BENEDETTO XV UN PAPA “LIBERALE”?

Introduzione

Yves Chiron ha scritto un interessante libro titolato Benoit XV. La pape de la paix (Parigi, Perrin, 2014).

Spesso si sente presentare Leone XIII, Benedetto XV e Pio XI come Papi “liberali”, “modernizzanti” se non addirittura “modernisti”[1]. Ho già affrontato la questione riguardante Leone XIII e Pio XI, in questo articolo affronto la figura di papa Benedetto XV e i suoi rapporti col modernismo perché il libro di Chiron mette bene a fuoco la personalità, la vita, le opere e il pensiero di questo Papa.

Meriti e debolezze di papa Della Chiesa / vista d’insieme

Innanzi tutto si deve rendere onore a Benedetto XV per aver capito ed espresso con forza che la Prima Guerra mondiale sarebbe stata “una terribile carneficina, che avrebbe disonorato l’Europa” (28 luglio 1915), e sarebbe stata “il suicidio della civiltà europea” (4 marzo 1916). Non si può non dargli ragione vista la situazione creatasi nel Vecchio Continente specialmente dopo la Seconda Guerra Mondiale, che è stata la continuazione della Grande Guerra.

Dopo la Guerra il Papa cercò di pacificare le Nazioni tormentate dal conflitto, dalle ulteriori lotte ideologiche e dalle contestazioni sociali come l’anarchia, il socialismo e il comunismo, che in quei tempi imperversavano in Europa sostenuti dall’Urss leninista. Infine papa Della Chiesa cercò di riconciliare con la Chiesa le due Nazioni una volta cattolicissime (Francia e Italia) che, spinte dal laicismo liberal/massonico, nei loro vertici avevano rotto i rapporti con Essa nel passato ed inoltre subito difese, inizialmente quasi da solo, l’Armenia vittima del genocidio turco.

Le reazioni delle Nazioni europee secolarizzate però furono assai sgradevoli nei confronto del Papa. Il governo dell’Italia risorgimentale e massonica lo chiamò “Maledetto XV” per opposizione al nome “Benedetto” e la Francia lo chiamò “Pape boche / Papa crucco[2]”, Léon Bloy “Pilato XV” (Les On-Dit, 26 settembre 1917) e l’Inghilterra “manovratore di pace tedesca”. Persino il padre domenicano francese Antonin Sertillanges, il 10 dicembre 1917, in una predica pubblica nella chiesa di S. Maria Maddalena a Parigi, davanti all’Arcivescovo di Parigi e altri Vescovi e rappresentanti del governo, disse: “Santo Padre, non possiamo accogliere i vostri inviti alla pace, anzi siamo pronti a condurre il nostro nemico all’angoscia, questa è l’unica lezione che possiamo ascoltare”. Molti Vescovi francesi, compreso l’Arcivescovo di Parigi, furono d’accordo con le parole di p. Sertillanges (cfr. Y. Chiron, op. cit., p. 223 ss.). Infine l’ambasciatore francese a Roma, Camille Barrère, qualificò Benedetto XV un “agente tedesco” ed “era persuaso che una campagna condotta contro lui su questo tema lo avrebbe costretto ad abdicare”… (L. Noel, Revue d’histoire diplomatique, 1980, n. 1-3, p. 51)[3].

Tuttavia occorre prendere atto che, dopo l’aspra lotta anti-modernista condotta da S. Pio X, Benedetto XV addolcì la repressione del modernismo e dei modernisti, pur senza intaccare l’insegnamento integrale della verità. In questo caso non mi sembra si possa parlare di liberalismo o filo-modernismo di papa Della Chiesa, ma di un’ attitudine di governo meno rigida e oggettivamente, soprattutto col senno di poi avendo oggi il modernismo occupato la Chiesa ed anche il suo vertice a partire da Giovanni XXIII, anche meno lungimirante e meno buona di quella di papa Sarto riguardo alla lotta antimodernista. In breve tra i due Papi vi è una differenza accidentale di intensità nella lotta contro il modernismo e non una differenza sostanziale di dottrina, come invece è successo a partire da Giovanni XXIII, che ha iniziato una “pastorale”[4] in rottura con la Tradizione apostolica e il Magistero tradizionale della Chiesa[5].

La persona e la vita (21 novembre 1854 - 22 gennaio 1922)

Giacomo Della Chiesa nacque nel 1854 non si sa bene se a Genova città o a Pegli vicino Genova, comunemente si ritiene che sia natio di Genova. Il suo aspetto fisico è ben descritto dallo Chiron. Il Papa era “quasi disgraziato fisicamente, era soprannominato il piccoletto, […] a tre anni si ammalò di una grave forma di deperimento organico, di cui guarì ma che lasciò in lui una certa influenza, era leggermente zoppo, alto soltanto 1, 60 cm, aveva le spalle un po’ ricurve e uno strabismo notevole aggravato da una forte miopia  […], ma era dotato di una discreta rapidità di ragionamento” (op. cit., pp. 11 e 18).

A 12 anni espresse il desiderio di diventare sacerdote, ma il padre non gli dette subito il placet e volle che si laureasse e poi decidesse se continuare nella sua idea primitiva o se cambiare stato di vita. Quindi, dopo la licenza liceale classica nel 1871, s’iscrisse alla facoltà di Diritto dell’Università di Genova e fu uno studente modello, ma anche un militante cattolico molto attivo e vi fondò un piccolo circolo chiamato “Figliuoli di Pio IX”. Il 3 ottobre del 1875 si laureò con 69/70.

Siccome era ancora fermo nella sua decisione di diventare sacerdote si recò a Roma per compiervi gli studi ecclesiastici ed entrò al Collegio Capranica seguendo i corsi all’Università Gregoriana, ove ebbe come professori il p. Antonio Ballerini e il p. Camillo Mazzella, futuro Cardinale, fermo tomista e insegnante di Teologia dogmatica, collaboratore di Leone XIII alla rinascita del neotomismo a seguito dell’ Enciclica Aeterni Patris del 1878 e ispiratore della Lettera Testem benevolentiae (1899) con cui papa Pecci condannò l’Americanismo o modernismo ascetico[6].

