NEOPAGANESIMO DI IERI E DI OGGI

Una vecchia tentazione

Il ritorno al paganesimo

Un’idea vecchia e mai sopita, secondo la quale l’Antico Testamento è cattivo, il Nuovo si salverebbe solo a certe condizioni e la salvezza verrebbe dal ritorno al paganesimo si riaffaccia oggi più che mai in Europa. L’Abate Giuseppe Ricciotti commenta: “No, proprio no: se buttate via la prima e la più antica parte della Bibbia, voi non avete nessun diritto di conservare solo la sua seconda e più recente parte. Si contentino di rimanere con Lutero, indubbiamente ariano, ma rinuncino a Gesù Cristo, indubbiamente ebraico[1]

 

Sono perciò di attualità le cinque prediche che il cardinal Michael von Faulhaber, arcivescovo di Monaco, tenne nelle quattro domeniche d’ Avvento e nella sera di S. Silvestro del 1933, nella più grande chiesa di quella città, dedicata a S. Michele. Esse furono raccolte nel libro Giudaismo, Cristianesimo, Germanesimo, che – come sostiene l’eminente esegeta Ricciotti – “è un’opera di scienza”, è lo “scritto di un dotto... specializzato in una scienza poco divulgata..., cioè la scienza biblica... il Faulhaber è uno specialista di tali questioni, giacché ha passato undici anni facendo lezioni bibliche all’Università di Wurzburg ed ha occupato all’Università di Strasburgo la cattedra di Sacra Scrittura dell’ Antico Testamento”[2]

 

Tre distinzioni basilari

Il cardinale tedesco spiega che occorre innanzi tutto fare una distinzione fra il popolo d’Israele anteriore alla morte di Cristo e quello posteriore alla sua morte:

“Prima della morte di Cristo, negli anni tra la vocazione di Abramo e la pienezza dei tempi, il popolo d’Israele fu il depositario della Rivelazione. Lo Spirito di Dio suscitò e illuminò degli uomini, i quali per mezzo della Legge mosaica, dettero ordinamento alla vita religiosa e civile. Dopo la morte di Cristo, Israele fu licenziato dal servizio della Rivelazione. I figli di quel popolo non avevano riconosciuto l’ora  della visita divina; avevano rinnegato e rigettato l’Unto del Signore, l’avevano condotto fuori della città e l’avevano confitto in croce. Allora... cadde il patto tra il Signore e il suo popolo”.

In secondo luogo dobbiamo “distinguere tra le Scritture dall’Antico Testamento e gli scritti talmudici del giudaismo posteriore[3] [l’Antico Testamento è buono ma imperfetto ed è perfezionato dal Nuovo Testamento; mentre il Talmùd è cattivo e essenzialmente anticristiano e antimosaico, nda]. In terzo luogo dobbiamo fare una distinzione anche nell’ Antico Testamento tra ciò che ebbe un valore transitorio e ciò che doveva avere un valore eterno[4].

 

Il giudaismo odierno non è il giudaismo precristiano

Il porporato tedesco ricorda che i cristiani non mettono l’Antico Testamento e il Nuovo Testamento sullo stesso piano: il Nuovo Testamento deve essere messo al posto d’onore tuttavia bisogna tener ben fermo che anche l’Antico Testamento è ispirato da Dio. “Ma il Cristianesimo, per aver ricevuto le Antiche scritture non è affatto diventato una religione giudaica, poiché questi libri non sono stati composti da giudei, bensì sono stati ispirati dallo Spirito di Dio e perciò sono parola di Dio... L’alienazione dei giudei di oggi non deve essere estesa ai libri del giudaismo precristiano[5]

Inoltre con Cristo non conta più la parentela di sangue ma quella della fede; quindi non importa se Cristo è etnicamente giudeo. È importante sapere se Cristo è spiritualmente ‘cristiano’ e se noi siam diventati membra di Cristo mediante il battesimo e la fede vivificata dalla carità.  S. Paolo  scrive: “ In Cristo Gesù non ha alcun valore né il giudaismo in sé, né il non giudaismo, bensì soltanto la nuova creatura” (Gal., VI, 15).

