco immanentista, è bene non usare il termine di “immanenza” in sé non scorretto, ma potenzialmente male interpretabile (S. Th., I, q. 8 e q. 43, a. 3 e 6).

Il “Pragmatismo” è una conclusione pratico-pratica dell’ immanentismo. Esso è sorto in America verso la fine dell’Ottocento con William James (†1910) rifacentesi all’ empirismo inglese di Locke e Hume (†1776), che considera tutto dal punto di vista pratico o del vantaggio. Vale a dire se qualcosa giova, nel corso della prassi o azione, allora è vera. Padre Paolo Dezza chiamava il pragmatismo “la filosofia del dollaro”.

Per questa non esiste una verità immutabile, ma la verità si evolve e cambia continuamente assieme alla prassi umana. Nel campo religioso il pragmatismo rigetta ogni Rivelazione esterna, ogni verità dogmatica e speculativa, limitandosi alla considerazione del sentimento religioso o “esperienza religiosa[9]”. Per questa l’individuo sente il divino in lui e si eleva verso di esso con una fede che è pura volontà di credere, poiché ciò è conveniente ed utile. Teoreticamente il Pragmatismo è contraddittorio, dacché relativismo assoluto che nega i princìpi per sé noti, e moralmente è disastroso, in quanto soggettivizza la morale e la rende “autonoma” da Dio e dalla sua legge.

Da qui si passa al “Panteismo” che può essere sia “materialistico” (Haeckel † 1910) sia “spiritualistico” (Spinoza, Gentile). Quello materialista è un monismo o concezione unitaria della realtà, in cui Dio e il mondo fanno una sola cosa, ma non è molto pericoloso poiché è evidentemente assurdo e volgare. Quello spiritualista è più insidioso, poiché tenta sub specie boni. Tuttavia anch’esso porta in sé una contraddizione insanabile: l’ identificazione del finito coll’infinito (I Sent,. dist. 8, q. 1, a. 2; S. C. Gent., lib. III, c. 68[10]).

Il “Liberalismo” è la pratica conclusione di queste deviazioni teoretiche (il tentativo di “cristianizzare” il liberalismo fu condannato già da Gregorio XVI con la Mirari vos del 1832, da Pio IX col Sillabo e Quanta cura del 1864 e da Leone XIII con Immortale Dei del 1885 e Libertas del 1888). Il liberalismo fa della libertà non un mezzo per farci cogliere meritoriamente il fine, ma un Assoluto e il fine ultimo stesso. Onde esso è emancipazione e indipendenza assoluta dell’uomo da Dio, dalla Chiesa e dallo Stato.

Le sue conseguenze politico-sociali sono il “Democratismo” di stampo rousseauiano che fa della ‘democrazia’ (o meglio ‘demagogia’, che è la forma degenerata della democrazia classica) il migliore ed unico sistema di governo nel quale il potere viene dal basso e non da Dio all’autorità, il “Separatismo tra Stato e Chiesa, l’ “Indifferentismo” in campo religioso secondo cui tutte le religioni si equivalgono, il “Liberismo o astensionismo dello Stato e della morale in materia di economia.

 

Contro il liberalismo la proclamazione della Regalità di Cristo

Pio XI con la enciclica Quas primas del 1925 e l’introduzione della festa liturgica di Cristo Re ribadì le condanne del liberalismo ed affermò positivamente che il Regno di Cristo e della sua Chiesa è principalmente spirituale, ma non esclude l’ estensione alle cose temporali ed è, oltre che individuale e familiare, anche sociale (S. Th., III, qq. 58-59). Onde Cristo in quanto Dio è Re e Sovrano di tutto il mondo ed ha una regalità diretta nelle cose spirituali ed anche in quelle temporali, regalità quest’ ultima che Egli non vuole esercitare e lascia ai Prìncipi temporali. La duplice regalità di Cristo è comunicata al Papa ed alla Chiesa.  Se la potestà nelle cose temporali sia diretta (plenitudo potestatis etiam in temporalibus, S. Gregorio VII, Innocenzo III, Bonifacio VIII e Innocenzo IV) o indiretta (ratione peccati, S. Roberto Bellarmino e Francisco Suarez) è lasciato tuttora alla libera discussione dei teologi[11].

 

L’infiltrazione del liberalismo in ambiente ecclesiale

• La “libertà religiosa”

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[1] A. Piolanti, Dizionario di Teologia dommatica, Roma, Studium, 4a ed., 1957, voce “Sillabo”, p. 387.

[2] Ossia un miscuglio di due cose essenzialmente diverse quali l’acqua e l’olio, che torna sempre a galla e non si unisce mai alla prima, ma ne resta sempre distinto. Analogamente si può parlare di miscuglio o misto ibrido per quanto riguarda il Novus Ordo Missae, che tenta di unire in sé la teologia cattolica e quella luterana sul Sacrificio della Messa, le quali sono sostanzialmente diverse e messe assieme producono un rito che è oggettivamente un “misto ibrido”.

