Contro la “peste dell’età nostra”

(1a parte)

L’8 dicembre 1976 sua ecc.za mons. Antonio de Castro Mayer, Vescovo di Campos (Brasile), inviò una Lettera pastorale ai suoi diocesani con l’obbligo al Clero di leggerla e spiegarla ai fedeli.

Partendo dalla Regalità universale di Nostro Signore Gesù Cristo, mons. de Castro Mayer illustrava mirabilmente la dottrina cattolica sui rapporti tra Chiesa e Stato e la sua ininterrotta continuità attraverso i secoli fino alle prime rotture tentate dal cattolicesimo liberale. Presentiamo ai nostri lettori la Lettera pastorale di mons. de Castro Mayer, che fu anche eccellente teologo, perché permette di toccare con mano la “discontinuità” tra “Dignitatis Humanae” del Vaticano II e la dottrina costante della Chiesa.

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Carissimi collaboratori e amati figli,

alla chiusura dell'Anno Santo celebrato nel 1925, il Santo Padre Pio XI istituì la festa di Nostro Signore Gesù Cristo Re. Fissò, come giornata ad essa propria, l'ultima domenica di ottobre, che precede la festa di Ognissanti. Il nuovo calendario l'ha trasferita all'ultima domenica dell' anno liturgico, che cade nell'ultima decade di novembre.

Con questa nuova festa liturgica, dedicata a celebrare con una solennità particolare la regalità universale di nostro Signore Gesù Cristo, il Papa mirava ad opporre un rimedio efficace al laicismo, la peste che corrode la società umana: «peste della età nostra›› dice il Papa.

Per giustificare la sua espressione e per esternare la sua speranza nei frutti che la nuova solennità liturgica avrebbe prodotto Pio XI scrisse la memorabile enciclica Quas primas dell'1l dicembre di quell'Anno Santo 1925. A cinquant'anni di distanza il suo insegnamento conserva tutta la sua opportunità, dal momento che i castighi abbattutisi sull'umanità, specialmente con la grande guerra 1939-1945, non sono riusciti a smuovere gli uomini dalla loro empietà. Anche quanti professano una fede religiosa continuano, per la maggior parte, a vivere come se Dio non esistesse. Si rivela, quindi, utile e anche necessario inculcare nuovamente e incessantemente nei fedeli l’importanza della festa di nostro Signore Gesù Cristo-Re, al fine di muoverli a realizzare, sia nella vita privata che in quella familiare e sociale, la sudditanza dovuta al Sovrano dell'universo, affinché non vengano frustrate le speranze nei frutti che questa festività è destinata a produrre nelle anime. […].

I

La regalità universale di Nostro Signore Gesù Cristo

Ravviviamo, anzitutto, la nostra fede nella regalità universale del nostro divino Salvatore.

Egli è veramente Re universale, cioè possiede una sovranità assoluta su tutto il genere umano, su tutti gli uomini, anche quelli che sono fuori dal suo ovile, la santa Chiesa cattolica, apostolica, romana.

Infatti, ogni persona è realmente creatura di Dio. Gli deve tutto il suo essere, tanto nell'insieme della sua natura, quanto in ciascuna delle parti di cui essa si compone: corpo, anima, facoltà, intelligenza, volontà, sensibilità; anche gli atti di queste facoltà, come pure di tutti gli organi, sono doni di Dio, il cui dominio si estende fino ai beni di fortuna, in quanto frutti della sua ineffabile liberalità. La semplice considerazione del fatto che nessuno sceglie o può scegliere la famiglia a cui dovrà appartenere sulla terra, con la rispettiva posizione nella società, è sufficiente per convincerci di questa verità fondamentale della nostra esistenza.