Il giovane Giacomo ricevette una solida formazione tomistica, che lo portò da Papa nel marzo del 1916 alla promulgazione delle XXIV Tesi del Tomismo richieste già da S. Pio X al grande filosofo gesuita p. Guido Mattiussi dell’Università Gregoriana. Allo stesso modo da Papa promulgherà il CIC nel 1917, lavoro cui aveva già posto mano S. Pio X a partire dal 1904, servendosi di grandi esperti del Diritto ecclesiastico: il card. Vives y Tuto, il card. Felice Cavagnis e il card. Gasparri coadiuvato dal giovane mons. Eugenio Pacelli[7].

Il 21 dicembre del 1878 Giacomo Della Chiesa fu ordinato sacerdote nelle basilica di S. Giovanni in Laterano. L’anno seguente entrò nell’ Accademia dei Nobili Ecclesiastici, che ora si chiama Accademia Pontificale Ecclesiastica sita in piazza della Minerva, nel 1880 si addottorò in Diritto Canonico presso la suddetta Accademia e nel 1881 fu nominato insegnante di “Stile diplomatico” nella medesima Accademia.

 

Spagna: segretario del Nunzio Rampolla e il caso  di un celebre libro

Al Capranica conobbe mons. Mariano Rampolla del Tindaro, il futuro Segretario di Stato di Leone XIII, che nel 1882 venne nominato Nunzio Apostolico a Madrid e portò con sé il giovane Giacomo Della Chiesa come suo segretario particolare.

In Spagna don Della Chiesa fu non solo un fedele segretario del Nunzio Apostolico, ma anche un “prete caritatevole, sempre pronto a fare l’elemosina ai poveri” (Y. Chiron, op. cit., p. 44).

Nel 1844 un prete spagnolo, don Felix Sardà y Salvany, aveva pubblicato un celebre libro intitolato Il liberalismo è  peccato. Questo libro fu denunciato alla S. Congregazione dell’ Indice come una critica diretta alla “politica” di papa Leone XIII e del suo Segretario di Stato card. Rampolla del Tindaro, ma il 10 gennaio del 1887 la Congregazione romana rispondeva: “il libro di don Sardà y Salvany merita di essere lodato perché espone e difende la sana dottrina”.

Don Sardà aveva capito molto bene che il Papa 1°) svolgendo il “ministero diplomatico/politico” con le Nazioni deve mantenere, se gli è possibile, relazioni con tutti i Governi compresi quelli ostili alla Chiesa; 2°) ma nel “ministero apostolico”deve propagare la Fede e sostenere la salvezza delle anime, senza fare nessuna concessione al liberalismo, restando intollerante e intransigente (Il Liberalismo è  peccato, cap. 30).

 

In Segreteria di Stato a Roma

Nel 1887 mons. Rampolla fu richiamato a Roma a sostituire il vecchio Segretario di Stato di Leone XIII, il card. Jacobini testé morto, e il giovane don Giacomo lo seguì. Siccome Rampolla fu molto criticato e persino accusato non solo di essere liberale ma addirittura massone, queste accuse seguirono almeno in parte anche il suo giovane segretario don Giacomo Della Chiesa. “In realtà Rampolla non fu per nulla un liberale. Egli è stato un intransigente e un ultramontano. Leone XIII e Rampolla avevano le medesime idee e punti di vista. Papa Pecci ha pubblicato numerose Encicliche intransigenti e antiliberali. […]. Queste Encicliche non erano in contrasto con l’azione diplomatica del Papa e del suo Segretario di Stato, secondo i quali tra religione e politica non può sussistere separazione, ma cooperazione subordinata” (Y. Chiron, op. cit., p. 48).

Don Della Chiesa venne nominato Monsignore e minutante (redattore) presso la Segreteria di Stato. La sua immagine caratteristica è simile a quella della sua gioventù: “piccolo, incurvato, esitante e nervoso, quasi trepidante, ma ricco di doni intellettuali eccezionali e di una grande energia” (Y. Chiron, op. cit., p. 49).

Leone XIII nel 1887 dovette precisare il significato di un discorso pronunciato il 23 maggio durante un Concistoro, in cui si rallegrava che in Germania era stata ridata alla Chiesa la piena libertà di fare apostolato. In Italia tale discorso venne travisato e volutamente interpretato come un affronto al Governo italiano, che era in rotta di collisione con la Chiesa a partire dal 1870. Leone XIII precisò che il Papa rivendicava la sovranità temporale non per ambizione politica, ma come una garanzia vera ed efficace della sua indipendenza e della sua libertà. La chiarificazione del Papa fu seguita da una lunga nota di Rampolla inviata a tutti i Nunzi Apostolici il 22 giugno, che ha un tono ancora più fermo della precisazione scritta dal Papa. Tuttavia, siccome in Italia il mondo cattolico non era molto unito riguardo all’attitudine da tenere nei confronti dello Stato, mons. Giacomo Della Chiesa fu incaricato di rendere visita a circa 40 Arcivescovi italiani.

Mons. Della Chiesa si recò a Firenze e disse all’Arcivescovo che secondo il Papa “non ci sarebbe potuta essere riconciliazione tra Stato italiano e Papato sino a che la sovranità della S. Sede non sarebbe stata riconosciuta e Roma non sarebbe stata resa al Sommo Pontefice”. L’Arcivescovo fiorentino fu pienamente d’accordo[8]. Invece a Torino l’Arcivescovo spiegò che la maggioranza della popolazione torinese era leale verso Casa Savoia e il Papa non ne fu soddisfatto perché costatava che molti Vescovi erano poco combattivi e la rassegnazione prevaleva sullo spirito di reazione. Mons. Della Chiesa poté rendersi conto, nelle sue numerose visite alle Diocesi italiane, che in molte città d’Italia oramai la massoneria aveva più influenza delle associazioni cattoliche e ne fu molto dispiaciuto (Y. Chiron, op. cit., p. 57), ma nel centro-sud dell’Italia trovò un consenso molto più vasto sulla necessità che il Papa riacquistasse il suo potere temporale per meglio svolgere il suo apostolato spirituale. Il rapporto di mons. Della Chiesa a Roma oltre a narrare questi fatti concludeva amaramente che “la Rivoluzione e le sette, soprattutto la massoneria, dopo aver distrutto il potere temporale del Papa, hanno preso la direzione della vita pubblica italiana sottraendola alla Chiesa” (Y. Chiron, op. cit., p. 59).