[3] P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, cit., voce “Essenza divina”, p. 147.

S. Garofalo, ivi, voce “Tetragramma”, p. 409: «“Io sono Colui che sono” o “Colui che è”, indica Colui che veramente è, la cui proprietà essenziale è l’essere». Cfr. anche F. Spadafora, Dizionario biblico, voce “Dio”, Roma, Studium, 3a ed., 1961, p. 167 ss.: «Jahwèh significa: ‘Egli è’ o ‘Colui che è’ e designa l’Essere per antonomasia ed implica l’aseità eterna, la necessità intrinseca, la semplicità assoluta e la pienezza infinita della natura divina» (p. 169). Invece le creature hanno e non sono l’essere.

[4] R. Garrigou-Lagrange, Le divine perfezioni secondo la dottrina di S. Tommaso, Roma, 1924, una traduzione e riassunto del secondo volume del padre Garrigou-Lagrange, Dieu son existence et sa nature, Parigi, 1914.

C. Fabro, L’uomo e il rischio di Dio, Roma, Studium, 1967.

[5] Cfr. J. M. Ramirez, De analogia, Madrid, 1922.

[6] S. Agostino aveva già insegnato: “dubito, ergo sum”, ma per lui ciò significa che, siccome agisco dubitando, prima debbo esistere, perchè “agere sequitur esse”. Invece il “cogito ergo sum” di Cartesio non ha questa valenza secondo cui l’azione segue l’essere, ma dà il primato al “cogito” o al pensiero umano sulla realtà extramentale ed oggettiva.

[7] Attenzione al termine “a priori”, che nel linguaggio kantiano (=soggettivo che precede l’esperienza; mentre l’«a posteriori» segue l’esperienza fenomenica) è completamente diverso da quello di Aristotele e San Tommaso, nei quali “a priori” significa ragionamento deduttivo, che dalla causa (prius) scende all’effetto (posterius); per esempio dalla spiritualità o semplicità dell’anima deduce la sua immortalità, mentre “a posteriori” è il sillogismo che dall’ effetto (posterius) risale alla causa (prius); per esempio, dagli atti posti dalle facoltà nobili dell’anima, conoscere e volere oggetti materiali, risale alla sua spiritualità (cfr. R. Garrigou-Lagrange, Dieu son existence et sa nature, Parigi, 1914, cap. II).

[8] A. Zacchi, Il nuovo Idealismo italiano di Benedetto Croce e di Giovanni Gentile, Roma 1925.

Id. L’uomo, Torino, 1938.

C. Fabro, voce “Idealismo”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, col. 1562 ss.

M. Cordovani, Cattolicismo e Idealismo, Milano, 1928.

[9] C. Fabro, voce «Esperienza religiosa», in «Enciclopedia Cattolica».

[10] A. Zacchi, Dio, Roma, 1925. M. Daffara, Dio, Torino, 1938.

[11] Pio XI (†1939) è chiamato anche il Papa dell’Azione Cattolica. Tuttavia occorre specificare che essa non è nata con lui, ma è la «denominazione moderna dell’apostolato dei laici, che è antico quanto il Cristianesimo. Come apostolato organizzato e subordinato alla Gerarchia Ecclesiastica, l’Azione Cattolica è sorta in varie nazioni d’Europa durante l’Ottocento ed ebbe la sua prima affermazione ufficiale nel 1863, sotto Pio IX, col Congresso Internazionale di Malines. […]. Attraverso sviluppi e crisi l’organizzazione arriva al pontificato di Pio XI e sotto di lui l’Azione Cattolica raggiunge una compatta struttura organizzativa in Italia e fuori. […]. L’aspetto teologico dell’ Azione Cattolica è definito come la «partecipazione» dei laici all’apostolato gerarchico della Chiesa. Recentemente con Pio XII la parola partecipazione è stata sostituita con «collaborazione». Il rapporto dell’Azione Cattolica con la Gerarchia è di subordinazione, cioè simile al rapporto di causa strumentale libera una con la causa principale (Gerarchia); oppure ad un rapporto di analogia, per cui l’apostolato in senso vero e proprio risiede nella Gerarchia, mentre nell’ Azione Cattolica ci sarebbe solo per “analogia di attribuzione” come la salute si trova formalmente e in senso proprio nell’uomo, mentre è attribuita alla passeggiata che la mantiene, al sangue da cui si evince, al colorito che ne è segno, alla bistecca che l’arricchisce (v. P. Parente, Dizionario di teologia dogmatica cit., voce Azione Cattolica, p. 43. Cfr. F. Olgiati, La storia dell’Azione Cattolica, Milano, 1922; R. Spiazzi, La missione dei laici, Roma 1951; A. Piolanti, voce Sacerdozio dei fedeli, in “Enciclopedia Cattolica”). Onde l’accusa fatta a Pio XI di essere “democristiano” e “modernizzante” in quanto artefice dell’Azione Cattolica è priva di ogni fondamento.