Da questo consegue che Dio nostro Signore è il Signore sovrano di tutti gli uomini, tanto individualmente considerati, quanto riuniti in gruppi sociali, dal momento che, per il fatto di costituire varie comunità, essi non perdono la loro condizione di creature. Infatti l'esistenza stessa della società civile ubbidisce ai disegni di Dio, che ha creato sociale la natura dell'uomo. Quindi tutti i popoli, tutte le nazioni, dalle più primitive fino alle più civilizzate, dalle più piccole fino alle superpotenze, sono tutte soggette alla sovranità divina e, di per sé, hanno l'obbligo di riconoscere questo soave dominio celeste.

 

Regalità di Gesù Cristo in quanto uomo

Orbene, come attestano frequentemente le Sacre Scritture, Dio ha conferito questa sovranità al suo Figlio unigenito.

San Paolo afferma, in modo generale, che Dio «costituì erede di ogni cosa››[1] suo Figlio. San Giovanni, da parte sua, conferma il pensiero dell'Apostolo delle genti in molti passi del suo Vangelo. Per esempio, quando ricorda che «il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giudizio nelle mani del Figlio››[2]. La prerogativa di amministrare la giustizia spetta, infatti, al re e chi la possiede la detiene in quanto rivestito di potere sovrano.

Questa regalità universale, che il Figlio ha ereditato dal Padre, non deve intendersi soltanto come l'eredità eterna, per cui, con la natura divina, Egli ha ricevuto tutti gli attributi che lo fanno uguale e consustanziale alla prima Persona della Santissima Trinità nell'unità dell' essenza divina. Questa regalità universale è attribuita in modo speciale a Gesù Cristo in quanto uomo, mediatore tra il cielo e la terra. Infatti, la missione del Verbo Incarnato è stata precisamente quella di instaurare sulla terra il regno di Dio. Osserviamo che le espressioni della Sacra Scrittura relative alla regalità di Gesù Cristo si riferiscono, senza ombra di dubbio, alla sua condizione di uomo.

Egli viene presentato al mondo come figlio del re Davide, per cui viene a ereditare il trono paterno, esteso fino ai confini della terra ed eterno, senza limiti di tempo. Fu così che l'arcangelo Gabriele annunciò la dignità del Figlio di Maria: «Darai alla luce un figliuolo, a cui porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figliuolo dell'Altissimo; il Signore Iddio gli darà il trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe ed il suo regno non avrà fine»[3]. Inoltre come re lo cercano i Magi venuti dall'Oriente per adorarlo: «Dov’è il nato re dei Giudei?›› chiedono a Erode al loro arrivo a Gerusalemme[4]. Infatti, la missione che il Padre eterno affidò al Figlio, al momento dell’Incarnazione, fu quella di instaurare sulla terra un regno: il regno dei cieli. Mediante la instaurazione di questo regno si va concretizzando quella carità ineffabile con cui, da tutta 1'eternità, Dio ha amato gli uomini e li ha attirati misericordiosamente a sé: «Dilexi te et attraxi te miserans tui»[5].

Vedete che Gesù consacra la sua vita pubblica all'annuncio e alla instaurazione di questo regno, ora indicato come regno di Dio, ora come regno dei cieli. Seguendo 1'uso orientale, si serve di parabole attraenti, per inculcare l'idea e la natura di questo regno che è venuto a fondare. I suoi miracoli mirano a convincere il popolo che il suo regno era giunto, si trovava in mezzo al popolo: «Si in digito Dei eicio daemonia, profectu pervenit in vos regnum Dei››, «Se io scaccio i demoni col dito di Dio, il regno di Dio è dunque venuto a voi››[6].

La costituzione di questo suo regno assorbì a tale punto la sua attività che 1'apostasia giudaica approfittò di tale idea per giustificare l'accusa sollevata contro di lui davanti al tribunale di Pilato: «Si hunc dimittis, non es amicus Caesaris››, « Se lo liberi, non sei amico di Cesare ››, «Chi si fa re, si dichiara contrario a Cesare ››[7]. Avvalorando la opinione dei suoi nemici, Gesù Cristo conferma al procuratore romano di essere veramente re: «Tu lo dici: Io sono re»[8].