Nel 1901 mons. Della Chiesa fu nominato sostituto della Segreteria di Stato e consultore del S. Uffizio. “Nello stesso tempo mons. Pietro Gasparri fu nominato segretario della Congregazione per gli Affari Ecclesiastici Straordinari. Con Rampolla e Della Chiesa formeranno, nella Segreteria di Stato, un trio che operava con il medesimo spirito. Mons. Della Chiesa era oramai il collaboratore più intimo del card. Rampolla ed era ricevuto con una certa frequenza da Leone XIII” (Y. Chiron, op. cit., p. 65).

 

Voci senza fondamento

Negli ultimi anni del Pontificato di Leone XIII si pose il problema modernista soprattutto a partire dalla Francia ove nel 1902 don Alfred Loisy pubblicò Il Vangelo e la Chiesa, che venne condannato dall’Arcivescovo di Parigi nel 1903. La Congregazione dell’Indice aveva iniziato ad esaminare le opere del Loisy. Tuttavia Leone XIII arrivato 93enne alla fine della sua lunga vita (che terminò il 20 luglio 1903) non poté affrontare con prontezza questo nuovo errore come aveva fatto nel 1899 con l’Americanismo.

Dal Conclave uscì il nuovo Papa: il card. di Venezia Giuseppe Sarto che prese il nome di Pio X. Si sa che stava per essere eletto il card. Rampolla, ma l’Austria pose il veto poiché lo riteneva “francofilo”.

“Alcuni autori hanno avanzato un’altra ragione del veto: il card. Rampolla sarebbe stato massone! Una tale asserzione, però, non la si ritrova né nei rapporti diplomatici dell’ epoca, né negli scritti dei partecipanti al Conclave, neppure nelle opere degli integristi del Sodalitium Pianum di mons. Umberto Benigni, che è sempre stato un fedele discepolo e ammiratore di Leone XIII, di cui Rampolla fu il più stretto collaboratore. È solo dopo il Pontificato di S. Pio X che questo rumore ha iniziato a spandersi. Se nel 1903 vi fosse stato il minimo sospetto a tale riguardo papa Sarto avrebbe allontanato il card. Rampolla da ogni incarico. Ora se alla morte di Pio X perse quello di Segretario di Stato mantenne tutti gli altri e ne ottenne dei nuovi. […]. Il card. Rampolla  restò, infatti, membro di cinque Congregazioni e fu nominato Arciprete della basilica di S. Pietro, ma volontariamente si ritirò dagli affari quotidiani della Curia e s’installò a Santa Marta. […]. In ogni caso è rimasto un collaboratore leale del nuovo Papa e del nuovo Segretario di Stato. Mentre Gasparri e Della Chiesa furono confermati nelle loro funzioni alla Segreteria di Stato” (Y. Chiron, op. cit., p. 77 e 79)[9].

Nel 1907 S. Pio X nominò mons. Della Chiesa Arcivescovo di Bologna. “Si è detto che questa nomina è stata fatta per allontanarlo da Roma a causa delle divergenze politiche tra il Segretario di Stato card. Raffael Merry del Val e il suo sostituto mons. Della Chiesa, ma nella lunga lettera che quest’ultimo indirizzò al primo il giorno successivo alla sua nomina canonica a Bologna si legge tutto il contrario. Egli vi narra l’incontro che ebbe con il Papa il quale lo elogiò vivamente e disse che lo inviava a Bologna poiché aveva bisogno di buoni Vescovi. […]. S. Pio X il 22 dicembre consacrò personalmente Vescovo mons. Della Chiesa e, fatto eccezionale, partecipò al banchetto offerto dal nuovo Arcivescovo” (Y. Chiron, op. cit., p. 94).

Nel Concistoro del 27 novembre 1911 S. Pio X nominò 19 Cardinali, ma non c’era l’Arcivescovo di Bologna. Erano passati oramai 6 anni dalla sua nomina arcivescovile e qualcuno disse che questo ritardare sino all’ultimo la porpora cardinalizia a mons. Della Chiesa sia stato dovuto all’opposizione del card. Merry del Val che lo riteneva poco vigilante nei confronti dei modernisti (Y. Chiron, op. cit., p. 115).

In effetti a Bologna mons. Della Chiesa aveva manifestato una certa indulgenza verso L’Histoire ancienne de l’Eglise di mons. Duchesne che era stata messa all’Indice, ma che era stata stampata con l’Imprimatur del Maestro del Sacro Palazzo.

Tuttavia durante l’ultimo Concistoro della sua vita, il 25 maggio del 1914, circa tre mesi prima di morire S. Pio X nominò Cardinale mons. Della Chiesa, che alla morte di S. Pio X sarà eletto Papa il 3 settembre col nome di Benedetto XV[10].

 

La Prima Guerra Mondiale

Circa due mesi dopo la sua elezione al Sommo Pontificato (3 settembre 1914) scoppiò la Grande Guerra alla quale parteciperà anche l’Italia ma a partire dal 1915. Il Papa fece di tutto per rimanere al di sopra delle parti come padre spirituale di tutti, per evitarla e per diminuirne le conseguenze, ma invano[11].

Benedetto XV scelse come suo Segretario di Stato il card. Ferrata, che morì un anno dopo e fu rimpiazzato dal card. Pietro Gasparri.

Il 1° novembre del 1914 Benedetto XV promulgò la sua prima Enciclica Ad Beatissimi, che aveva due soggetti principali: 1°) la Grande Guerra, la quale avrebbe travolto tutte le Nazioni europee ed era vista come un “flagello col quale Dio castiga i peccati dell’umanità”; 2°) il modernismo, che aveva sparso la zizzania dentro la Chiesa.

