L’idea cattolica nel Piemonte sabaudo dall’assolutismo restaurato all’affermarsi dell’ideologia liberale

Premessa

Prossimi al centocinquantesimo anniversario della cosiddetta unità d’Italia – si dovrebbe piuttosto dire della creazione dello Stato liberale italiano – e già sommersi dalla retorica risorgimental-repubblicana dei molti che si dedicano alla celebrazione di Garibaldi, Cavour e Mazzini così come di quei “valori” liberali vittoriosi nel Risorgimento e oggi totalizzanti la vita pubblica nazionale, riteniamo utile ricordare le radici di quel Risorgimento a guida piemontese che troppi confondono con la legittima aspirazione all’ indipendenza dell’Italia e con il manifestarsi di un sano patriottismo.

Il Risorgimento fu evento sostanzialmente rivoluzionario anticristiano, l’unificazione della Penisola non fu altro che un mezzo per l’imporsi della rivoluzione stessa in tutto il Paese. Ben prima, infatti, che il processo unitario si compisse, il Piemonte aveva eletto a propria causa il progetto massonico dello Stato laico liberale e l’impegno alla lotta contro la Chiesa. Non sarà inutile, quindi, riflettere sul Piemonte sabaudo a cavallo tra la Restaurazione e il Risorgimento.

Il Regno sabaudo e i deleteri influssi della Francia

Il Regno sabaudo, per contiguità territoriale e culturale, subiva più di altri antichi Stati italiani l’influenza della Francia, nel bene (molto) ma anche nel male. Così lo stesso gallicanesimo non mancò di suscitare, nella corte piemontese, lo svilupparsi di una robusta politica ecclesiastica ispirata al giurisdizionalismo confessionale. Da oltralpe proveniva poi il veleno della eresia giansenista e, durante il secolo XVIII, si propagarono i germi dell’ illuminismo e dell’enciclopedismo.

In Piemonte1 “l’influsso delle idee francesi si era fatto sentire. Il giansenismo continuava a vivere, evolvendosi verso forme più radicali, che predisposero il terreno all’ affermazione di una corrente piemontese repubblicana e giacobina”2. Infatti “nel movimento giansenizzante del tardo Settecento si confondono oramai eredità di pensiero derivate dai maestri giansenisti e gallicani francesi, residui del conciliarismo, dottrine antiromane come quelle di un Sarpi, di un Richer, di un Giannone, spunti attinti a più moderne correnti giusnaturalistiche, ricorrendo soprattutto ad alcuni studiosi protestanti del diritto naturale, promotori di quel razionalismo giuridico-politico che si andava affermando principalmente in Germania”3.

Si può, senza tema di smentita, individuare proprio nel tardo giansenismo uno dei veicoli di quella protestantizzazione del mondo latino che poi, nella sua forma secolarizzata, darà origine e sarà realizzata dalla Rivoluzione in Francia (e dal Risorgimento in Italia). Il Piemonte, è vero, riceverà in “dono” dall’occupazione francese (repubblicana e napoleonica) molti veleni rivoluzionari, ma tale inculturazione della Rivoluzione trovò il terreno già arato e dissodato dal movimento tardo giansenista piemontese, fenomeno costituito da Sacerdoti “in continuo scambio di corrispondenza […] col Degola, col Grégoire e persino con la Chiesa di Utrecht”4 e da quei “princìpi e sentimenti ugualitari” che circolavano nel Regno di Sardegna sovrapponendosi a “un acceso anticurialismo ispirato a premesse democraticistiche”5.

La reazione cattolica e le “Amicizie cristiane”

La volontà di combattere tali focolai ereticali spiega la nascita nel Piemonte “sotto il regno di Vittorio Amedeo III”6, delle Amicizie cristiane7 ad opera del gesuita8 Nikolaus Albert von Diessbach9 e del suo continuatore il venerabile Pio Brunone Lanteri10 come società segreta cattolica finalizzata alla lotta contro la massoneria e le idee rivoluzionarie11. Le Amicizie cristiane furono il primo movimento laicale cattolico organizzato in Italia “pel quale anche in Italia dai cattolici comuni uscì la schiera dei cattolici militanti”12 e, con il Lanteri, si diffusero il Italia ed Europa divenendo “centro di collegamento tra i cattolici papali torinesi e le forze più attive del cattolicesimo ultramontano francese”13. «Chi volesse ricercare i primi impulsi di quel movimento donde uscì anche in Italia la schiera dei cattolici militanti […] dovrebbe prendere le mosse da quelle singolari società piemontesi dette “Amicizie”, che furono fondate o animate dall’ab. Pio Brunone Lanteri. […] Ma se volessimo spingere l’indagine alle origini di quel movimento […] ci troveremmo innanzi ad una singolare tempra di apostolo della causa di Dio e di lottatore, che, con genialità pari all’altezza e all’ardore del suo spirito, abbozzò il programma di quelle “Amicizie”, con esse creò una forte associazione cattolica internazionale […]. Intendiamo dire del P. Niccolò Giuseppe Alberto Diessbach (1732-1798), un antico ufficiale bernese, il quale, convertitosi dal calvinismo al cattolicesimo, lasciò anche la milizia temporale per dedicarsi a quella dello spirito, prima nella Compagnia di Gesù, fino alla soppressione, e quindi nell’opera delle “Amicizie” che poté veder fiorire»14.

“Le Amicizie cristiane furono sin dagli inizi, un prodotto, un fatto della nobiltà piemontese, con carattere decisamente legittimistico”15 o, sarebbe forse meglio dire, espressione del lealismo cattolico all’ istituto monarchico tradizionale e, come tali, riscossero l’apprezzamento del re Vittorio Amedeo III, “che non aveva nascosto le sue simpatie per l’emigrazione legittimista francese offrendo ospitalità al conte d’ Artois”16, inserendosi, così, in posizione privilegiata nel panorama culturale torinese. Quando “il debole Stato sabaudo […] fu soffocato e il suo territorio annesso alla Francia, nel febbraio del 1799”17, “l’Amicizia cristiana, per il suo lealismo monarchico, per il suo attaccamento al papa, prigioniero di Napoleone, […] divenne una delle forze di opposizione più preoccupanti per Napoleone”18. L’occupante francese reagì colpendo il Lanteri che “fu sottoposto a sorveglianza e perquisizione dalla polizia e gli fu ingiunto di ritirarsi nella casa di campagna di Bardassano. Si era al 29 marzo 1811. L’Amicizia cessò, praticamente allora, di esistere, per risorgere solo il 3 marzo 1817, in pieno clima della Restaurazione”19.

Durante l’occupazione francese le energie ereticali e rivoluzionarie presenti in Piemonte trovarono il modo di manifestarsi in tutta la loro pienezza, trovandosi alleati, oltre ai compagni di ideologia e di loggia, molti opportunisti dell’aristocrazia e della borghesia i quali, collaborando con l’invasore, tutelarono i propri interessi e, nel mentre, recepirono l’ideologia dei vincitori gabellata per irresistibile verità dei tempi nuovi.

Il rifiuto del compromesso tra Restaurazione e Rivoluzione

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