“IOTA UNUM”

SUA ECCELLENZA MARIO OLIVERI E MONSIGNOR GHERARDINI

 

La recente ristampa di “Iota unum”, la publicazione del libro di monsignor Brunero Gherardini sul Concilio Vaticano II, gli interventi sul problema del Concilio di Sua Eccellenza Mario Oliveri,Vescovo di Albenga, e il Congresso sulla Messa tradizionale tenutosi ultimamente a Roma ci spingono a fare le seguenti riflessioni, che non pretendono di essere infallibili, ma cercano solo di sondare (per quanto la mente umana possa) ciò che sta avvenendo – indubbiamente – in ambiente cattolico in questi ultimi mesi del 2009.

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1°) ROMANO AMERIO

Iota unum”, le variazioni nella dottrina apportate dal Concilio

Nel capitolo XXX, al n° 205 del libro Iota unum (Torino, Lindau, 2a ed., 2009) di Romano Amerio (“L’ autonomia dei valori. Teologia antropocentrica di Gaudium et spes 14 e 24”) si trova una interessantissima dissertazione del filosofo luganese sulla contraddizione tra la dottrina cattolica, che è teo-centrica e contempla in Dio il Fine ultimo dell’ universo e dell’uomo, e quella del Concilio, considerato nei suoi testi e non solo nelle cattive interpretazioni post-conciliari (il famoso “spirito del Concilio”).

Scrive l’Autore: «Le varie deviazioni della morale rispondono tutte all’esigenza antropocentrica del mondo moderno, che sostituisce all’idea divina regolatrice del mondo l’idea dell’uomo auto-regolatore […] onde si crede che l’uomo sia il fine del mondo» (p. 427). Poi osserva che tale concezione propria della filosofia immanentista e soggettivista della modernità, la quale nasce con Cartesio ed arriva sino ad Hegel, trova corrispondenza in Gaudium et spes n° 14 che recita: «Omnia quae in terra sunt ad hominem tamquam ad centrum suum et culmen ordinanda sunt [tutte le cose di questo mondo devono essere ordinate all’uomo come al loro centro e vertice]». Inoltre sempre Gaudium et spes al n° 24 precisa che l’uomo «in terris sola creatura est quam Deus propter seipsam voluerit [l’uomo su questa terra è la sola creatura che Dio ha voluto per se stessa]». Così il testo conciliare, e non lo “spirito del Concilio o post-Concilio”, fa dell’ uomo il fine della terra, voluto da Dio come fine di essa e non per cogliere il Fine ultimo, che è solo Dio infinito e onnipotente. Amerio in nota spiega che la traduzione italiana corrente di questo testo è: «l’uomo è stato voluto da Dio per Se stesso», ossia fine dell’uomo e della terra non sarebbe più l’uomo, ma Dio stesso. Il Luganese osserva che tale traduzione erronea del testo conciliare, che lo fa apparire ortodosso o in “continuità con la Tradizione”, «annulla la variazione di dottrina» (p. 427, nota 2). È chiaro, invece, che il testo ufficiale in latino (ad uso dei teologi) di Gaudium et spes rappresenta una variazione sostanziale di dottrina, e che la traduzione in volgare maschera l’enormità di tale variazione, che è una vera e propria “rivoluzione copernicana”, simile a quella kantiana: un’«inversione» teologica a 360 gradi, la quale mette la creatura-uomo al posto del Fine e Creatore-Iddio. È la famosa “svolta antropologica” di cui già negli anni settanta parlava padre Cornelio Fabro[1].

Tale variazione conciliare, che è – ripetiamo – nel testo e non nell’ interpretazione o “spirito del Concilio”, contraddice alla divina Rivelazione (vedi Proverbi, XVI, 4: “Dio ha fatto tutte le cose per Se stesso”), alla sana teologia e alla retta ragione (vedi San Tommaso d’Aquino, Summa Theologiae, I parte, questione 19, articolo 2).

Si potrebbe obiettare che questa è un’interpretazione soggettiva di Amerio. Purtroppo, invece, questa è l’interpretazione che ne ha dato papa Paolo VI, il quale ha promulgato il Concilio e ha detto che qui [GS, 24, nda] il Concilio «ha modificato in modo considerevole il giudizio verso il mondo» (L’Osservatore Romano, 6 marzo 1969, citato da Amerio a pagina 430). Anche papa Giovanni Paolo II, sempre riportato da Amerio a pagina 427, ha letto GS, 24 in questo senso antropocentrico quando in un discorso “Sull’amore coniugale” ha citato il testo in latino: l’uomo è la sola creatura che Dio volle “propter seipsam” (L’Osservatore Romano, 17 gennaio 1980). Anzi, come fa notare Amerio a pagina 430, ancora Giovanni Paolo II ha detto: “Bisogna affermare l’uomo per se stesso, unicamente per se stesso […] bisogna amare l’uomo perché è uomo” (Relazioni Internazionali, 1980, p. 566). Inoltre lo stesso Giovanni Paolo II ha definito la svolta antropocentrica come uno dei punti più importanti del Vaticano II. Nell’enciclica “Dives in misericordia” n.° 1, infatti, egli afferma che «mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teo-centrismo con l’antropo-centrismo, la Chiesa [conciliare, ndr] […] cerca di congiungerli […] in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio».

Ora, è inutile “nascondersi dietro un dito” e cercare di salvare la continuità con la Traditio Ecclesiae di quei testi conciliari che, sicut litterae sonant e interpretati dai Papi del Concilio e post-Concilio, dicono e significano l’esatto opposto della Tradizione ecclesiastica. Non è il tal teologo o filosofo che interpreta autenticamente il Concilio ma il Papa. La soluzione delle contraddizioni del Concilio pastorale con la dottrina tradizionale dei Concili dogmatici, la potrà dare solo Pietro, ma sino a che ci si ostina a nascondere la testa nella sabbia, come lo struzzo, per non voler vedere le contraddizioni sostanziali e doverle espungere, non si uscirà dalla crisi in cui si dibatte l’ambiente cattolico da oltre cinquanta anni.



[1] La svolta antropologica di Karl Rahner, Milano, Rusconi, 1974.

Id., L’avventura della teologia progressista, Milano, Rusconi, 1974.

 

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