Scegli: Ratzingeriano o Cattolico

 Pubblichiamo il presente articolo su richiesta dell’autore, prof. Enrico Maria Radaelli. Per mancanza di spazio è stato necessario tagliare dei pezzi e dividere l’articolo in due parti.

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  1. L’eresia – la grave eresia – del “ratzingerismo”, di cui la questione del parto virginale di Cristo è solo un aspetto, e nemmeno il più grave

Una disputa, chiamiamola così, è stata innescata da un articolo dello scrivente, pubblicato su chiesaepostconcilioblogspot.com il 18-10-18, articolo estrapolato, nel suo nocciolo, dal mio recente studio critico sull’erronea, estremamente pericolosa teologia di Joseph Ratzinger, intitolato Al cuore di Ratzinger. Al cuore del mondo (d’ora in poi Al cuore; pro manuscripto, Aurea Domus, Milano 20-11-17).

L’articolo aveva per tema un concetto elaborato dal molto esimio Pastore ancora nel 1967, prospettato prima agli alunni del suo corso di Teologia dogmatica all’Università di Tubinga, poi nel libro che ne derivò, pubblicato in Germania col titolo Einführung in das Christentum: Vorlesungen über das apostolische Glaubensbekenntnis, (“Introduzione al cristianesimo: conferenze sul credo apostolico”), tradotto nelle edizioni italiane semplicemente in Introduzione al cristianesimo (d’ora in poi Introduzione).

Nel 2015 ritenni infatti opportuno scrivere Al cuore per mettere sull’avviso l’eminente Soggetto, e contestualmente tutti quei Pastori e fedeli che avrebbero potuto essere raggiunti dalla mia pubblicazione, dell’estrema pericolosità, ripeto, delle insane dottrine divulgate, mai ritrattate, anzi da lui direttamente confermate prima nel 2000 e poi ancora nel 2016, dottrine che si presentano gravemente offensive della maestà di Dio sia nel loro complesso che in ognuno degli undici svianti teologumeni che ho ritenuto di poter/dover rilevare nei suoi scritti.

  1. Una questione preliminare: il linguaggio usato dal prof. Ratzinger nel suo Introduzione al Cristianesimo è un linguaggio cattolico o è un linguaggio eretico?

Entriamo ora nel merito della disputa. Ci si felicita con i propri critici, in primis, per aver potuto riscontrare in essi l’onestà intellettuale di riconoscere che la prosa usata dal loro Maestro in Introduzione «non manca di oscurità e tende ad esser involuta», sicché, con l’«esegesi confusa» che ne deriva, succede che «egli finisce… coll’oscurare anche ogni legittimo aspetto “fisico” nella nascita del Signore o a renderlo poco comprensibile».

Si aggiungano a ciò, in Introduzione, tutti quegli espedienti (offerti sempre dalla retorica) che rilevo nel mio studio, cui rimando per prenderne piena conoscenza, espedienti utilizzati con estrema accortezza dal fine Teologo, e si perverrà agli esiti di sviante e fuorviante oscurità riconosciuta anche dai miei confutatori. Solo per metà, è vero, ma siamo già a buon punto.

Ma come mai costoro possono permettersi di rilevare il linguaggio improprio, pericoloso, non scientifico, dunque in ultimo sconveniente, in un lavoro che però vorrebbe divulgare proprio una teologia cattolica, ossia che dovrebbe dare la vita, e tutto ciò non può rilevarlo invece chi fa emergere l’atroce erroneità dei concetti nascosti in quel medesimo lavoro?

Una cosa è certa: il professor Ratzinger ascrive la figliolanza divina di Gesù esclusivamente a quello che lui chiama «un processo avvenuto… nell’eternità di Dio», e per lui il punto da tenere è proprio questo: che tale ‘figliolanza divina’ «non è un fatto biologico, bensì ontologico; non è un processo avvenuto nel tempo, bensì nell’eternità di Dio» (Introduzione, pp. 265-6).

Ora, sarebbe utile notare, nello studiatissimo linguaggio del Professore di Dogmatica all’università di Tubinga, una particolarità davvero speciale: che quel Teologo che più avanti nel libro non si farà scrupolo di albergare tra i suoi maestri di riferimento due stelle del luteranesimo come Bultmann e von Harnack, portatori massimi delle ereticali categorie rispettivamente del “Cristo della fede” e del “Gesù della storia”, nelle pagine in cui illustra le questioni inerenti il Mistero dell’Incarnazione di nostro Signore utilizza solo ed esclusivamente il nome ‘Gesù’, e non mai il nome ‘Cristo’, né mai i due nomi insieme.