Quando anche l’Italia entrò in guerra il Papa ne fu molto rattristato avendo egli compiuto molti passi sia verso il governo austriaco che quello italiano per impedire l’entrata in guerra dell’Italia[12].

Due altre Encicliche di Benedetto XV sono passate alla storia. La prima è la Spiritus Paraclitus del 1920 che riguarda la S. Scrittura. Essa, assieme alla Providentissimus di Leone XIII (1893) e alla Divino afflante Spiritu di Pio XII (1943), è  una magnifica Summa di scienza biblica[13]. L’altra è la Fausto appetente die del 1921 sull’importanza e l’attualità della dottrina filosofico/teologica tomistica.

 

L’importanza dell’Impero austriaco per la Chiesa

Il Papa come Pastore d’anime era al di sopra delle parti, ma vedeva bene che l’Impero Austro-Ungarico era l’ultimo Impero cattolico e in caso di sconfitta le conseguenze sarebbero state catastrofiche per quel che restava ancora della Cristianità ed anche per la Chiesa e la sua missione verso le anime (Y. Chiron, op. cit., p. 158).

L’Impero Austro-Ungarico era oggettivamente – pur con tutti i limiti che ogni istituzione umana necessariamente porta con sé – l’ultima grande potenza cattolica europea e mondiale. La Chiesa si sarebbe trovata circondata da potenze apertamente ostili: da ovest l’Italia liberal/massonica, la Francia idem, l’Inghilterra protestante, massonica e fortemente filo-ebraica per non parlare degli Usa, che nel 1917 entrarono in guerra contro l’Impero Austro-Ungarico e che pian piano sarebbero divenuti la prima potenza mondiale interamente nelle mani del protestantesimo, della massoneria e del giudaismo post-biblico, mentre da est la Chiesa sarebbe stata fortemente combattuta e perseguitata dal bolscevismo sovietico. Tutto ciò non poteva lasciare indifferenti il Papa e il suo Segretario di Stato. Quando si parla di “nostalgia dell’Impero”, dando a questa pericope una valenza sentimentale e negativa, bisognerebbe piuttosto impiegare l’espressione più realista e positiva di “dolore per aver perso l’ultimo antemurale temporale”, che assicurava alla Chiesa una certa libertà di azione apostolica spirituale e sociale.

Anche il card. Gasparri, naturalmente, era dispiaciuto della fine dell’Impero, che avrebbe potuto “formare una potenza di ordine sociale e religioso per resistere contro la sovversione che avanzava in Europa”[14].

Nonostante ciò, dopo la guerra, la S. Sede – pur sostenendo con molta discrezione Carlo I d’Austria[15] – dovette cercare di evitare il peggio allacciando relazioni diplomatiche con le nuove Nazioni nate dalla “pace di Versailles” inviando i Nunzi Apostolici nelle nuove Capitali uscite dalla carta geografica disegnata a Versailles, che secondo Benedetto XV sembrava “elaborata da un pazzo” (Y. Chiron, op. cit., p. 249). La Seconda Guerra, la quale è stata la continuazione della Prima a causa di Versailles, gli dà pienamente ragione, come aveva intravisto chiaramente anche il  card. Gasparri nel febbraio del 1920 (Y. Chiron, ivi).

 

Il genocidio degli Armeni

Nel 1914 un po’ prima della Grande Guerra l’Impero Ottomano mise in atto il tentativo di sterminare il popolo armeno, uccidendo circa 1 milione e mezzo di armeni su 2 milioni[16]. Benedetto XV protestò vivamente tra l’indifferenza generale delle Nazioni europee.

L’attività diplomatica di Benedetto XV ebbe nondimeno un notevole successo. Infatti durante il suo Pontificato la Chiesa riprese i contatti diplomatici con l’Inghilterra, con il Principato di Monaco, con l’Olanda, con la Francia, con il Giappone, con il Portogallo, con il Brasile, con la Finlandia, con il Perù e con gli Stati dell’Europa centrale e balcanica[17].

La rivoluzione bolscevica e il sionismo

Nel febbraio del 1917 lo Zar abdicò. In Russia lo Zarismo controllava direttamente la Chiesa ortodossa e aveva ostacolato lo sviluppo del cattolicesimo. La caduta di Nicola II sembrò in un primissimo momento aprire uno spazio di libertà per i cattolici russi. Anche l’Impero Ottomano iniziava il suo declino e cominciava a perdere il controllo del Medio Oriente: per la Chiesa cattolica si poteva aprire un’altra porta. Purtroppo, però, la Russia diverrà atea e materialista ed impedirà ogni forma di culto religioso e la Turchia verrà rimpiazzata in Medio Oriente dalla Gran Bretagna, che darà il via libera (nel 1948) alla creazione dello Stato d’Israele nel 1917 e nel 1922, con grave detrimento per i Palestinesi e per il Cattolicesimo.

Occorre prendere atto che l’ attenzione del tutto particolare che la S. Sede aveva per la Terra Santa è antica quanto la storia della Chiesa. Infatti nella Palestina è nato Gesù, la Madonna, gli Apostoli e lì essi hanno iniziato a predicare Gesù Risorto per poi andare nel mondo intero. Già nel 300 d. C. la regina Elena, la madre dell’Imperatore Costantino, era andata a visitare la Terra Santa e portato numerose reliquie a Roma. Quindi la Chiesa non poteva vedere di buon occhio le concessioni dell’Inghilterra al movimento sionista di Teodoro Herzl, con cui si riconosceva un certo diritto di proprietà agli ebrei sulla Palestina, che l’avevano abbandonata da circa 1900 anni. La posizione della Santa Sede è ben compendiata nella risposta che S. Pio X aveva dato a Herzl il 26 gennaio del 1904: “Non possiamo favorire il ritorno dell’ebraismo in terra Santa, che è stata santificata dalla vita di Gesù. In quanto Capo della Chiesa è tutto quello che posso dire. Gli ebrei non hanno riconosciuto Gesù, Noi non possiamo riconoscere il popolo ebraico” (T. Herzl, The Complete Diaries, New York-London, 1960, t. IV, p. 1061).