 

Obiezioni contro l’Antico Testamento

Ieri e oggi c’è chi obietta contro i valori morali dell’Antico Testamento. Per esempio, Giacobbe sarebbe un soppiantatore della legittima eredità di Esaù; ma la S. Scrittura racconta l’accaduto senza affermare che quella di Giacobbe fu un’azione onesta. Inoltre – continua Faulhaber – “se noi difendiamo l’Antico Testamento dall’accusa di essere del tutto privo di valore morale, non pretendiamo tuttavia di dipingere a colori troppo chiari il quadro morale del giudaismo precristiano. In esso, come in tutte le religioni e le razze, la vita pratica restò molto più in basso dell’ideale rappresentato dai precetti morali. A fianco di molte luci ci furono molte ombre; a fianco della verità molta menzogna; a fianco della sapienza molta stoltezza; a fianco della fede molta miscredenza; a fianco di alti valori morali molte cose di minor pregio[6].

Una delle principali obiezioni è che la morale mosaica è una morale da mercenari. È vero, risponde il cardinale, le persone pie dell’Antico Testamento si aspettavano come mercede della loro pietà anche beni terreni, per esempio che i loro granai fossero colmi di frumento. Certo, è più perfetto battere la strada delle virtù spinti da puro amore verso Dio e verso il bene, senza speranza di ricompense temporali, ma a tale altezza si sono elevati solamente i Santi.

 Ora coloro che criticano le promesse dell’Antico Testamento sono veramente puri da ogni desiderio di ricompensa? Un grande sistema morale che sia stato ideato per tutti gli uomini, deve valorizzare a fianco ai motivi più perfetti anche quelli meno perfetti per le anime meno elevate.

E il cardinale continua: “C’è poi un’ombra che grava su alcuni racconti e testi dei libri dell’Antico Testamento, i quali sono moralmente sconvenienti. Onan diede il nome al peccato di onanismo... Thamar era una donna pubblica. Cam fu uno spudorato... Le Sacre Scritture hanno narrato queste cose purtroppo umane nella lingua del loro tempo, nella lingua di un popolo di pastori che era in continuo contatto con la natura; ma con ciò esse non hanno approvato quelle spudoratezze, né hanno chiamato morale l’ immoralità. È piuttosto il contrario. Esse infatti narrano che il castigo segue passo passo il delitto... Ma sinché il Signore sceglierà degli uomini... sempre si ritroverà ciò che purtroppo è umano. Nessuno sarà tanto fariseo da affermare che ogni vizio è scomparso di mezzo ai popoli della Nuova Alleanza...”[7]. Quindi il cardinale conclude: “Finiamola con le ombre dell’Antico Testamento, finiamola con tutti coloro che furono o un Cam, o un Onan, o una Thamar!... Finiamola col fariseismo... che nel proprio popolo non trova altro che luci e nelle altre razze altro che ombre![8].

Occorre tuttavia ammettere che non bisogna mettere la Bibbia intera in mano alla gioventù o a persone di scarsa istruzione cristiana. Inoltre la Bibbia va sempre letta con note che spieghino il significato dei versetti, secondo l’interpretazione data loro dai Padri della Chiesa, che sono l’eco della Tradizione divino/apostolica, e che soli – quando interpretano unanimemente, in senso morale e non matematico o assoluto, un versetto o un libro della Scrittura – possono darcene infallibilmente il significato autentico, essendo il canale attraverso il quale l’insegnamento orale di Gesù e degli Apostoli è arrivato sino a noi di generazione in generazione.

 

I valori eterni dell’Antico Testamento

“È un dato di fatto... che in nessun altro popolo dell’antichità precristiana quanto nell’antico popolo biblico si ritrova una schiera così numerosa di uomini spiritualmente sublimi. In nessun altro popolo si ritrova una serie di scritture, in cui così chiaramente, così distintamente, così coerentemente siano esposte le verità fondamentali della vita religiosa, come nel Pentateuco mosaico, nei libri di Samuele e dei Re, nei libri delle Cronache, nel libro di Giobbe, nei Salmi, nei libri Sapienziali, nei libri dei Profeti e dei Maccabei. Oggi, poiché la storia  e gli scritti degli altri popoli dell’epoca precristiana sono già esplorati, la storia delle religioni a confronti fatti può rivolgere al popolo del Giordano una testimonianza di questo genere: Tu li hai superati tutti, grazie al tuo livello religioso”[9].

Il giudaismo pre-cristiano, però, non ha prodotto da sé questi valori, bensì per grazia speciale di Dio. E se qualcuno domandasse perché Dio ha scelto proprio il popolo ebraico “di dura cervice”, gli risponderemo con S. Agostino: “Si hunc trahat et illum non trahat, noli velle scrutare si non vis errare/perché scelga uno e non un altro, se non vuoi sbagliare non voler scrutare”: è il mistero della predestinazione, dei singoli e dei popoli, che sorpassa ogni intendimento umano restando un segreto della grazia elettiva di Dio.

