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Categoria: Anno 2008
ERMENEUTICA VUOL DIRE “ROTTURA”(2a parte)
 
Dopo la sua “conversione” alla “nuova teologia” (o neomodernismo) il card. Parente, a prova della continuità tra Vaticano II e Tradizione, asserì che la “Mediator Dei”, la “Mystici Corporis” e l’«Humani Generis» avevano aperto e pre-annunciato il nuovo corso conciliare.
Nella prima parte abbiamo dimostrato l’insostenibilità di questa tesi (peraltro non originale, perché sostenuta anche dai “nuovi Teologi”): le tre encicliche di Pio XII sono, al contrario, la sconfessione anticipata della “rottura” segnata dal Concilio.

Teologi “seri” ed “aperti” contro teologi contestatori
Il card. Pietro Parente, nel suo libro La crisi della verità e il concilio Vaticano II (IPAG, Rovigo, 1983) inizialmente cita come autori eterodossi, punte di diamante della “Nuova Teologia” o modernismo redivivo, i gesuiti de Lubac e Daniélou, ai quali si opposero i domenicani Garrigou-Lagrange e Labourdette; qualche pagina dopo, però, li pone, insieme con Congar, tra i teologi ortodossi che avrebbero fatto il Vaticano II innovando, sì, ma senza rompere con la Tradizione.
Parente, infatti, sposta la “rottura” all’interno del concilio Vaticano II asserendo che
a) un gruppo di teologi “aperti” ma “seri”: de Lubac, Congar, Daniélou, pur avendo avuto problemi negli anni Quaranta con il Magistero e il Sant’ Uffizio, si sarebbero, poi, corretti ed avrebbero cercato durante il Concilio il rinnovamento, ma senza rompere con il passato;
b) di contro altri teologi (più giovani), “contestatori”, “progressisti scalmanati” e “dilettanti avventurosi”, avrebbero voluto demolire tutto ciò che sapeva di passato: Schillebeeckx, Küng, Ranher. Costoro hanno svuotato i dogmi di fe-de definita (op. cit., p. 84).
Parente giustifica i primi con la teoria della “fedeltà alla Tradizione senza immobilismo e apertura non demolitrice” (p. 74). La scolastica dopo s. Tommaso – afferma il “secondo Parente” (quello della “svolta collegiale”) – si sarebbe cristallizzata e ripiegata su di sé senza produrre nulla di originale, anzi favorendo la scissura del mondo moderno dalla Chiesa (pp. 20, 150, 170).
c) Altri, infine, si sono opposti all’aggiornamento conciliare (tra i quali anche il “primo Parente”)  e vengono definiti dal Nostro “teologi archivisti, gelosi anche di conchiglie fossili e frammenti archeologici” (p. 87, n 7). Ma lui non si appella forse alla teologia primitiva per giustificare l’aggiornamento conciliare? Davvero gli estremi si toccano.

Α) I “BUONI” (secondo Parente):

