Mons. Antonio de Castro Mayer carta pastorale su  

Il Santo sacrificio della messa

Secondo gli insegnamenti immortali del Concilio di Trento

Amati figli e zelanti collaboratori, 

Sintesi che riassume la missione della Chiesa e fonte da cui promana la sua energia santificatrice è il santo Sacrificio della Messa. In esso la Chiesa adora la maestà insondabile di Dio. In esso presenta alla bontà divina il rendimento di grazie per i benefici della sua misericordia; in esso soddisfa la giustizia di Dio irritata per i peccati del mondo, e lo rende propizio al genere umano.

Dalla santa Messa, infine, derivano le grazie che facilitano agli uomini la pratica della virtù e la santificazione dello stato di vita che hanno scelto, o nel quale la divina Provvidenza li ha posti.

Si comprende la ragione per cui Pio XII ha definito il Sacrificio della Messa centro della religione cristiana[1] e per cui esso è chiamato in maniera speciale il Mistero della Fede, «Mysterium Fidei». Perciò vedete, amati figli, come sia di somma importanza avere una concezione esatta della santa Messa. Diversamente, non potreste regolarvi in maniera retta nel culto divino e disporre tutta la vostra esistenza «in lode della gloria» del Padre celeste  come conviene a persone santificate dal Battesimo.

Quindi, compiamo un dovere pastorale nel ravvivare con voi, amati figli, la nostra fede nell’augusto Mistero dell’altare, ricordando, sinteticamente, la dottrina tradizionale al riguardo. Tanto più urge la responsabilità del nostro ufficio, in quanto l’eresia protestante, che raggira i nostri amati figli, più o meno, da ogni parte, ha svuotato la concezione della Messa, e, attraverso una tale deformazione, ha strappato dal seno della Chiesa molte nazioni dell’Europa, e, ancora oggi, tenta di sviare i cattolici dal cammino della salvezza. D’altronde, amati figli, è cosa abituale per l’ eresia insinuarsi in mezzo ai fedeli, attraverso adulterazioni della santa Messa.

Il Sacrificio della Croce

Per formarsi un’idea esatta della santa Messa è indispensabile una nozione del Sacrificio della Croce.

Come sapete, amati figli, Gesù Cristo, Figlio eterno del Padre celeste, venne al mondo, assumendo una natura umana formata nel seno purissimo di Maria Santissima, per riparare il disordine causato dal peccato dei nostri progenitori, per soddisfare la giustizia divina, irritata per la disobbedienza dell’uomo, e per ristabilire l’amicizia fra il Cielo e la terra. Una tale riparazione, soddisfazione e riconciliazione, Gesù Cristo la realizzò con il Sacrificio della Croce, nel quale si immolò a se medesimo, purificando le nostre anime con il suo sangue innocente «affinché potessimo servire al Dio vivo»[2].

Fondazione della Chiesa e sua natura

Tuttavia, Gesù non concluse la sua opera con l’ascensione al Cielo. Egli volle perpetuarla, e per continuare l’insegnamento delle verità della salvezza, e per applicare i frutti della sua oblazione, che realizzò pienamente e perfettamente la redenzione di tutto il genere umano, istituì la sua Chiesa. Nello stesso momento in cui si offriva per noi sulla croce, dal suo sacro costato, aperto dalla lancia formava la Chiesa, della quale tutti gli uomini devono fare parte, per conseguire la beatitudine eterna. La Chiesa è il Corpo Mistico di Cristo, nel quale scorre la linfa divina che procede dal capo di questo corpo, che è Gesù Cristo stesso

La Chiesa, tuttavia, non è soltanto una realtà soprannaturale, spirituale, invisibile, un mistero. Essa è anche una società di uomini uniti da vincoli esterni, così da costituire un tutto organico, come ogni società umana. Per la sua condizione di società visibile, la Chiesa è il segno innalzato in mezzo alle nazioni[3], a indicare a tutti i popoli il cammino, attraverso il quale gli uomini vengono ricondotti al loro fine ultimo nella beatitudine di Dio. La sua Chiesa, affinché compia fedelmente la sua missione, Gesù Cristo la dotò di prerogative singolari. La rese infallibile perché non cada in errore nell’insegnamento delle verità della fede e dei precetti della morale rivelati. La costituì con una gerarchia consacrata che la governi e alla quale conferì poteri divini perché sia capace di giustificare le anime di fronte a Dio, santificandole interiormente.