Scelta precisa, inequivocabile, limpidissima: “Io – dice il Teologo tra le righe, ma con chiarezza palmare – sto parlando esclusivamente della natura umana del Figlio di Dio, sto parlando precisamente dell’uomo partorito da Maria, la figlia di Anna e Gioacchino. Non sto parlando di ‘Cristo’, del Messia che viene dal Cielo, del Figlio di Dio, e dunque non sto affatto parlando della natura divina che il nome ‘Cristo’ di per sé significa”.

Questa particolarità lessicale del Professore neoterico di Tubinga ha una sua portata teologica notevole, perché se essa viene accostata a quei fraseggi che in un primo studio paiono oscuri, confusi e nebbiosi, improvvisamente li mette a fuoco, li rende espliciti e limpidi come di più non potrebbero.

  1. Dove ha precisamente radice la grave ereticalità di Joseph Ratzinger a riguardo della paternità di Cristo?

Già, perché una cosa va ricordata: che per il dogma cattolico, per il quale non c’è alcuna differenza tra ‘Cristo’ e ‘Gesù’, cioè tra fede e storia, giacché la Persona cui in tutti i casi ci si riferisce: vuoi con i due nomi insieme, vuoi con uno dei due indifferentemente, ‘Gesù’ o ‘Cristo’ che sia, è un’unica Persona, è una sola, è sempre la stessa, nella quale fede e storia comunque coincidono, giacché, v. p. es. Gv 20,26-9 e 21,4-13, la storia, ossia l’evento, la realtà dei fatti, conferma i dati della fede, con l’unica distinzione data dalle due nature: una natura divina significata dal Messia, da ‘Cristo’, e una natura umana significata da ‘Gesù’; una natura cioè in cui il Figlio, il Verbo, è consustanziale al Padre, sicché è di origine divina, e una natura umana che origina da Adamo e che da questi giunge, per il dogma, alla Vergine Maria, figlia di Gioacchino e Anna, promessa sposa a Giuseppe di Nazaret, figlio di Eli.

E per ora fermiamoci qui. Infatti su questi termini siamo tutti d’accordo: anche l’Autore di Introduzione, se pur con linguaggio piuttosto personalizzato – anche i suoi sostenitori riconoscono p. es. che l’uso di concetti come ‘ontologia’ invece di ‘consustanzialità’ indebolisce invece di arricchire la nozione di ‘figliolanza divina’ –, configura lo stesso stato di cose richiesto dal dogma cattolico: la ‘figliolanza divina’ di Gesù Cristo è per tutti « un processo… avvenuto nell’eternità di Dio », sia che essa riguardi il Verbo, il Figlio consustanziale dell’ Altissimo Padre, dunque coeterno e in tutto eguale al Padre, sia che essa riguardi il suo passaggio da tale realtà e stato divini all’Uomo nato a Betlemme da Maria di Nazaret.

Ma è qui che le opinioni divergono. Infatti la domanda che dovremmo farci è: come avviene questo passaggio dalla consustanziale divinità del Verbo, del Figlio del Padre, cioè dalla consustanziale divinità che il professor Ratzinger chiama “figliolanza divina”, a quella del “Figlio dell’uomo”, ossia a quella del Figlio della Vergine Maria, Gesù Cristo nostro Signore?

Il Teologo lo spiega appoggiandosi a una nozione che, malgrado la sua centralità, non soddisfa neanche i suoi supporter, anch’essi riconoscendola oscura e involuta. «Il concepimento di Gesù – queste le parole decisive di Introduzione, p. 266 – non significa che nasce un nuovo Dio-Figlio, ma che Dio, in quanto Figlio nell’uomo-Gesù, attrae a sé la creatura uomo tanto da essere lui stesso uomo» (marcatura dell’Autore, ndR).