1°) de Lubac
«Nel primo dopoguerra le sue intuizioni, fortemente innovative furono sospettate di eterodossia […]. Fu sospeso nel 1950 dall’insegnamento universitario» . Pio XII nella Humani Generis condannò la “Nuova Teologia”, di cui de Lubac era un esponente di spicco con il suo libro Le Surnaturel (Parigi, Aubier, 1946). Inoltre, de Lubac «ha studiato con simpatia e difeso costantemente […] Teilhard de Chardin  [che] offre a de Lubac l’occasione per approfondire  la dimensione cosmica del cristianesimo» .
Il cuore della teologia di de Lubac, oltre il teilhardismo, è quello del rapporto tra ordine naturale e soprannaturale. Riprendendo l’ errore modernista, condannato da s. Pio X (Pascendi, 1907), errore che confonde e unifica i due ordini, quasi che il “sopra-naturale” non sia “sopra la natura”, ma coincida con essa, de Lubac concedeva all’uomo un diritto alla grazia, che pertanto non era più un dono gratuito di Dio, ma un’esigenza della natura umana. Tale teoria de Lubac aveva ripreso da M. Blondel , il quale parlava appunto di esigenza del soprannaturale da parte della natura umana (1893). Nel 1946 de Lubac pubblicò Le Surnaturel che suscitò le apprensioni di Roma. Infatti mons. Pietro Parente (che poi nel 1983 tesse l’elogio di Lubac, Congar e Daniélou) su L’Osservatore Romano (9-10 febbraio 1942) «denunciava una ‘nuova tendenza’ teologica, la quale si stava facendo strada […] caratterizzata da un netto disprezzo della forma e del procedimento sillogistico della Scolastica (…); e dall’insistenza nel proclamare la relativi-tà delle formule dogmatiche» . Il Mondin scrive che «il centro principale di irradiazione [della Nuova Teologia] fu lo studio teologico lionese dei padri gesuiti, situato nella periferia di Lione, sulla collina di Fourvière, e dove in quel pe-riodo lavoravano Daniélou, Brouillard, von Balthasar e soprattutto de Lubac» .
Nel 1946, il padre Labourdette o.p. accusava Daniélou di “svalutare la teologia sistematica, di contrapporre la Patristica alla Scolastica, anziché di servirsi di entrambe per ottenere un migliore intendimento della Rivelazione e di tendere al relativismo filosofico-teologico” (Revue Tomiste, 1946). Tuttavia mentre de Lubac, Chenu, Congar furono rimossi dall’ insegnamento, Daniélou continuò a restare un “intoccabile” e ad insegnare e scrivere senza problemi.
Nel 1950 Pio XII nell’enciclica Humani Generis (condanna del neo-modernismo o Nuova Teologia) ebbe di mira proprio de Lubac. Scrive Ardusso: «è opinione diffusa che il testo della Humani Generis fosse diretto proprio contro de Lubac e i suoi amici, oltre che contro Teilhard de Chardin» .
Nel Surnaturel de Lubac sosteneva che «l’ordine soprannaturale è necessariamente implicato in quello naturale […]. Il dono dell’ordine soprannaturale non è gratuito, perché è dovuto alla natura. Allora, esclusa la gratuità dell’ordine soprannaturale, la natura per lo stesso fatto che esiste si identifica con il soprannaturale» . Secondo la dottrina cattolica, invece, l’uomo può dimostrare con certezza, con il lume della ragione naturale, l’esistenza di Dio a partire dalle creature ed ha un desiderio naturale di conoscere l’essenza divina, ma tale desiderio è condizionato ed inefficace; inefficace perché l’uomo da sé non è capace di appagare tale desiderio; condizionato perché esso può esse-re soddisfatto solo a condizione che Dio voglia chiamare gratuitamente l’uomo a contemplare la sua essenza faccia a faccia, tramite il lumen gloriae in Paradiso. Invece per de Lubac tale desiderio non è condizionato, ma assoluto, ossia è necessariamente compreso nella natura umana ed è efficace avendo l’uomo da sé la capacità di vedere l’essenza di Dio. Tale errore ha la sua radice in una falsa definizione di “potenza obbedienziale”, che per la Chiesa è potenza passiva di essere elevati da Dio gratuitamente all’ordine soprannaturale così come il legno è capace di essere modellato da un artigiano e può diventare statua; per Blondel e de Lubac, invece, la “potenza obbedienzale” è potenza attiva, come il poter aprire gli occhi e vedere. Il cardinal Giuseppe Siri scrive: «Questa nozione del soprannaturale […] apre il cammino all’antropocentrismo fondamentale […] conduce ad una specie di monismo cosmico e ad un idealismo antropocentrico»  e Pio XII nell’ Humani Generis la condanna scrivendo: «alcuni deformano la vera nozione della gratuità dell’ordine soprannaturale, quando pretendono che Dio non può creare esseri intelligenti senza chiamarli ed ordinarli alla visione beatifica» (Denz. 3891).
Nel 1965, de Lubac diede alle stampe una seconda versione “corretta” del “Surnaturel” intitolata Le mystère du Surnaturel, nella quale, se cerca di spiegare alcune insufficienze d’espressione del suo primo libro, sostiene pur sempre la medesima tesi: «in ogni caso – scrive il cardinal Siri – p. de Lubac parla di un desiderio naturale assoluto della visione di Dio. Questa nozione […] scarta la gratuità del soprannaturale, cioè della visione beatifica» . Già nel 1947 il p. Reginaldo Garrigou-Lagrange o.p. aveva scritto: «il p. de Lubac […] non sembra mantenere la vera nozione di natura umana; essa non sembra avere per lui alcun limite determinato […]. Non si può vedere ove finisca il natu-rale e cominci il soprannaturale, dove finisca la natura e cominci la grazia» .
Maurizio Blondel è stato uno dei maestri (assieme a Teilhard de Chardin) di de Lubac; da lui questi ha mutuato anche l’errore dell’evoluzione eterogenea del dogma (da Teilhard quello dell’evoluzione cosmica creatrice), partendo dalla falsa definizione di verità come adeguazione del pensiero alle necessità della vita contemporanea (adaequatio mentis et vitae). Ora, siccome le necessità e il corso della vita mutano costantemente (mentre le essenze no), anche la verità è in perpetuo divenire e il dogma evolve in senso sostanzialmente diverso, ossia cambia (evoluzione eterogenea) e non cresce nello stesso senso e significato per successivi approfondimenti (evoluzione omogenea). Le definizioni dogmatiche della Chiesa presuppongono la definizione realistica della verità (adaequatio mentis ad rem), mentre il “pragmatismo” anche dogmatico blondeliano (1936, Annali di filosofia cristiana) prende inizio proprio dalla erronea definizione di verità (adaequatio mentis et vitae). Parvus error in principio, fit magnus in termino!
Il s. Uffizio il 1°.XII.1924 aveva già condannato dodici proposizioni estratte dall’opera di Blondel (Filosofia dell’azione), la principale delle quali è appunto quella concernente la nozione di verità: “la verità è sempre in divenire e consiste in una progressiva adeguazione dell’intelletto alla vita” (“veritas est semper in fieri consistque in adaequatione progressiva intellectus et vitae”). Da questa nuova definizione della verità derivano due conseguenze capitali:
 1) la negazione dell’immutabilità della verità, “che non è immutabile, come l’uomo stesso” (Denz. 2058), il quale muterebbe sostanzialmente mentre è vero che lo stesso uomo, da bambino, adulto e vecchio, conserva la stessa so-stanza o natura che è soggetta a cambiamenti accidentali, permanendo sostanzialmente identica;
2) l’evoluzione eterogenea del dogma per cui “i dogmi sono da ritenersi solo secondo un senso pratico, o norma precettiva di azione, e non come regola del credere” (Denz. 2026).
Il padre Garrigou-Lagrange concludeva a proposito della “Nuova Teologia” di Blondel, Teilhard e de Lubac: «Dove va la Nouvelle Théologie? Essa ritorna al modernismo!» . In breve “Nuova Teologia”=“Neo Modernismo”. Anzi, se san Pio X aveva definito il modernismo “collettore di tutte le eresie”, il padre Garrigou-Lagrange definisce il neo-modernismo “apostasia completa”.