Il sacrificio della Messa e sua essenza

La Chiesa di Cristo, tuttavia, non sarebbe perfetta, se fosse incapace di offrire a Dio un sacrificio condegno, corrispondente alla sua natura di Corpo Mistico del Figlio eterno del Padre celeste. Una deficienza tanto grande sarebbe inconcepibile nella Sposa diletta dell’unigenito di Dio. E in realtà non esiste. Infatti, come insegna il Concilio di Trento[4], Gesù Cristo ha istituito per la sua Chiesa un sacrificio visibile, come conviene alla natura degli uomini. Lo ha fatto alla vigilia della sua Passione, nella quale il suo Sangue innocente ci avrebbe riscattati dalla schiavitù del demonio. Difatti, nell’ ultima Cena, si offrì come vittima all’eterno Padre sotto le specie del pane e del vino e ordinò ai suoi Apostoli - che in quella circostanza costituì sacerdoti - e ai loro successori di rinnovare quello stesso sacrificio fino alle fine dei secoli. È il Sacrificio della Messa, che ripete il Sacrificio della Cena, e compie la profezia di Malachia, che annunciava un’Ostia pura, quotidianamente offerta all’Altissimo, dall’uno all’altro estremo della terra[5].

Il Sacrificio della Messa consiste, dunque, nell’oblazione del Corpo e del Sangue di Gesù Cristo, presenti sull’altare sotto le specie o apparenze del pane e del vino. L’essenza di questo sacrificio consiste nella consacrazione delle due specie, cioè del pane e del vino, separatamente; infatti, in questo modo la consacrazione rappresenta e misticamente ripete la morte di Gesù Cristo attuatasi nel Sacrificio della Croce. Da ciò si vede che il Sacrificio della Messa ha una relazione essenziale con il Sacrificio della Croce. Esso rappresenta e rinnova il Sacrificio della Croce, di cui applica agli uomini la virtù salutare. Senza il Sacrificio della Croce la Messa sarebbe incomprensibile. Rappresenterebbe qualche cosa di inesistente.

Pertanto dalla sua relazione con il Sacrificio del Calvario deriva la sua eccellenza e la sua efficacia. Di fatto, sostanzialmente, non vi è distinzione tra un sacrificio e l’altro. La vittima è la stessa: Gesù Cristo nella sua adorabile umanità. Anche il sacerdote che compie l’offerta è il medesimo: Gesù Cristo; sulla croce in persona; ancora lui nella Messa, nella quale si serve però del ministero del sacerdote gerarchico, che gli presta le labbra e le mani per rinnovare l’oblazione della Croce. La differenza consiste nel modo dell’ oblazione, con spargimento di sangue sulla Croce e in modo incruento nella Messa.

Eccellenza del Sacrificio della Messa

Siccome tutto il valore del sacrificio dipende dalla dignità della vittima e del sacerdote che lo offre, non vi è alcun dubbio che quello della Messa è tanto infinito quanto lo fu l’oblazione della Croce. E identici sono pure gli scopi perseguiti dall’ uno e dall’altro sacrificio. In primo luogo, la glorificazione del Padre celeste, corrispondente alla sua maestà infinita. In secondo luogo, il rendimento di grazie, come soltanto il Figlio di Dio può effettuarlo nei riguardi dell’Altissimo. In terzo luogo, l’espiazione, la propiziazione e la riconciliazione: nella Messa, come sulla Croce, Gesù si offre per la redenzione nostra e di tutto il mondo, come pure «per quelli che riposano in Cristo e ci hanno preceduto nel segno della Fede e dormono il sonno della pace». Infine l’impetrazione: come sulla Croce, così pure nella Messa Gesù viene esaudito nelle sue preghiere, «affinché siamo riempiti di ogni grazia e benedizione»[6].