Re in senso proprio

Vedete che non è possibile mettere in dubbio il carattere regale dell'opera di Gesù Cristo. Egli è re.

La nostra fede, tuttavia, esige che conosciamo bene la portata e il senso della regalità del divino Redentore. Pio XI esclude subito il senso metaforico, per cui chiamiamo re e regale quanto vi è di eccellente in un modo di essere o di agire umano, come quando parliamo della regina della bontà, del re dei poeti, ecc.

No. Gesù Cristo non è re in questo senso traslato. È re nel senso proprio della parola. Nella Sacra Scrittura appare nell'esercizio di prerogative regali di governo sovrano, dettando leggi e comminando pene contro i trasgressori. Nel celebre Discorso della montagna[9] si può dire che il Salvatore ha promulgato il codice del Suo regno. Come vero sovrano, esige ubbidienza alle sue leggi sotto pena della condanna eterna. E così anche nella scena del giudizio finale, allorché il Figlio di Dio verrà per giudicare i vivi e i morti: «Il Figliuol dell'uomo verrà nella sua gloria [...] e separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capretti [...]. Allora [...] dirà a quanti saranno alla sua destra: -Venite, o benedetti dal Padre mio [...]. Poi dirà a quelli di sinistra: -Andate via da me, maledetti, nel fuoco eterno [...]. E questi se n'andranno all'eterno supplizio, i  giusti invece alla vita eterna››[10].

Sentenza dolcissima e tremenda. Dolcissima per i buoni, per l'eccellenza senza pari del premio che li attende; tremenda e spaventosa per i malvagi, a causa dell'orribile castigo a cui sono condannati per l'eternità.

Questa considerazione è sufficiente per rendersi conto di come per gli uomini sia di somma importanza individuare bene dove si trovi qui sulla terra il regno di Gesù Cristo, perché appartenere o non appartenere a esso decide del nostro destino eterno. Abbiamo detto «qui sulla terra», dal momento che l'uomo merita il premio o il castigo per l'oltretomba in questo mondo. Sulla terra, dunque, gli uomini devono entrare a far parte di questo ineffabile regno di Dio, temporale ed eterno, poiché esso si forma nel mondo e fiorisce nel cielo.

 

La Chiesa cattolica è il Regno di Dio

La stessa Sacra Scrittura, che ci ha condotto alla conoscenza della regalità di Gesù Cristo, ci dice quali sono, nel mondo attuale, in quanto continuatori della missione del divino Maestro, i capi autentici del suo regno. Guide autorizzate del gregge di Cristo sono i legittimi successori degli Apostoli, perché fu sopra gli Apostoli che il Salvatore ha edificato la Sua Chiesa, ossia il suo regno, nel cui seno gli uomini prendono la strada del cielo.