Come dice l’Angelo in Lc 1,35 («Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Colui che nascerà sarà dunque santo e sarà chiamato Figlio di Dio »), sta avvenendo qualcosa, nel sacro grembo della Vergine, che va ben capito, perché è lì e solo lì, nella sacralità di una maternità che più pura non ce n’è in sæcula, che può avvenire il concepimento dell’Uomo-Dio, ma questo qualcosa il Teologo lo spiega con una figura visibilmente inadeguata, una figura cioè che non può soddisfare nessuno, una semplice “attrazione” esercitata da Dio, ossia da Dio Figlio, «sull’uomo-Gesù».

Il Professore di Tubinga non solo non capisce gli avvenimenti riportati da san Luca, ma non sa riconoscere al Sacro Testo il carattere soprannaturale, intangibile e sommamente veritativo che ha: «Non c’è dubbio – continua infatti il testo appena letto di Introduzione, p. 266, riferendosi a Lc 1,35, unico testo citato in quelle pagine, e ben due volte –: la formula della filiazione divina ‘fisica’ di Gesù è quanto mai infelice e ambigua».

La grandezza, l’immensità di ciò che sta accadendo è invece messa in luce da san Luca – ossia da Dio attraverso san Luca – al massimo possibile, così da preparare gli uomini ad accogliere nella sua più formidabile pienezza la strabiliante novità che sarà poi ben enunciata da san Paolo (e che si vedrà anche noi fra poco): la novità, in Gesù Cristo, di una Nuova Creazione, che possiamo contemplare in otto ineffabili, soprannaturali “immensità”:

- prima immensità (Lc 1,26-7: «Nel sesto mese, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria»): il Messaggero è il più alto in lignaggio che avrebbe potuto scendere dal cielo in quel momento, perché il Mediatore tra Dio e gli uomini sarà proprio Colui il cui concepimento quell’Angelo ha il compito di proporre alla Vergine; egli è dunque uno dei sette Angeli maggiori, o Arcangeli, e le sue parole, in tutto il Testamento le più importanti trasmesse mai da un Angelo, fanno tremare i polsi; dell’ estrema convenienza di tutto ciò, v. S. Th., III, 30, 2; il professor Ratzinger, nel suo libro, non ne fa cenno alcuno;

- seconda immensità (Lc 1,31; 38: «Ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.… Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”»): Egli annuncia alla Vergine, a una giovinetta cioè già nata a sua volta per miracolo esplicito e annunciato, e votata con la più profonda, ferma e pensata convinzione a essere tutta e solo di Dio, dunque alla verginità più pura e assoluta, che Lei, pur mantenendo, come Le garantirà fra poco, la propria verginità, se accetta la richiesta di Colui che vuol essere il suo Sposo celeste, potrebbe concepire un figlio; Le annuncia cioè che a sua discrezione, ossia se darà il suo assenso, si compirà in Lei un miracolo di prima grandezza, un miracolo paragonabile non solo a quello della creazione dal nulla di tutte le cose, che sarebbe già molto, anzi moltissimo, ma, come si vedrà, ancor più grande: il più grande possibile; il professor Ratzinger non accenna né all’Immacolata Concezione, né alla disponibilità di Dio ad adeguarsi e accondiscendere a un verdetto umano, e verdetto di donna, di persona cioè del sesso di chi che per prima, disubbidendolo, Lo aveva insultato nella sua divina bontà/autorità; 