La Comunione, parte integrante del Sacrificio

Come in ogni sacrificio, così in quello eucaristico, l’ostia è ordinata ad essere consumata da parte del sacerdote e dei fedeli, atto che simboleggia l’amicizia fra Dio e gli uomini, amicizia e unione che nel Sacrificio dell’Altare non è soltanto un simbolo, ma una realtà. Di fatto, per mezzo della Comunione, si verifica una unione reale fra Dio e l’uomo, poiché nella Comunione, Gesù, l’Ostia dei nostri altari, diventa alimento delle nostre anime.

L’importanza della Comunione nella Messa è tanto grande che molti l’hanno ritenuta essenziale al Sacrificio eucaristico. Tuttavia il modo di esprimersi del Concilio di Trento[7]  lascia intendere che la Comunione appartiene all’integrità, non all’ essenza del Sacrificio dell’Altare. Integrità che si ottiene con la Comunione del celebrante, ma che non esige quella dei fedeli, benché questa sia molto raccomandabile. Pio XII, nella Mediator Dei, è più esplicito: «Si allontanano dunque dal cammino della verità coloro i quali [...] asseriscono, capziosamente, che non si tratta soltanto di un Sacrificio, ma di un Sacrificio e di un convito di fraterna comunanza [...]» E un poco più avanti: «[...] il Sacrificio Eucaristico consiste essenzialmente nella immolazione incruenta della vittima divina, immolazione che è misticamente manifestata dalla separazione delle sacre specie e dalla loro oblazione fatta all’Eterno Padre. La santa Comunione appartiene alla integrità del sacrificio e alla partecipazione ad esso per mezzo della comunione dell’Augusto Sacramento, assolutamente necessaria al ministro sacrificatore, mentre ai fedeli è soltanto da raccomandarsi vivamente».

Dunque, le Messe celebrate privatamente, senza la partecipazione dei fedeli, non perdono il carattere di culto pubblico e sociale, poiché in esse il sacerdote agisce come rappresentante di Gesù Cristo, Capo del Corpo Mistico, che si offre all’Eterno Padre a nome di tutta la Chiesa.

Le eresie che sfigurano la Messa

Passiamo adesso a considerare l’aspetto sociale del Sacrificio della Messa. Prima, però, è necessario che mettiamo in guardia i nostri amati figli contro gli errori che hanno condotto i protestanti all’eresia e che oggi, insidiosamente, si infiltrano negli ambienti cattolici, con grave pericolo per le anime. Infatti, come insegna Pio XII, la purezza della fede e della morale devono brillare come caratteristiche del culto liturgico, dal momento che la fede deve determinare la norma della preghiera, «lex credendi legem statuat supplicandi».

Perciò sbagliano quanti considerano la Messa una semplice assemblea di fedeli per il culto divino, in cui si fa una semplice commemorazione della Passione e Morte di Gesù Cristo, ossia del Sacrificio una volta compiuto sul Calvario. Ugualmente cadono in eresia quanti considerano la Messa come sacrificio di lode e di rendimento di grazie, ma a essa negano qualsiasi carattere propiziatorio in favore degli uomini; o quanti fingono di ignorare la relazione essenziale che lega la Messa alla Croce, e pretendono che quella si riduca a essere un’offesa nei confronti di questa. Si allontanano ugualmente dalla dottrina cattolica quanti considerano la Messa principalmente un banchetto del Corpo di Cristo.

Tutte queste opinioni eretiche illanguidiscono la verità rivelata, intiepidiscono i cuori, e ostacolano la fioritura di una carità ardente, la cui viva fiamma viene alimentata dalla rinnovazione del gesto ineffabile d’amore di Gesù Cristo, che si immola per noi, dalla sua presenza reale sull’altare, e dal sereno possesso della verità.