 

I VALORI SOCIALI

  • I poveri nella Bibbia

“Quando tu mieterai il campo, non mieterai fino all’orlo del campo, né spigolerai le spighe rimaste. Anche nella tua vigna tu non racimolerai i grappoli e gli acini rimasti. Lascerai che ciò sia raccolto dai poveri e dai forestieri” (Deut., XXIV, 19-22).

Il possidente, nell’Antica Alleanza, non doveva essere avaro né cupido, non doveva raccogliere le ultime spighe del campo e gli ultimi acini della vigna, ma doveva lasciarle come spigolatura per i poveri.

 

  • Il diritto privato nella Bibbia

Il comandamento “non rubare” riconosce implicitamente il diritto alla proprietà privata.

La personalità spirituale e morale conserva la sua libertà anche di fronte alle masse: l’individuo – per la Bibbia – doveva respingere la dittatura delle masse. L’Esodo dice: “Non correre dietro le turbe, e non indirizzarti secondo il sentimento della maggioranza” (Ex., II, 3).

La personalità morale conservava la sua libertà pure di fronte allo Stato. Per l’Antico Testamento lo Stato non è un assoluto: il diritto statale primeggia politicamente su quello individuale, ma l’individuo, spiritualmente considerato, non doveva essere privato del suo valore di persona umana ordinata al fine ultimo soprannaturale, del suo diritto e delle sue proprietà affinché lo Stato potesse raggiungere i suoi fini. L’individuo, socialmente, si doveva coordinare e subordinare allo Stato, ma, spiritualmente, non doveva essere schiacciato sino a diventare una goccia che si perde nell’oceano.

 

  • Il diritto dell’operaio nella Bibbia

“La mercede dell’operaio non rimanga nella tua mano sino al mattino seguente” (Pentateuco). “Guai a colui che fa lavorare senza mercede, e che non paga la mercede” (Ger., XXII, 13).

 In un tempo in cui dappertutto il lavoro era marchiato dalla schiavitù più disumana la Bibbia riconosceva già la dignità morale del lavoro.

 

  • L’amministrazione della giustizia nella Bibbia

“Non commettere iniquità, e non prendere partito contro il povero e non preferire la persona del potente” (Ez., XXII, 12). “La bilancia falsa è un’abominazione davanti al Signore” (Prov., XI, 1). “Maledetto colui che sposta le pietre di confine col suo vicino” (Deut., XXVII, 17).

 

  • L’ordinamento economico nella Bibbia

Tre leggi sono basilari:

1ª) la legge contro il latifondo ottenuto per usura. Isaia malediceva gli accaparratori di proprietà che sfruttavano l’altrui disagio economico e compravano all’ingrosso le piccole proprietà dei circostanti che versavano in difficoltà ed erano costretti moralmente a svendere il proprio (cfr. Is., V, 8 ss.);

2ª) la legge contro l’eccessivo indebitamento delle famiglie del Paese. Ogni settimo anno i debiti erano prescritti, i prestiti si spegnevano, gli schiavi riacquistavano la libertà...

3ª) la legge contro l’usura; occorre ammettere che l’usura, però, era proibita solo tra ebrei, mentre un ebreo poteva prestare “a strozzo” a un non ebreo e questa è una delle imperfezioni dell’Antico Testamento che sarà perfezionata dal Vangelo.

 

  • La religione come sostegno dell’ordine sociale

I valori dell’ordinamento sociale sono nella Bibbia anche di ordine religioso: sono “prescrizioni del Signore”. La comune fede in Dio serve da livellamento sociale tra ricco e povero: “il ricco e il povero s’ incontrano, il Signore li ha creati entrambi” (Prov., XXII, 2).

“Voi dovete aver rispetto per i diritti dell’operaio, perché lo stesso Signore ha creato il datore di lavoro e chi lavora” (Giob., XXXI, 13-15).

 

La pietra angolare tra giudaismo e Cristianesimo

Gesù Cristo è la pietra che unisce, come “pietra d’angolo”, il mosaismo e il Cristianesimo. Ma, nonostante tutte le grazie che Dio aveva concesso a Israele, esso non volle riconoscere l’ora della sua visita. Gesù fu per Israele “segno di contraddizione”, e solo un piccolo gruppo di Apostoli e di altri discepoli lo seguì, mentre la maggior parte del popolo si allontanò dal Messia. Gesù prese commiato, seppur con dolore, dall’Antico Patto, infranto da Israele, e ne instituì uno Nuovo ed Eterno con i pagani e la “reliquia” d’Israele rimastagli fedele.