- terza immensità (Lc 1,32a: «Egli sarà grande e chiamato Figlio dell’Altissimo»), e questa – esclusa, come si vedrà, l’ottava immensità, nella quale si adempirà quel miracolo cui si è appena accennato –, la direi senz’altro la più grande di tutte: l’Angelo annuncia alla Vergine che la prole che Le nascerà «sarà chiamato Figlio dell’Altissimo» (e al versetto 35 conferma: «sarà chiamato Figlio di Dio»); la qual cosa sembra però inadeguata rispetto al fatto di esserlo effettivamente, Figlio di Dio, perché altro è dire “sarà il Figlio di Dio”, altro è dire “sarà chiamato (o detto) Figlio di Dio”, perché si può dire ciò di qualcuno, o così chiamarlo, pur quello non essendolo affatto, come lo stesso Ratzinger segnala avvenire con Augusto (v. Introduzione, pp. 211-3) e nei miti pagani (v. idem, pp. 264-5); ma non è la stessa cosa, perché le parole dell’Angelo ci dicono che il figlio che nascerà dal suo grembo sarà riconosciuto (= sarà detto) Figlio di Dio, e ciò infatti avverrà con triplice e universale testimonianza: la più decisiva, in primo luogo, proprio dall’Unico che poteva darne la più potente garanzia di verità che si sarebbe potuta pretendere per il dovuto riconoscimento della realtà, ossia da Dio Padre stesso, giacché, essendo Dio Padre l’unica Persona che conosce il Figlio, Dio come Lui e a Lui consustanziale (come sottolinea il Signore stesso in Gv 10,15), Egli è l’unico che può darne testimonianza e dire se Gesù è o non è suo Figlio, Dio come Lui, testimonianza che dà sia all’inizio che alla fine della sua vita pubblica: «Questi – dice due volte la sua voce dal cielo – è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto» (Mt 3,17 e 17,5); la seconda testimonianza è quella che di Sé dà Lui stesso, e più volte, la più importante delle quali è quella data a Caifa, nel Sinedrio al completo, che Gli chiede: «Ti scongiuro per il Dio vivo di dirci se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio», cui risponde con il definitivo: «Tu lo dici» (Mt 26,63-4): con questa testimonianza si chiude la Vecchia Alleanza e si apre la Nuova; la terza testimonianza è infine quella degli uomini, per tutto il Vangelo, ma valgono in specie: quella del Centurione sotto la croce: «Costui era veramente il Figlio di Dio» (Mt 27,54), e quella di san Tommaso Apostolo, che nel Risorto riconosce: «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28); il fatto che l’Angelo dica che il Concepito nel seno della Vergine sarà «chiamato Figlio dell’ Altissimo» (poi «Figlio di Dio»), dal punto di vista epifanico è la cosa più decisiva dell’Annuncio, perché: Io, è il Padre stesso che, essendo l’unico a poterlo essere, si fa Testimone davanti al mondo che quell’ uomo, Gesù di Nazaret, è il suo Figlio consustanziale, il suo unico Figlio (e infatti tutti noi battezzati in Cristo siamo figli suoi solo in quanto compartecipi di quell’una e unica figliolanza divina, ché altre non ce ne sono); IIo, è il Figlio stesso, il Verbo, la Verità, a testimoniare di Sé la più potente verità testimoniabile; IIIo, è la Terra tutta che ne dà testimonianza, in anticipo su tutti i cori dei Cieli, che presto canteranno su di essa l’unica cosa da cantare; il professor Ratzinger non parla minimamente di ciò: la sua lettura storicistica del Vangelo glielo fa avvicinare ai testi dei miti pagani o di quelli profetici del Vecchio Testamento, p. es. Is 7,14, cui però lui attribuisce “retroscena mitici” che a suo avviso, togliendo indebitamente l’inerranza a Sacre e inerranti Scritture che di mitico non hanno proprio niente, li assimila ai primi;

- quarta immensità (Lc 1,32b), l’Angelo Gabriele annuncia a Maria che il Figlio che concepirà in tal modo miracoloso è destinato da Dio a salire su un trono: «il trono di Davide», il che significa che Egli regnerà sul trono che gli è proprio, il trono del Diletto (l’etimo di ‘Davide’ è ‘diletto’), e Gesù, come attestato dal Padre stesso, è il Diletto di Dio (tra l’altro, segnalerei che è erronea e semieretica la traduzione che fanno universalmente, “prediletto” e non “diletto”, riguardo ai due passi di Matteo riportati sopra, perché il Verbo è l’unico Figlio di Dio Padre, il Quale non ha altri figli che Lui, e noi che crediamo in Lui, battezzati in Lui, siamo accolti nella sua unica e divina figliolanza solo come figli “adottivi”, ossia solo per partecipazione di grazia: dunque Gesù Cristo è “il Figlio diletto” e non solo “il più diletto tra i tanti diletti”, i quali anzi sono diletti solo se sono riconosciuti dal Padre “figli nel suo unico Figlio”); inoltre Gesù ha poi in effetti regnato, e tutt’ora regna, e regna per sempre: fin dall’inizio Egli regna su tutti i morbi, su tutti i diavoli e sulla morte; poi, con la sua resurrezione e ascensione, passando alla gloria divina, regna su tutto: sui popoli, sulle nazioni, sui secoli e sulle singole anime, come sa fare solo Lui, anche se noi lo rifiutiamo, o lo ignoriamo, o lo combattiamo; il professor Ratzinger anche di ciò non fa il minimo cenno; 