La Messa Sacrificio sociale

Nell’intento di intensificare ancora di più la carità che promana dal Sacrificio eucaristico consideriamo il suo aspetto sociale. 

In verità, esiste una differenza tra il Sacrificio della Croce, il Sacrificio della Cena, e il Sacrificio della Messa. Sia nella Cena che sulla Croce Gesù si offrì al Padre celeste, come vittima espiatoria, da solo. Non aveva ancora fondato la sua Chiesa. Anzi, precisamente il Sacrificio del Calvario, una volta consumato, diede origine alla Chiesa. Come insegna il Magistero gerarchico «la Chiesa una, immacolata, vergine e santa Sposa di Cristo» nacque dal sacro Costato di Gesù morto sulla Croce[8].

Allora soltanto si formò il Corpo Mistico di Cristo, realtà soprannaturale e società visibile, ma la cui struttura, determinata dal suo Fondatore, si sarebbe fissata nei primi tempi del cristianesimo.

Formato il suo Corpo Mistico, Gesù non lo abbandona mai; è sempre il Capo della Chiesa. Così, nella Messa, non è più lui solo che si offre al Padre celeste, ma si offre la Chiesa tutta, il Capo, Gesù Cristo, e il Corpo, la sacra Gerarchia e il popolo fedele. Dunque la Messa è il Sacrificio di Gesù come Capo della Chiesa. È perciò il Sacrificio di tutta la Chiesa.

Questa verità deve essere bene intesa per non cadere nell’eresia protestante, che ancora oggi si diffonde svisando il culto autentico e infettando il culto cristiano.

Il Sacerdozio gerarchico e la Messa

Quando abbiamo detto che la Messa è il sacrificio di tutta la Chiesa, abbiamo affermato che tutti i fedeli vi devono prendere parte; non vogliamo con ciò affermare che il Sacrificio della Messa sia opera di tutti i membri della Chiesa. Dal momento che nella società soprannaturale creata da Gesù Cristo solamente i sacerdoti sono i sacrificatori, essi solamente possono compiere il Sacrificio della Messa. «Ai soli Apostoli - dice Pio XII - ed a coloro che, dopo di essi, hanno ricevuto dai loro successori l’imposizione delle mani, è conferita la potestà sacerdotale, in virtù della quale come rappresentano davanti al popolo loro affidato la persona di Gesù Cristo, così rappresentano il popolo davanti a Dio»[9]. E in un altro passo: «l’ immolazione incruenta, per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull’ altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo, e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli»[10].

San Tommaso d’Aquino illumina questo punto con una delle sue distinzioni magistrali. All’obiezione secondo cui la Messa di un sacerdote eretico, scismatico o scomunicato è valida, nonostante sia celebrata da una persona che si trova fuori della Chiesa e per questo stesso fatto incapace di agire in nome di essa, il Dottore Angelico risponde che il sacerdote, nella Messa, parla in nome della Chiesa, nelle orazioni; ma nella consacrazione del Sacramento, parla in nome di Cristo, la cui vicarìa detiene in virtù del sacramento dell’ordine. Ora, continua il santo, il sacerdote non perde il carattere sacramentale neppure quando apostata dalla vera fede. Il suo sacrificio è valido, ma le sue orazioni non hanno l’efficacia che darebbe loro il Corpo Mistico di Cristo, qualora egli potesse pregare in nome della Chiesa[11]. Nonostante ciò, anche nell’atto sublime e singolare dell’oblazione sacrificale il popolo ha la sua partecipazione con la sua approvazione, come dice Innocenzo III: «ciò che in particolare si compie per ministero dei sacerdoti, si compie universalmente per VOTO dei fedeli»[12]. Di conseguenza, il fatto di partecipare al Sacrificio eucaristico non conferisce ai fedeli nessun potere sacerdotale.

