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Categoria: Anno 2017

Il dolore della famiglia Gard e gli abusi della giustizia

Charlie Gard ha sofferto sin dalla nascita di una malattia molto molto rara, la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale. Si tratta di un gruppo di patologie genetiche causate da mutazioni in geni nucleari che sono coinvolti nel mantenimento del DNA dei mitocondri. I mitocondri sono la centrale elettrica delle nostre cellule, e hanno al loro interno un piccolo cromosoma che codifica alcune essenziali proteine;

se il materiale genetico dei mitocondri viene perso, come accade nelle sindromi da deplezione del DNA mitocondriale, essi non funzionano o funzionano male, e il nostro organismo non è in grado di produrre sufficiente energia, quindi gli organi del corpo umano, a cominciare dai muscoli, poi in sequenza il fegato e il cervello, deperiscono progressivamente.

Questo è il motivo per cui Charlie non è stato in grado di muovere gli arti e di nutrirsi e necessitava di respirazione artificiale. È una malattia molto rara, che ha colpito pochi casi al mondo, tutti bambini.

I genitori non si sono rassegnati e hanno dato vita a una catena di solidarietà ricevendo ingenti donazioni da tanti privati che si sono sensibilizzati alla causa offrendo la possibilità a questa famiglia di effettuare un trattamento medico sperimentale negli Stati Uniti.

La famiglia Gard ha chiesto alla direzione del Great Ormond Street Hospital di Londra di mantenere il trattamento di ventilazione artificiale a Charlie per il tempo necessario a organizzare il trasferimento negli USA e l’autorizzazione a che il trattamento sia trasferito a un’altra équipe medica.

I medici del Great Ormond Street Hospital hanno però deciso che la speranza di miglioramento non giustificasse il mantenimento in vita di Charlie, anzi gli sarebbe di detrimento e perciò lasceranno morire Charlie.

Contro questa sentenza nel corso del 2017 i coniugi Gard hanno fatto più volte ricorso e appello, ottenendo sempre un diniego della loro potestà di decidere ciò che è meglio per il  loro figlio. Senza troppi giri di parole questo è il vulnus enorme che si è venuto a creare: i genitori vengono innaturalmente privati della loro patria potestà e addirittura in un primo momento si era persino impedito loro di assistere il piccolo negli ultimi momenti di vita, con una barbarie nella barbarie che solo il montare dell’indignazione pubblica è riuscita ad impedire. 

Dopo che i gradi di appello previsti dalla legge inglese hanno confermato la deliberazione dell’equipe medica, i genitori hanno fatto ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo. È bene notare che questa non è espressione dell’Unione europea, ma della Convenzione europea dei diritti dell’uomo firmata nel 1950 da tutti i membri del Consiglio d' Europa che include un numero di Stati ben più ampio. La Convenzione è un trattato internazionale volto a tutelare i diritti umani e le libertà fondamentali in tutti i 47 paesi che formano il Consiglio d'Europa, 28 dei quali sono i membri dell'Unione europea (UE).

La Convenzione ha istituito la Corte europea dei diritti dell'uomo, con l’intento di tutelare le persone dalle violazioni dei diritti umani. Ogni persona, i cui diritti sono stati violati nel quadro della Convenzione da uno Stato che ne fa parte, può adire alla Corte. Le sentenze che hanno riscontrato violazioni sono vincolanti per i Paesi interessati.

Questa Corte, che ha sede a Strasburgo, il 27 giugno 2017 ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai coniugi Gard che chiedevano il semplice mantenimento della respirazione tramite ventilatore meccanico per il figlio. L’Ospedale di Great Ormond Street, uno dei migliori ospedali pediatrici inglesi, diviene così il luogo in cui si compie una delle più incredibili violazioni del diritto più basilare, quello alla sopravvivenza, in nome di un presunto danno in cui altrimenti incorrerebbe l’infante e dell’assoluta contrarietà dei genitori.