Benedetto XV si era inquietato per la Dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917. Nel marzo 1919 in Concistoro il Papa parlò pubblicamente ed apertamente delle sue preoccupazioni sul futuro della Terra Santa dicendo che “concedere una situazione privilegiata agli israeliti in Palestina significherebbe colpirci crudelmente, infatti si concederanno i luoghi santi del Cristianesimo a chi non è assolutamente cristiano” (Allocuzione Concistoriale, 14 marzo 1919, in Actes de Benoit XV, 3 voll., Parigi, 1924-1926, vol. II, p. 450).

La S. Sede aveva le prove a partire dai fatti che il sionismo era sostenuto dal potere dell’alta finanza, della stampa e della politica ebraica mondiale. Si tenga presente che allora il segretario di Georges Clemenceau (1841-1929), Capo del governo francese, era un israelita, come lo era il segretario di lord David Lloyd George (1863-1945), Primo ministro della Gran Bretagna, e il segretario del Presidente statunitense Thomas Woodrow Wilson (1856-1924)[18].

Il card. Gasparri in un’intervista al Petit Parisien del 3 aprile 1919 dichiarò apertamente di sperare che Gerusalemme non avrebbe fatto parte della “nuova nazione sionista” (come è avvenuto nel 1948) e che perlomeno “Gerusalemme dovrebbe essere internazionalizzata”. Due giorni dopo (5 aprile) Gasparri dichiarò a Carlo Monti che “il Papa è molto preoccupato della pressione esercitata dai sionisti per avere la Palestina, ci mancherebbe solo che i Luoghi Santi cadano di nuovo nelle mani degli ebrei”[19]. La politica costante di Benedetto XV e di Gasparri mirerà a dotare Gerusalemme di uno Statuto Internazionale affinché non fosse controllata né dagli israeliti né dagli arabi musulmani.

Quando l’Inghilterra ottenne nel 1919 il protettorato esclusivo sulla Palestina il primo Alto Commissario nominato da essa fu sir Herbert Samuel ebreo di confessione israelitica. Il Patriarca latino di Gerusalemme mons. Barlassina ne fu vivamente dispiaciuto e disse: “l’alta finanza inglese e americana, quasi totalmente tra le mani degli ebrei, ha imposto un governo inglese come Protettorato per la Terra Santa, cosa che sarebbe inaccettabile per qualsiasi Nazione cristiana”[20].

Il Papa ricevette sir Herbert Samuel in udienza privata, ma disse a Carlo Monti che le sue rassicurazioni non lo convincevano affatto[21].

Benedetto XV nell’Allocuzione Concistoriale del 13 giugno 1921 riaffermò ancora una volta la sua diffidenza verso la politica  condotta in Terra Santa perché “la situazione dei cristiani lungi dal migliorare è diventata ancora più difficoltosa di prima. Le nuove istituzioni che svolgono la funzione di Protettorato in Palestina favoriscono l’elemento ebraico e una trasformazione che spoglia i Luoghi Santi del loro carattere sacro ai cristiani”[22].

 

Il preteso bolscevismo di Benedetto XV

Nel febbraio del 1917 la Russia zarista era caduta e con essa la supremazia scismatica ortodossa. La Chiesa romana poteva, inizialmente, sperare di ottenere da quest’ avvenimento una maggior libertà di apostolato nell’immenso territorio russo.

Fu così che, “pur intervenendo per salvare la vita allo Zar Nicola II e alla sua famiglia”, il Papa cercò di tastare il polso della nuova situazione per vedere se “la libertà religiosa proclamata dal nuovo governo russo potesse essere una chance reale per l’apostolato della Chiesa romana e i fatti, nei primi tempi, sembravano dar ragione alla speranza” (Y. Chiron, op. cit., p. 274) dato che il cattolicesimo era stato confinato in un ghetto e ridotto ad “una confessione religiosa periferica” dagli Zar.

Qualcuno ha gridato persino al “Papa sovietico!”. Nulla di più inesatto e irrealistico. Il filocomunismo del Papa è analogo al suo preteso filomodernismo.

In effetti Benedetto XV poté nominare nel luglio del 1917 mons. Ropp come Arcivescovo di Mohilev, che era vacante dal 1913. Anche dopo la presa di potere da parte dei bolscevichi nell’ottobre/dicembre 1917, contrastata da una guerra civile finita solo nel 1920, la quale ritardò in molte zone l’applicazione delle leggi atee bolsceviche, si sperava ancora che la separazione tra chiesa ortodossa e Stato, proclamata nel gennaio 1918, avrebbe aperto le porte alla Chiesa cattolica. Però la disillusione giunse presto. Già nei primi di gennaio del 1918 mons. Ropp scriveva al Papa che l’anarchia aveva invaso lo Stato e l’animo del popolo e che nelle regioni controllate dai bolscevichi i cattolici come gli ortodossi erano perseguitati[23].

Nel gennaio del 1919 il card. Gasparri[24] dovette riconoscere che il bolscevismo era più forte di quel che a Roma si fosse pensato. In quei tempi le comunicazioni non erano rapide come ai giorni nostri. Questo (e non il filo-bolscevismo di Benedetto XV) spiega la speranza mal riposta dal 1917 sino al 1919 (quando ancora vi era una resistenza armata antibolscevica in Russia) nella possibilità che il nuovo governo desse all’apostolato cattolico in Russia.

Nel 1919 il Vaticano aveva chiara la visione della realtà in Russia: si era caduti dalla padella nella brace e che brace!

“Il 7 febbraio 1919 due dignitari ortodossi lanciarono un appello a Benedetto XV. Lo avvisarono dei massacri perpetrati dai bolscevichi anche nei confronti di religiosi e religiose. Il Papa rispose inviando un telegramma a Lenin affinché facesse cessare le persecuzioni religiose” (Y. Chiron, op. cit., p. 275). Quando nell’aprile del 1919 i bolscevichi arrestarono mons. Ropp, il Papa inviò un secondo telegramma a Lenin per chiederne la liberazione; in effetti qualche mese più tardi fu rilasciato, ma gli venne proibito ogni apostolato e fu posto agli “arresti domiciliari”. Dovette intervenire mons. Achille Ratti, Nunzio Apostolico in Polonia, per ottenerne la liberazione piena.