Pio XII dichiara che è assolutamente necessario spiegare chiaramente questo al popolo, perché ancora adesso serpeggiano in mezzo ai fedeli tendenze ispirate all’eresia dei protestanti, i quali, essendo ugualitari, rifiutano ogni gerarchia nella Chiesa ed estendono a tutto il popolo il privilegio del sacerdozio. «Vi sono difatti, - dice il Papa - ai nostri giorni, alcuni che, avvicinandosi ad errori già condannati (cfr. Concilio di Trento, Sess. XXIII, c. 4), insegnano che nel Nuovo Testamento si conosce soltanto un sacerdozio che spetta a tutti i battezzati, e che il precetto dato da Gesù agli Apostoli nell’Ultima Cena di fare ciò che Egli aveva fatto si riferisce direttamente a tutta la Chiesa dei cristiani e, soltanto in seguito, è sottentrato il sacerdozio gerarchico»[13].

Ci troviamo, amati figli, di fronte a un errore pernicioso, che, una volta divenuto trionfante, raderebbe al suolo tutto l’edificio della Chiesa cattolica. Per questo, conviene che insistiamo su tale punto.

Il Sacerdozio comune dei fedeli

Prima di tutto spieghiamo secondo la Tradizione l’espressione di San Pietro[14], che definisce il popolo cristiano «regale sacerdotium». Lo stesso apostolo mostra che si tratta del sacerdozio che implica, da parte dei fedeli, il dovere di presentare a Dio vittime spirituali, e in primo luogo se stessi, trasformati in vittime attraverso l’imitazione di Gesù Cristo, la rinuncia all’amor proprio, la mortificazione, la pratica della virtù, ecc..

San Tommaso d’Aquino dichiara che il carattere battesimale conferisce a colui che viene battezzato un’assimilazione al sacerdozio di Gesù Cristo. Questo sacerdozio comune a tutti i membri della Chiesa dà loro la capacità di ricevere i benefici delle grazie con cui Gesù arricchì la sua Chiesa, specialmente i sacramenti, che i non battezzati non possono ricevere. In questo senso essi acquistano la possibilità di ricevere il beneficio dei frutti del Sacrificio eucaristico, che è il Sacrificio della Chiesa, ma hanno anche la possibilità di partecipare attivamente a questo medesimo sacrificio, dal momento che sono membri della Chiesa e pertanto fanno parte del Corpo Mistico di Cristo, in nome del quale Gesù offre la sua oblazione sacrificale nella santa Messa. Prendono così parte al Sacrificio dell’ Altare, il che è vietato a quanti si trovano al di fuori della società ecclesiastica. Così si pronuncia Pio XII su questa questione: «col lavacro del Battesimo, difatti, i cristiani diventano, a titolo comune, membra del Mistico Corpo di Cristo Sacerdote, e per mezzo del “carattere” che si imprime nella loro anima, sono deputati al culto divino, partecipando, così, convenientemente al loro stato, al sacerdozio di Cristo»[15]. Quale sia tale modo conveniente risulterà più chiaro da quello che si dirà in seguito.

Il Sacerdote mediatore fra Dio e gli uomini

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[1] Cfr. PIO XII, Enciclica Mediator Dei, del 20-11-1947, in AAS, vol. XXXIX, p. 547.

 

[2] Ebr. 9, 14; PIO XII, doc. cit., pp. 521-522.

[3] Cfr. Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3.

 

[4] Cfr. Concilio di Trento, sess. XXII.

[5]Cfr. Mal. 1, 11.

[6] PIO XII, doc. cit., p. 550.

[7] Cfr. Concilio di Trento, sess. XXII, c. 6.

[8] Cfr. Concilio Viennese, Costituzione Fidei Catholicae (DS 901).

[9] PIO XII, doc. cit., p. 538.

[10] Ibid., p. 555.

[11]Cfr. SAN TOMMASO D’ AQUINO, Summa Theologiae, III, q. 82, a. 7, ad 3.

[12] INNOCENZO III, De sacro altaris Mysterio, III, 6, cit. in PIO XII, doc. cit., p. 554.

[13] Ibidem.

[14] Cfr. 1 Pt. 2, 9.

[15] PIO XII, doc. cit., p. 555.