Quella dei medici è una decisione incompatibile con i livelli minimi di empatia, nonché con la stessa deontologia medica per come si è sempre e dovunque sviluppata secondo i dettami del giuramento di Ippocrate. Inoltre si è arrogata il diritto di impedire anche la libera e autonoma iniziativa dei genitori per dare al loro figlio una possibilità di vita, fosse essa anche remota (il che è da dimostrare). Questo partendo dal presupposto, ormai divenuto purtroppo sempre più un nuovo grimaldello giuridico, che il trattamento alternativo che i genitori vorrebbero disperatamente sperimentare non sia nel miglior interesse del fanciullo. Le corti inglesi hanno dato ragione alla scelta dei medici e lo stesso è stato dichiarato dalla CEDU, che ha quindi respinto il ricorso dei genitori di Charlie. Le più alte magistrature purtroppo hanno deciso venendo meno ai fini stessi del loro compito.

Ormai è chiaro a chiunque che il diritto vigente e il potere giudiziario hanno dichiarato esplicitamente, e questa ne è un’ulteriore riprova, come il contenuto ultimo di alcune scelte fondamentali si riduca ad ottemperare alla meccanicità di alcune procedure, in particolare nella verifica dei presupposti del giudicato di prima istanza, di nomofilachia e di tutela dei diritti fondamentali che dovrebbero essere proprie delle alte corti. Queste alte corti sono il tentativo estremo di donare una presunta neutralità tecnocratica, ma si dimostrano impermeabili alla penetrazione da parte di una qualunque ipotesi di tutela del diritto naturale dei singoli di permanere in vita, promuovendo la hubris dei novelli tecnocrati a paradigma vincente e ossequiato.

Nel mese di giugno 2017 quindi un altro limes tremendo è stato oltrepassato, decidendo di sopprimere una vita divenuta mera zoe e non più bios, vita plasmabile, a disposizione per uso e abuso, indirizzabile e quindi distruttibile a piacimento, non più bios individuale e quindi meritevole di vivere a prescindere da altrui determinazione e finché ne abbia la possibilità.

La nozione stessa di vita umana è ormai esplicitamente posta dopo, secondo una nozione ambigua del miglior interesse dell’infante, un interesse che risponde agli infimi canoni dell’utilitarismo più primitivo di quello di Bentham, ben distante dall’idea di massimizzazione del bene che si vorrebbe situata dietro questa idea. Non parliamo poi di quanto queste corti abbiamo ignorato, in un paradigma anche solo mondano, laicissimo, le riproposizioni dell’utilitarismo dell’atto o della regola, quali sempre più elaborate dai filosofi che si riconoscono nelle diverse varianti dell’utilitarismo contemporaneo.

Il ragionamento di common sense che unisce chi si oppone a questo atto di arbitrio violento e soppressivo di una vita è molto semplice: non può ricevere e apprezzare più alcun bene chi viene privato della sua stessa vita e quindi viene rimosso da ogni possibilità di ricevere bene e sperimentare felicità o sollievo.

Il fatto che la vittima di questa decisione sia un infante, che come l’etimologia della parola stessa esprime è in-fans, non può parlare, aumenta lo strazio. Perché si può solo immaginare cosa agitasse le basilari pulsioni di questo piccolo uomo e lo sconvolgimento del percepirsi lontano dalle braccia di chi l’ha messo al mondo. Il colmo di questa tragedia è che i genitori hanno passato tutte le loro ultime settimane di lotta a ribadire come tutti i registri espressivi a disposizione dell’infante destinatario di questa sentenza di sconvenienza a rimanere tra i viventi dimostrassero come li sentisse vicini quando erano con lui, percepisse la loro vicinanza, reagisse agli stimoli, nonostante fosse relegato in un’algida struttura di sostentamento in cui doveva trascorrere i suoi ultimi giorni di vita.

 Ireneus

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