Tuttavia nel 1919 non si poteva ancora intravedere la pretesa totalitaria, mondialista, ferocemente persecutrice del cristianesimo e “intrinsecamente perversa” (Pio XI, Enciclica Divini Redemptoris, 1937) del Comunismo sovietico, che in Russia era ancora impegnato a sbaragliare le ultime forze zariste scese in guerra civile contro di esso. Benedetto XV dichiarò al barone Carlo Monti verso la fine del 1919 che un’Enciclica sul Comunismo in genere e non su quello sovietico era in gestazione[25].

Nel 1920 la Russia, dopo circa 5 anni di guerra mondiale e la rivoluzione bolscevica, fu assalita da una grande carestia[26]. Il Papa il 5 agosto del 1921 in una Lettera inviata al card. Gasparri affinché fosse inoltrata dalla Segreteria di Stato al mondo intero chiedeva ad ogni cristiano di venire in aiuto del popolo russo “vittima di una delle più spaventose catastrofi della storia”[27].

Anche qui qualcuno ha voluto vedere un’attitudine filo-bolscevica del Papa, ma non occorre neppure rispondere a certe insinuazione totalmente peregrine.

Nel gennaio del 1922 i primi soccorsi alimentari della S. Sede (29 vagoni di cereali, per quello che prima della guerra e della rivoluzione comunista era “il granaio d’ Europa”) arrivarono finalmente in Russia. Le autorità sovietiche fecero sapere che erano disposte a negoziare con la S. Sede le condizioni di una missione cattolica in Russia e i colloqui tra le due parti iniziarono a Roma tra mons. Pizzardo e Vorovsky, il rappresentante dell’Urss in Italia, ma Benedetto XV morì prima di vederne l’avvio effettivo, che avrà un seguito con Pio XI (inviato come Nunzio Apostolico in Polonia nel 1918 da Benedetto XV). 

 

La lotta contro il modernismo e lo scioglimento del “Sodalitium Pianum”

È certo che già da Arcivescovo di Bologna papa Della Chiesa condannò il modernismo, anche se in maniera meno forte di S. Pio X. Tuttavia non è vero che egli abbia disapprovato l’azione di papa Sarto, ma solo gli eccessi di alcuni elementi del movimento cattolico integrale, eccessi oggettivamente non imputabili al suo fondatore mons. Umberto Benigni[28], ma che seminavano la confusione in ambiente ecclesiale scambiando per modernisti coloro che non lo erano. Nella Positio del Processo di Canonizzazione di Pio X un Vescovo giura di aver sentito dalla bocca di Benedetto XV le seguenti parole: “Quando ero Vescovo pensavo che il male modernista non fosse così pericoloso come ci veniva presentato. Invece ora da Papa mi rendo conto della sua enorme gravità”. La posizione di questo Papa, quindi, è assai diversa da quella del card. Gasparri che durante il Processo di Canonizzazione testimoniò contro S. Pio X come fomentatore delle discordie causate da alcuni integristi[29].

Persino il card. Merry del Val, il Segretario di Stato di Pio X e protettore del movimento integrista, era convinto di dover distendere il clima che si era creato nella Chiesa a causa di alcune personalità oggettivamente eccessive nella lotta antimodernista (Y. Chiron, op. cit., p. 283).

Si può quindi affermare che Benedetto XV ha continuato la lotta di papa Sarto contro il modernismo quanto alla sostanza, pur mitigandola quanto al modo o ai procedimenti[30].

Nella sua prima Enciclica (Ad Beatissimi, 1° novembre 1914) Benedetto XV elogiava come uno dei “benefici” del Pontificato di Pio X la difesa della fede contro l’eresia modernista: “Pio X ha sgombrato l’ insegnamento delle Scienze Sacre dal pericolo di novità temerarie”. Inoltre Benedetto XV ha rinnovato la condanna del modernismo qualificandolo come “errore mostruoso”, ha riconosciuto che non era stato totalmente soffocato ed ha invitato ad evitarne persino “le tendenze e lo spirito”.

“Benedetto XV è stato un difensore della Tradizione, ma ha voluto che cessassero i sospetti prima che l’Autorità ecclesiastica si fosse pronunciata definitivamente. Prima che la S. Sede avesse deciso qualcosa in merito; secondo il Papa, ci si doveva astenere dal proferire ogni insinuazione che potesse ferire gravemente la carità. In breve il Papa voleva far cessare le discordie tra i cattolici ed evitare che persone private si erigessero a maestri nella Chiesa” (Y. Chiron, op. cit., p. 286).

Come ha giustamente scritto Emile Poulat “alcuni degli integristi più accesi non erano nominati, ma erano avvertiti, senza esser condannati”[31].

Fu soprattutto Gasparri l’ acerrimo nemico del Sodalitium Pianum e di mons. Umberto Benigni. Ma la figura di Gasparri, pur avendo collaborato per vari anni con papa Della Chiesa, non è identica a quella di Benedetto XV. Infatti, mentre Gasparri ha ecceduto nell’avversione contro l’integrismo in sé ed anche contro Pio X, Benedetto XV ha soltanto cercato di evitare ogni eccesso da parte degli integristi più accesi e da parte dei cattolici liberalizzanti come fu il Gasparri. In breve, non ha condannato il cattolicesimo integrale in se stesso, ma gli eccessi di alcuni suoi membri.

Il Sodalitium Pianum non fu soppresso immediatamente dal Papa. Nel 1915 i suoi nuovi statuti furono approvati dal card. De Lai, ma la sua attività non aveva più la stessa ampiezza di quella che aveva avuto durante il Pontificato di Pio X. È certo che il card. Gasparri aveva in antipatia mons. Benigni e la sua opera[32], ma solo quando negli ultimi mesi del Pontificato di papa Della Chiesa, nel maggio del 1921, furono fatti circolare dei documenti dell’Archivio del Sodalitium Pianum ritrovati in Belgio durante la Grande Guerra, la S. Congregazione del Concilio aprì un’inchiesta e nel novembre del 1921 il Papa con l’accordo di mons. Benigni[33] giudicò opportuno far cessare l’attività del Sodalitium Pianum.