 

Il Cristianesimo non è mondialismo

Cristo ha assegnato alla Chiesa il ruolo di ammaestrare tutti i popoli, non esiste alcun figlio preferito né alcun figlio trascurato nella Nuova Alleanza! Certo, unità di fede e di morale non significa appiattimento e livellamento di cultura o di particolarità nazionali: tedeschi, francesi, italiani sono uno quanto alla fede e alla morale, ma hanno una cultura, una storia, una tradizione e una individualità nazionale, psicologica ed etnica ben distinta. Il cristianesimo non è mondialismo o globalizzazione, vuole porgere al mondo una sola fede, ma non una sola cultura. Il mondialismo invece ci toglie la fede e livella e appiattisce le diverse culture in un’unica barbarie o in-civiltà o sotto-cultura.

Perciò la Chiesa ha un carattere soprannazionale o universale e non deve infeudarsi a nessun popolo e a nessun regime politico.

 

Cristianesimo e Germanesimo

A questo punto il cardinale si pone una serie di domande sul Germanesimo. Riportiamo solo i tratti più salienti.

Di una vera cultura presso i germani dei tempi precristiani, secondo Tacito (La Germania 98 d. C.), non si può parlare. I popoli dell’Eufrate e del Nilo avevano raggiunto, due-tremila anni prima, un  più alto grado di cultura.

“I germani sono diventati un popolo grazie al Cristianesimo. Tacito enumera circa cinquanta popolazioni germaniche, che scendevano in campo le une contro le altre in continue guerre fratricide. Ora, è una realtà storica che queste molteplici popolazioni si raccolsero in sedi fisse, fondendosi in un unico popolo, soltanto con la loro conversione al Cristianesimo... Grazie al Cristianesimo e al monachesimo benedettino i germani divennero un popolo di cultura e la Cristianità ottenne sangue forte e sano dall’ingresso dei barbari germanici nell’Impero romano, che oramai era invecchiato e veniva soppiantato da un nuovo impero romano spirituale: la Chiesa, la quale ha saputo educare i germani alla civiltà romana e alla fede cristiana. I monaci di S. Benedetto insegnarono ai nostri antenati la lavorazione dei campi, l’industria, e le belle arti al servizio della liturgia”.

“Non c’è nulla da obiettare contro gli onesti doveri di razza... contro la premura di conservare le proprietà caratteristiche di un popolo. Dobbiamo tuttavia, dal punto di vista ecclesiastico, porre tre condizioni. In primo luogo, l’amore per la propria razza non deve giammai diventare... odio per gli altri popoli. In secondo luogo, l’individuo non deve ritenersi esonerato dal dovere di curare la propria anima (...).

In terzo luogo, i doveri di razza non devono prender posizione contro il Cristianesimo (…) non ci dovremo giammai dimenticare che noi non siamo stati redenti dal sangue tedesco: siamo, invece, stati redenti dal Sangue prezioso del Crocifisso...”[10].

 

RIFLESSIONI CONCLUSIVE

Il vero Israele

La Chiesa studia il problema ebraico non alla luce della biologia ma della fede, contenuta nella Bibbia (Antico e Nuovo Testamento) e nella Tradizione divino/apostolica.

Dio ha creato Israele per Sé, affinché preparasse la via al Messia e lo facesse conoscere al mondo intero; la grandezza del popolo ebraico si fondava sulla promessa che Dio ha fatto ad Abramo di farlo diventare capostipite di una “razza” (Gen., XII) dalla quale sarebbe nato il Messia. Abramo ha creduto e i suoi discendenti, per essere benedetti da Dio, debbono credere nella promessa messianica (realizzatasi con l’Avvento di Gesù Cristo).

Non basta dunque essere discendenti di Abramo solo secondo la carne (“olim judaeus, semper judaeus/una volta ebreo sempre ebreo”, nel bene o nel male), ma occorre avere la fede di Abramo in Gesù Cristo. I “veri Israeliti” – per la Chiesa – son coloro che hanno la fede del Patriarca mentre coloro che discendono solo carnalmente da Abramo senza avere la sua fede non sono “veri Israeliti”.

«Ma come allora – scrive S. Tommaso – colui [Ismaele] che era nato secondo la carne perseguitava quello che era nato secondo lo spirito [Isacco], così pure adesso [il falso Israele o Sinagoga talmudica perseguita il vero Israele o Chiesa di Cristo]. Sin dall’inizio della Chiesa primitiva i giudei hanno perseguitato i cristiani, come appare dagli Atti degli Apostoli e lo farebbero ancora ora, se lo potessero»[11].