Agli Apostoli, infatti, Gesù ha affidato il Suo potere e ha preteso per loro la stessa ubbidienza a Lui dovuta: «Chi ascolta voi, ascolta me›› ha detto loro il divino Maestro «chi disprezza voi, disprezza me››[11]. E in un altro passo, descrivendo il potere di governare, di dirigere la sua società, la Chiesa, ha detto loro: «Tutto ciò che voi legherete sulla terra sarà legato in cielo e tutto ciò che voi scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo»[12]. Dopo la Sua risurrezione, specifica il potere sovrano concesso agli Apostoli, dicendo che esso “comprende anche il perdono dei peccati”, prerogativa esclusiva di Dio: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi li riterrete saranno ritenuti››[13]. Dopo avere, durante la sua vita, significato con varie espressioni che trasmetteva agli Apostoli il suo potere di guidare gli uomini sulla strada del cielo, come per compendiare questa sua disposizione Gesù, nel partirsi da questo mondo per ritornare nel seno dell'eterno Padre, affida loro la direzione della sua opera che continuerà ancora sulla terra dal momento che, fino alla fine del mondo, Dio dovrà essere glorificato e le anime sa1vate: «Ogni potere – dice agli Apostoli – è stato dato a me in cielo e in terra. Andate dunque, ammaestrate tutte le genti, [...] insegnando loro a osservare tutto quanto v’ho comandato»[14]. E vi è l'obbligo di ubbidire agli ordini degli Apostoli, in quanto legittimi superiori, sotto pena di perdere l'anima: «Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo; chi invece non crederà sarà condannato»[15]. Credere, cioè accettare la dottrina degli Apostoli e vivere in modo conforme ad essa: questo significa in senso proprio «credere» con tutta l'anima e quindi comportarsi da suddito del regno di Gesù Cristo, della santa Chiesa. Perciò, nello stesso momento in cui trasmetteva i suoi poteri agli Apostoli, Gesù garantì la permanenza della Sua opera, della Sua Chiesa, del Suo regno – tre espressioni che racchiudono il medesimo significato – dichiarando che sarebbe rimasto con gli Apostoli fino alla fine del mondo, ossia che gli Apostoli avrebbero avuto successori legittimi, presso i quali nostro Signore avrebbe continuato a essere presente affinché mantenessero intatta l’ eredità ricevuta: «Ed ecco io sono con voi tutti giorni sino alla fine del mondo››[16].

La Chiesa è gerarchica

Infine, provvedendo affinché non mancasse l’unità di governo, necessaria a ogni regno per conservarsi e conseguire ordinatamente il fine per il quale è costituito, Gesù ha istituito la sacra gerarchia che, nella santa Chiesa, istruisce, governa e santifica il  suo popolo. Di Pietro ha fatto la roccia incrollabile, su cui ha edificato la sua Chiesa, consegnandogli le chiavi del regno dei cieli e riunendo nelle sue mani ogni potere conferito agli Apostoli tutti: «Tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa [...]. A te io darò le chiavi del Regno dei Cieli, e tutto ciò che tu legherai sulla terra sarà legato nei cieli e tutto ciò che tu scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli››[17].

Perciò la Chiesa, che possiede il successore di Pietro e i successori degli Apostoli, è la Chiesa di Cristo. In essa si trova il regno di Gesù Cristo. Ora questa Chiesa, unica al mondo, che presenta nel Papa il successore di San Pietro e nei suoi vescovi i successori degli Apostoli, è la Chiesa cattolica, apostolica, romana. Facendone parte e vivendo secondo la sua dottrina, apparteniamo al regno di Cristo, ci mostriamo vassalli fedeli del Re della Gloria, ci incamminiamo verso il regno dei cieli, verso la beatitudine eterna.

Osservate, amati figli, le altre confessioni, che usurpano il titolo di cristiane: hanno tutte una data di nascita posteriore al divino Maestro. Soltanto la Chiesa cattolica romana risale, per la sua origine, fino all’epoca di Cristo. Infatti, essa soltanto è veramente apostolica; ossia deriva in linea diretta dagli Apostoli. È la Chiesa, di Cristo.

 

II

Regalità principalmente spirituale

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[1] Ebr. 1, 2.

[2] Gv. 5, 22.

[3] Lc. 1, 31-33

[4] Mt. 2, 2.

[5] «D’un amore eterno ti ho amato e perciò ti ho tirato a me pieno di compassione» (Ger. 31, 3).

[6] Lc. 11, 20.

[7] Gv. 19, 12.

[8] Ibid. 18, 37.

[9] Cfr. Mt. 5, 4 ss.

[10] Mt. 25, 31 ss.

[11] Gv. 18, 37.

[12] Mt. 18, 18.

[13] Gv. 20, 23.

[14] Mt. 28, 18-20.

[15] Mc. 16, 16.

[16] Mt. 28, 20.

[17] Ibid. 16, 18-20.