Tuttavia bisogna onestamente prendere atto che l’atmosfera era cambiata assai in Vaticano e favorevolmente ai modernizzanti: p. Genocchi, allontanato dall’ insegnamento sotto il Pontificato Pìano, se ne rallegrò in una lettera scritta al protestante ultraliberale Paul Sabatier nel dicembre del 1914; mons. Duchesne cessò di esser posto in stato di vigilanza e, benché nel 1912 i suoi 3 volumi della Storia della Chiesa antica fossero stati messi all’ Indice, entrò in amicizia con Benedetto XV; don Lanzoni (il Duchesne italiano) divenne prelato; nel 1915 il Vescovo di Vicenza soppresse due giornali ardentemente antimodernisti della sua Diocesi col placet del Papa.

D’altro canto Benedetto XV si oppose a che le opere del p. Laberthonnière, messe all’Indice nel 1916, fossero riabilitate; nel 1917 la Storia del Cristianesimo di mons. Ernesto Buonaiuti fu condannata e nel 1918 furono condannati i due libri su S. Agostino del medesimo Autore; nel 1920 fu condannata la Vita di Fogazzaro di Tommaso Gallarati Scotti, che tanta nefasta influenza ha esercitato su Giuseppe Roncalli e Giovanni Battista Montini. Infine papa Della Chiesa fu irremovibilmente fermo nella condanna del “Consiglio Ecumenico della chiese” nato in ambiente protestante e delle Conferenze ecumeniste sorte subito dopo la fine della Grande Guerra. Verso la fine del 1917 un pastore luterano di Uppsala lanciò l’idea di una “conferenza ecumenista e per l’unità spirituale dei cristiani”. La S. Sede il 19 giugno del 1918 respinse categoricamente questi progetti e riaffermò che “la Chiesa romana è la sola garante dell’Unità dei cristiani e prega per il ritorno dei dissidenti a-cattolici a quest’Unità”[34].

Yves Chiron anche riconosce che il Papa non ha intralciato per nulla, nel campo dottrinale, l’opera del S. Uffizio diretto dal card. Merry del Val dal 1914 al 1930, anche se nel “caso Semeria” è stato troppo duttile.

 

Conclusione

Tra il Pontificato di Benedetto XV e quello di Pio X non c’è stata rottura, ma un cambiamento di metodo e di spirito, dovuto in parte alla formazione e alla personalità di Benedetto XV (molto diversa da quella di Pio X) e in parte ad alcuni eccessi di zelo di qualche collaboratore di mons. Umberto Benigni, che squalificarono non la sua opera in se stessa, ma  ne inficiarono la futura azione ed efficacia: “ogni eccesso è un difetto”.

Certamente papa Della Chiesa non ha avuto lo spirito fortemente combattivo di Pio X, contro l’errore modernista né l’acume teologico controrivoluzionario e antigiudaico/massonico di Leone XIII, ma non per questo si può asserire che è stato un Papa “liberale”. No! la sua dottrina è integralmente cattolica, il suo governo della Chiesa è stato tutto finalizzato al bene e al trionfo della Chiesa di Cristo, anche se i metodi da lui impiegati risentono della sua formazione giuridica e diplomatica. Nulla di più, nulla di meno. Il suo Magistero è pienamente tradizionale, anche se non è paragonabile all’acume penetrante di papa Sarto e alla magnificenza, ampiezza e profondità di Leone XIII e di Pio XI. La sua persona potrebbe essere paragonata, mutatis mutandis,  a quella di Pio XII, fine giurista e diplomatico (inviato da Benedetto XV in Germania come Nunzio Apostolico nel 1917), che si trovò a dover fronteggiare una guerra ben più tragica della Prima Guerra Mondiale, anche se le differenze tra i due Papi sono notevoli. La personalità di Pacelli sorpassa quella di Della Chiesa come la situazione che dovette fronteggiare il primo è molto più grave e perigliosa di quella affrontata dal secondo.

Lo sfacelo che vive l’ambiente ecclesiale da Giovanni XXIII sino a Francesco I ci fa capire la necessità del Papa per il mantenimento dell’Unità della Chiesa e nello stesso tempo ci aiuta ad essere più comprensivi verso Papi che sono stati integralmente cattolici pur senza essere stati “integristi” nel senso positivo del termine. Benedetto XV è certamente uno di questi.

Leo

 

[1]Cfr. G. Jarlot, Doctrine pontificale et histoire. L’enseignement social de Léon XIII, Pie X et Benoit XV (1878-1922), Roma, Gregoriana, 1964.

[2]Crucco” dal serbo/croato cruh pane, è un dispregiativo per indicare i tedeschi.

[3]Benedetto XV, i cattolici e la Prima Guerra  Mondiale, in “Atti del Convegno di Studio di Spoleto”, 7-9 settembre 1963.

[4]Card.J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n.° 31, 30 luglio-5 agosto 1988: «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale».

[5]Brunero Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II.Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; Id., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.

[6]L’Americanismo  riduce la religione a sentimento soggettivo erompente dalla subcoscienza, sprofondando, così, sempre più nell’immanentismo e spalancando le porte alla psicoanalisi freudiana. Infatti il modernismo non si ferma alla pura conoscenza sensibile, ma va oltre parlando di subconscio e confinando, così, con il subliminale e addirittura con il preternaturale. Il caposcuola della subcoscienza come radice del sentimento religioso è Frederic William Henry Myers (1843 - 1901), un parapsicologo che ha studiato il paranormale, l’occulto, la metapsichica, la telepatia e soprattutto la magia. Myers ha studiato l’io subliminale e il subconscio dal quale emanerebbe il sentimento o l’esperienza religiosa. Come si vede le radici del modernismo americanista classico e del neo-modernismo sono addirittura infere.