La vocazione del vero Israele spirituale è irrevocabile (Rom., XI, 9) in quanto è unito spiritualmente a Gesù Salvatore del mondo, ma il falso Israele carnale, che si ostina ancor oggi a rifiutare Gesù, “è stato reciso dall’ulivo fruttifero, per la sua incredulità” (Rom., XI, 20). Perciò la vocazione, da parte di Dio, permane, ma da parte dell’uomo è stata rifiutata.

 

Una concezione razzista della storia

La radice dell’accecamento ebraico consiste nello scambiare la razza per il Salvatore: la razza ha il primato su Cristo. Il giudaismo, avendo questa concezione razzista della storia, è nemico di tutti i popoli: «[I Giudei] hanno ucciso il Signore Gesù ed i Profeti, ci hanno perseguitato, non piacciono a Dio, sono nemici di tutti gli uomini, impedendoci di predicare ai pagani per la loro salvezza» (S. Paolo, 1ª Tess., II, 15- 16).

«Quando la romanità divenne la cristianità – scrive monsignor Umberto Benigni – l’odio della Sinagoga raddoppiò contro di essa per il motivo religioso, giacché lo spirito talmudico odia più il Cristianesimo che non il paganesimo. Questo rappresenta per la Sinagoga un gregge da domare, da spogliare; quello è l’insieme dei seguaci di Gesù Cristo ai quali va l’eredità dell’odio specialissimo del Sinedrio contro il Crocifisso»[12].

 

La radice dell’incredulità di ieri e di oggi

Ma qual è la ragione di questa scelta erronea, che fa ripudiare al giudaismo post-cristiano e al neopaganesimo l’Antico Testamento come cattivo in sé e reputare la razza come “divina”? La vera ragione va ricercata nelle opere cattive, nella vita, nell’atto della volontà.

Le opere cattive non sono soltanto l’immoralità grossolana come l’attaccamento ai piaceri dei sensi, ma anche l’immoralità sottile: l’ esaltazione dell’Io, la ricerca della gloria umana e dell’onore del mondo. Ebbene colui che fa il male fugge la luce interna della verità che lo rimprovera, come il ladro fugge la luce del sole e cerca le tenebre per non essere visto. Egli non s’accosterà ad una dottrina che condanna la sua vita (anche quando l’abbia conosciuta come vera).

Gli increduli amano quindi le tenebre non per se stesse, ma perché nascondono la loro condotta esteriore, ed odiano la luce, perché smaschererebbe la loro perversità interna!

In breve le cattive disposizioni della volontà sono la causa ultima che impedisce agli uomini di riconoscere Dio. L’ultima ragione dell’ incredulità non va ricercata nell’ intelligenza, ma nel non voler credere a causa di una cattiva volontà moralmente indisposta.

Si può perciò concludere che la volontà e la vita cattiva sono la causa di ogni incredulità. Come il diavolo è un Angelo decaduto per cattiva volontà (ha preferito affermare se stesso, pur dannandosi, piuttosto che sottomettersi alla Volontà di Dio), così gli increduli preferiscono rifiutare il Salvatore e la salvezza, per poter soddisfare la propria perversa volontà di dominio terreno.

Dominicus

 

[1] G. Ricciotti, introduzione a Michael von Faulhaber, Giudaismo, Cristianesimo, Germanismo, Brescia, Morcelliana, 1934, p. 15 e 18.

[2] G. Ricciotti, intr. a Michael von Faualhber, cit., pp. 7-9.

[3] Le prediche del cardinale, raccolte nel libro citato sopra, si occupano soltanto dell’Israele mosaico vetero/testamentario non dell’Israele post-cristiano, contemporaneo e talmudico.

[4] M. von  Faulhaber, cit., pp. 25-31.

[5] Ibidem, pp. 41-42.

[6] Ibidem, p. 70.

[7] Ibidem, pp. 72-73.

[8] Ibidem, pp. 81-82.

[9] Ibidem, pp. 33-34.

[10] M. Von Faulhaber, cit., pp. 152-172.

[11] S. Tommaso, Super epistulam ad Galatas lectura, lectio VII, n.° 249, 271-272, Marietti, Torino, 1953, pag. 620 ss.

[12] U. Benigni, Storia sociale della Chiesa, Milano, Vallardi, 1922, vol. III, pag. 24.