ALTERNATIVA DOTTRINALE: O L’«ESSE» TOMISTICO O L’«IDEA» ROSMINIANA

Rilievi preliminari

Si è oramai capito che l’odierna riabilitazione di Rosmini (nato a Rovereto nel 1797 e morto a Stresa nel 1855) s’inserisce nella lotta anticattolica ad opera del sovversivismo neomodernistico, il quale vede, non a torto, che il rosminiano ontologismo idealistico-panteistico è nell’ alternativa teoretico-teologica rispetto al tomismo autentico, cioè all’unica vera metafisica dell’unico vero essere. Di qui il tragico scontrarsi rosminiano con vari Dogmi della Fede cattolica. Per motivi così gravi il più geniale critico tomista delle assurde ed eterodosse opinioni del Roveretano, ossia il padre Cornelio Fabro, denuncia che «il “fenomeno Rosmini” […] giustamente […] condannato, è stato una conseguenza della situazione disastrosa della cultura cattolica del tempo e che ora, nel post-concilio [si noti bene, nda], tende a ripetersi annullando l’opera dei Pontefici dell’ultimo secolo»[1].

Sul fondamento e alla luce del tomismo originario, qui cercheremo di dimostrare che il sistema rosminiano, per colpa del suo «apriorismo (l’idea innata di essere, ossia di essere come idea [dunque schietto ontologismo idealistico, nda] […]) [è] deviante dal realismo tradizionale e impotente […] a frenare l’irruenza nichilistica e atea dell’immanentismo moderno»[2]. Sennonché ciò che è impotente a questa impresa rimane oggettivamente irretito e coinvolto nel nichilismo stesso; errore questo che S. Tommaso condanna come «gravissimo e turpissimo»[3].

Precisiamo una volta per tutte: qui non giudichiamo affatto né la persona né le intenzioni di Rosmini e non dimentichiamo che egli fondò l’ordine religioso dell’«Istituto della Carità».

Qui ci muoveremo solo sul piano dottrinale ricordando che «le idee […] sono come le frecce che, una volta lanciate, non seguono sempre l’intenzione di chi le ha lanciate, ma corrono secondo la spinta e la traiettoria che è propria della loro carica energetica»[4].

Precisazioni

Per agevolare la lettura del primo paragrafo del presente articolo, paragrafo dedicato alla dottrina metafisica di san Tommaso, chiariamo i punti seguenti:

1) nel tomismo fondamentale il primo oggetto della nostra conoscenza è l’ente (ens) che è sostanza, sia spirituale sia materiale, costituita e strutturata da due princìpi realmente e concretamente diversi e distinti: l’essere (esse) partecipato, che è l’atto, e l’essenza, che è la potenza.

2) Questa potenza finitizza cioè rende finito l’atto di essere partecipato dell’ente e quindi, pur conservando la propria positività ontologica, vale meno dell’atto di essere che, invece, è la perfezione primo-ultima.

3) Tramite l’astrazione, il cui valore è necessario ma limitato, noi cogliamo solo l’essenza degli enti, della quale compiamo, così, la reduplicazione mentale che è l’idea o concetto.

4) Ma, poiché l’atto di essere partecipato è realmente diverso dall’ essenza dell’ente cui l’uno e l’altra appartengono, è radicalmente impossibile che l’atto di essere, primo-ultima perfezione concretante, venga colto tramite l’astrazione.

5) Dell’ente e, più ancora, dell’ atto di essere noi abbiamo la nozione metafisica trascendente qualunque idea o concetto; assolutamente agli antipodi del sistema rosminiano, prossimo all’idolatria di un cosiddetto “essere come idea”, che non esiste. Di qui, e non di qui soltanto, la comprensibile ammirazione di non pochi apostati neomodernisti verso un tale sistema.

1.L’«esse» tomistico quale fondamento della metafisica e della teologia

S’impone ora la necessità di un capitale chiarimento metafisico-teoretico: all’inizio della nostra conoscenza non apprendiamo immediatamente l’esse (l’atto di essere), ma l’ens (l’ente); ente che è sostanza, sia spirituale sia materiale, partecipante all’atto metafisico di essere in modo assolutamente indipendente dal nostro pensiero[5].

Ciò presuppone e fa vedere la struttura metafisico-trascendentale dell’ ente quale lo contempla l’ Angelico: ovvero composizione-distinzione, reale e concreta, di essere partecipato (atto) e di essenza (potenza): «È necessario […] che l’atto stesso di essere stia all’essenza, la quale è diversa e distinta da esso, come l’atto alla potenza»[6]. Infatti «l’essenza, prima di avere l’atto di essere, non è niente»[7]; «l’essenza è così chiamata subordinatamente all’atto di essere»[8]. Ciò significa che nell’apprensione primordiale dell’ente, sìnolo metafisico-trascendentale di essere come atto e di essenza come potenza, noi già cominciamo a trascendere l’ essenza dell’ente pur senza negarla né sottovalutarla; essenza cui l’idea si ferma.


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[1] C. Fabro, L’enigma Rosmini. Appunti d’archivio per la storia dei tre processi [1849, 1850-1854, 1876-1887], Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1988, pp. 69 s., nota 36. Corsivo nostro, come quello degli altri testi che citeremo direttamente. D’ora in poi questo saggio verrà citato in forma abbreviata: Enigma.

Dello stesso Cornelio Fabro cfr. Un inedito elenco preparatorio delle 40 proposizioni rosminiane, in “Sapienza”, 4, 1989, pp. 361-406.

Sullo “tsunami” post-conciliare vedi il saggio magistrale del teologo-ecclesiologo B. Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, Frigento (AV), 2009. Il termine “tsunami”, perfettamente centrato, si legge ivi, p. 93.

[2] Enigma, p. 9.

[3] S. Th., II-II, q. 154, a. 12.

[4] C. Fabro, Introduzione all’ateismo moderno, Roma, 1969, 2 ed., vol. I, p. 206. Cf. ivi, vol., II, p. 1097; anche Id., L’avventura della teologia progressista, Milano, 1974.

[5] Tra gli innumerevoli testi tomistici in merito, v. S. Th., I, q. 5, a. 2; S. c. Gent., l. II, c. 83; In l. De Causis exp., prop. 6, lect. 6, n. 175. Ha quindi una particolare rilevanza teoretica quest’altro testo di S. Tommaso: «Il termine di ente […] non dice quale sia l’essenza, ma esprime prioritariamente l’atto di essere». In I Sent., d. 8, q. 4, a. 2.

[6] S. Th., I, q. 3, a. 4.

[7] De Pot., q. 3, a. 5, ad 2.

[8] S. Th., I q. 39, a. 2, ad 3.