[7]Nel quale CIC (can. 589, § 1) si raccomanda lo studio del Tomismo come obbligatorio nei seminari e nelle Università pontificie per accedere al Sacerdozio.

[8]Cfr. A. Scottà’, Giacomo Della Chiesa, Arcivescovo di Bologna, Soveria Mannelli, 2002, p. 105-109.

[9]Cfr. anche G. Sale, Popolari e destra cattolica al tempo di Benedetto XV, Milano, Jaca Book, 2006

[10]Cr. M. Doldi, Benedetto XV. Un Papa da conoscere e da amare, Casale Monferrato, Portalupi, 2004.

[11]E. Vercesi, Il Vaticano, l’Italia e la guerra, Milano, 1928.

[12]Cfr. A. Scottà, Papa Benedetto XV. La Chiesa, la Grande Guerra, la Pace (1914-1922), Roma, 2009.

[13]Cfr. F. Spadafora, Dizionario Biblico, Roma, Studium, III ed., 1963, pp. 347-354, voce Ispirazione.

[14]Intervista al Petit Parisien del 3 aprile 1919.

[15]J. Sévillia, Le Dernier Empereur. Charles d’Autriche. 1887-1922, Parigi, Perrin, 2009; G. Rumi, Benedetto XV e la pace, 1918, Brescia, Morcelliana, 1990, “Corrispondenza tra Benedetto XV e Carlo I d’Asburgo”, pp. 37-47; S. di Borbone, L’Offre de paix séparé de l’Autriche (5 décembre 1916 – 12 octobre 1917), Paris, Plon, 1920.

[16]Cfr. M. Carolla, La S. Sede e la questione armena, Milano, 2006.

[17]G. Migliori, Benedetto XV, Milano, 1955.

[18]Lettera del card. Pietro Gasparri a Carlo Monti del 19 maggio 1917, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa. Diario del barone Carlo Monti “incaricato d’ affari” del governo italiano presso la S. Sede (1914-1922), Città del Vaticano, LEV, 1997, vol. II, p. 100.

[19]Lettera del card. Pietro Gasparri a Carlo Monti del 5 aprile 1919, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa. Diario del barone Carlo Monti…, cit., vol. II, p. 459.

[20]Mons. Barlassina a Carlo Monti, 26 giugno 1920, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 560.

[21]Udienza di Benedetto XV a Carlo Monti, 21 luglio 1920, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 563.

[22]Actes de Benoit XV, cit., vol. III, p. 85.

[23]In un prossimo articolo affronterò la questione in dettaglio valendomi dell’ ottimo studio Santa Sede e Russia da Leone XIII a Pio XI, Città del Vaticano, LEV, 2 voll.,2002 e 2006. Infatti qualcuno accusa anche Pio XI di essere stato un filo-comunista per aver tardato a condannare il socialcomunismo solo 20 anni dopo la sua ascesa al potere con l’Enciclica Divini Redemptoris Missio del 1937, mentre ha condannato il Nazionalsocialismo nel medesimo 1937 con l’Enciclica Mit Brennender Sorge a soli 4 anni dalla sua ascesa. Si può già rispondere brevissimamente che il Nazionalsocialismo tedesco è nato molto dopo del comunismo scientifico di Marx (1848) ed ha stilato un Concordato con la S. Sede nel 1933 quando ha preso il potere. Il Comunismo era già stato condannato a più riprese da Pio IX, da Leone XIII e da Benedetto XV. Perciò non c’era la medesima urgenza di ricondannarlo. Mentre il Nazionalsocialismo presentava degli elementi che, dopo la disfatta della Grande Guerra e la Repubblica di Weimar, potevano trarre i cattolici tedeschi in inganno ed è per questo che il Papa si affrettò a mettere in luce ciò che nel Partito nazionalsocialista non era compatibile col Cristianesimo, facendo le dovute distinzioni tra il Partito neopagano e il governo germanico che aveva riportato l’ordine in una Germania sull’orlo delle rivoluzione e prossima preda del bolscevismo.Cfr. anche R. Morozzo Della Rocca, Nations et Saint-Siège au XXme siècle, Parigi, Fayard, 2003; Ph. Chenaux, L’Eglise catholique et le communisme en Europe (1917-1989), Parigi, Cerf, 2009.

[24]Lettera a C. Monti, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 421.

[25]Colloquio di Benedetto XV con C. Monti del 2 settembre 1919, in C. Monti, La Conciliazione ufficiosa…, cit., vol. II, p. 491

[26]Santa Sede e Russia da Leone XIII a Pio XI, Città del Vaticano, LEV, 2 voll., 2002 e 2006, pp. 120-180, “La missione pontificia di soccorso alla Russia (1921-1923), a cura di G. Petracchi.

[27]Benedetto XV, Lettera Le notizie, 5 agosto 1921, in AAS, 1921, pp. 428-429.

[28]Cfr. E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, Parigi, Castermann, 1969; L. Bedeschi, La Curia romana durante la crisi modernista, Parma, Guanda, 1968.

[29]Cfr. G. Spadolini, La Questione romana. Dal Cardinal Gasparri alla revisione del Concordato, Firenze, Le Monnier, 1997.

[30]Cfr.A.  Baudrillart, Les Carnets du Cardinal Alfred Baudrillart (1914-1918), 3 voll., Parigi, Cerf, vol. I, 1994, 14 settembre 1914; Id., Benoit XV, Bloud & Gay, 1920.

[31]E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, Parigi, Castermann, 1969, p. 600.

[32]E. Poulat, Intégrisme et catholicisme intégral, cit., p. 601; Cfr.A.  Baudrillart, Les Carnets du Cardinal Alfred Baudrillart, cit., 1° dicembre 1914.

[33]Lettera del card. Sbarretti a Mons. Benigni, 25 novembre 1921, in E. Poulat,  Intégrisme et catholicisme intégral, cit., p. 515 ss.

[34]AAS, 1919, vol. XI, p. 309.

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Segue sul periodico:

- Sicut erat  (22) - Vetus aut novus: la differenza che porta al cambiamento della Fede

- “Dalla Messa la gioia”