- quinta immensità (Lc 1,33a), l’Angelo annuncia poi a Maria che tale trono, che a un’umile come la Vergine già doveva presentarsi fuori ogni misura, «regnerà… sulla casa di Giacobbe », ossia che Gesù, come Giacobbe, è, dall’etimo, ‘Il Soppiantatore’, ‘Colui che prende il posto’, e davvero Gesù prende il posto del primogenito, ossia di Adamo (= ‘Il Primo creato’), perché il Figlio di Dio impone sulla carne, sui suoi istinti, sui suoi voleri, il regno di Dio, dello spirito e della ragione, che Adamo, peccando in cedimento alle passioni, come Esaù, aveva perduto; il professor Ratzinger tace anche di ciò;

- sesta immensità (Lc 1,33b), in più, l’Angelo annuncia alla Vergine che tale regno, al contrario di tutti i regni della terra, e specialmente al contrario del regno della carne, della morte, del peccato, ossia del regno instaurato da Adamo, «non avrà mai fine», e Maria certo deve aver raccolto anche questa promessa come specialissima, strabiliante, meravigliosa, ossia come una proposta davanti alla quale restare umilmente sbigottiti, così da chiedere solo, con un fil di voce: « Come è possibile [tutto questo]? Non conosco uomo [non ho rapporti coniugali] » (Lc 1,34); e qui va rilevato che dire con tempo di verbo presente indicativo «non conosco uomo» va inteso, come si può ben immaginare considerando la santità della persona della Vergine Maria, il suo proposito, il suo voto (che anche san Tommaso riteneva compiuto, v. S. Th., III, 28, 4), “e non intendo conoscerlo”, ossia “e non intendo averne” (di rapporti coniugali); il professor Ratzinger anche di ciò non fa cenno alcuno;

- settima immensità (Lc 1,35a), e qui viene il bello, anzi il meraviglioso, perché è giunto per l’Angelo il momento di illustrare alla Vergine in che modo sarebbe nato in Lei tanto clamoroso splendore, che non solo vuole rispettare in tutto la sacralità delle purissime decisioni della Vergine, ma ne vuole essere anche il più munifico, sovrabbondante e amorevolissimo compenso: «lo Spirito Santo scenderà su di te », Le dice, ossia Dio stesso sarà lo Sposo necessario (come si vedrà in S. Th., III, 31, 5): non un uomo, non un Angelo, ma lo stesso Dio creatore, lo ‘Spirito Santo Creatore’ che dal nulla fece tutte le cose, e ora non solo immetterà in Te, già immacolata e pura da ogni peccato per sua squisita previdenza, ciò che avrebbe dovuto immettere un uomo per permetterti di concepire un figlio, ma lo immetterà quale purissima et castissima Res, incontaminata dal peccato originale, essendo di fatto, questa Prole che ti nascerà, una tutta nuova Creazione: un nuovo Adamo, forgiato nel seno immacolato della Vergine, dunque, per quanto riguarda la “metà maschile” del tutto nuovo ‘Figlio dell’uomo’, dal nulla; ma anche su questo perno centrale il professor Ratzinger resta muto;

- ottava immensità (Lc 1,35b), «su di te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo», e qui l’Angelo dispiega alla Vergine tutta la grandiosità dell’evento, di fronte alla quale persino la creazione dal nulla del principio attivo maschile potrebbe sembrare quasi fosse come la radice quadrata di un miracolo: cosa c’è di più inconcepibile, di più prodigioso, di più ineffabile della unione di due nature incommensurabili, come potrebbero essere p. es. quelle del Vasaio e di un suo vaso, in un’unica persona, in un’unica entità intelligente e volente? Giacché l’ «ombra» evocata dall’Angelo è riferita a Dio, e precisamente alla sua potenza: essa rende presente alla mente del fedele la vastità incommensurabile dell’atto divino, la potenza di uno scettro dinanzi a cui tutto è prono, di una corona la cui maestà sublime del volere è una miriade di miliardi di volte più grande di quella del più splendido sole; e non ho detto niente; ma il professor Ratzinger anche su ciò si astiene assolutamente: tutto il suo dire a riguardo della nascita di Cristo Figlio di Dio è focalizzato sul concetto per lui decisivo che detta nascita è «ontologica», e non assolutamentissimamente «biologica »; naturalmente, anche su questo si sbaglia, e fra poco vedremo perché.

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