LA DOTTRINA SOCIALE DI PIO XII SOSTANZIALMENTE IDENTICA A QUELLA DI PIO IX, PIO X, LEONE XIII E PIO XI

Alcuni si ostinano a sostenere che il magistero e la pastorale sociale di Pio XII sono (al pari di quelli di Leone XIII e di Pio XI) impregnati di liberalismo, democraticismo e filo-modernismo.

 

Cercheremo qui di studiare la dottrina sociale di papa Pacelli per vedere se tale accusa corrisponde alla realtà.

 

La democrazia moderna o il culto del numero

Il 6 aprile del 1951 Pio XII tenne un Discorso ai dirigenti del Movimento Universale per una Confederazione Mondiale, in cui il Papa confuta l’ottimismo democraticista, il quale vede nella democrazia moderna l’unica e la migliore forma di governo. Pio XII espone e confuta i “tre dogmi” della politica antropocentrica moderna.

 

Il popolo non sovrano ma canale

Secondo la tesi erronea del democraticismo moderno il potere viene dal popolo, dal basso e non da Dio o dall’Alto. Invece il potere viene da Dio, Causa prima e fonte di ogni cosa, ed è trasferito dagli elettori all’eletto come l’acqua che attraverso un canale viene dalla fonte (Dio) e non dal canale stesso (popolo) e giunge fino al Governante che lo possiede e non ne ha solo l’uso. Solo se colui che governa diventa un tiranno o governa senza nessun riguardo per il bene comune allora la sanior pars populi può ritirargli de facto il potere che de jure già Dio non gli accorda più poiché esercitato contro Dio e la sua Legge.

Gli uomini e le famiglie per vivere assieme e virtuosamente devono necessariamente avere un Governante, un’Autorità. Perciò la Società civile è divisa in Governanti che devono comandare (far leggi, farle rispettare e castigare chi le vìola) e sudditi che devono obbedire. Il vero Sovrano, però, è Dio e non la volontà popolare, che al massimo può scegliere un Governante al quale il potere deriva remotamente da Dio attraverso il popolo che funge da canale in maniera prossima.

 

Infallibilità del popolo elettore?

Dopo il peccato originale l’uomo è soggetto all’ignoranza e all’errore. Solo Dio e il Magistero della Chiesa, quando quest’ultimo vuol definire e obbligare a credere una verità di Fede o di Morale, sono infallibili il primo per essenza (Dio) e il secondo per partecipazione (Magistero). Il popolo elettore non partecipa all’ infallibilità divina, come invece il Magistero pontificio o universale. Nessuno ha mai promesso l’ infallibilità al popolo, tranne i demagoghi, i quali si sono serviti per i loro interessi delle decisioni fatte prendere dalla massa manovrata da loro stessi, rifugiandosi dietro il paravento dell’infallibilità dell’elettorato popolare.

 

Qualità e non quantità

Pio XII insiste molto sulla distinzione tra “popolo” e “massa”. Il “popolo vive e si muove di vita propria[1], ha una forma, un atto, un essere, una vita sua; invece “la massa è moltitudine amorfa” cioè senza forma o principio di vita, materia passiva, indeterminata, senza atto o perfezione. Il Papa continua: “la massa è di per sé inerte, e non può essere mossa che dal di fuori. Il popolo vive della pienezza di vita degli uomini che lo compongono”. Perciò il popolo è costituito da uomini intelligenti e liberi, che hanno princìpi e convinzioni, sono padroni di se stessi e conoscono i loro obblighi e diritti; mentre la massa è pura potenzialità che viene mossa da qualcuno al di fuori di essa e diretta dove lui vuole, come un carro trascinato dai buoi. Essa è composta da entità sub-umane prive di convinzioni proprie, di princìpi, di una sana morale, senza iniziativa propria; perciò vive di istinti, passioni e sentimenti sregolati senza alcuna subordinazione alla ragione e alla libera volontà. L’uomo che fa parte della massa non è “l’animale razionale” aristotelico, ma “l’animale sensitivo” della post-modernità nichilistica, la quale con lo scoppio del Sessantotto ha reso l’uomo una “pecora matta”, che – come diceva nel 1944 Pio XII – “è un facile trastullo nelle mani di chiunque ne sfrutti gli istinti o le impressioni sensibili”[2].

Il popolo, dunque, non è la maggioranza quantitativa, ma è la parte qualitativamente migliore della società. Il democraticismo moderno, perciò, non ha nulla a che vedere con l’idea aristotelica e tomistica della sana democrazia classica, che è la popolazione di un Paese dotata di forte personalità individuale e sociale.

Il popolo è simile al corpo umano di cui parlava Menenio Agrippa e poi anche San Paolo, nel quale tutti gli organi hanno la loro funzione e importanza, sia quelli inferiori (piedi) sia quelli superiori (cervello), e nessuno di essi può fare a meno degli altri perché tutti sono necessari, anche se vi è una gerarchia, che, però, non impoverisce nessuno, ma nobilita tutti, facendoli partecipi del bene comune. Come i piedi di un uomo portano il suo cuore e il suo cervello, così le classi umili della Società rendono possibile la sussistenza di quelle elevate non per censo, ma per virtù morale e razionale.

Questo apologo ci insegna ad evitare i due errori opposti: il primo per difetto (l’egualitarismo), secondo il quale tutti sono assolutamente eguali, negando ogni diversità o ineguaglianza qualitativa, e l’altro per eccesso (il dis-egualitarismo), che esagera le differenze accidentali e erge delle barriere insormontabili tra gli uomini, non tanto per le qualità intellettuali, morali e spirituali o di buona educazione, ma soprattutto per quelle economico-sociali. Il Libro Sacro dei ‘Proverbi’ ci ricorda che “non vi è persona più crudele di una schiava diventata padrona”. Ora, anche se tutti gli uomini sono eguali quanto alla natura umana, in essi vi sono diversità accidentali, le quali, lungi dal metterli in contrapposizione tra “sinistra” (odio di classe) e “destra” (s-nobismo), li debbono far cooperare caritatevolmente al buon andamento della Società, che come un corpo fisico vivente ha bisogno di organi nobili (cuore e cervello) e meno nobili (piedi e mani). Non esistono classi moralmente basse o vili, l’importante è che ognuno faccia bene il suo dovere di stato nella classe in cui la Provvidenza lo ha posto. Esistono solo uomini moralmente e intellettualmente bassi, vili e stupidi, anche se magari economicamente “alti” o altezzosi.

Pio XII ricorda che, se il popolo non è per se stesso infallibile, la massa quasi sicuramente erra, priva come è di convincimenti, di vera libertà, schiava dell’opinione pubblica e manipolata da burattinai, i quali tirano i fili che reggono i burattini.

 

Il suffragio universale è fonte di diritto e di verità?

Una delle votazioni più celebri della storia umana fu quella che condannò a morte Gesù e liberò Barabba. Oggi ci si può chiedere: il suffragio universale esprime la volontà della massa manovrabile e manovrata o quella del popolo o sanior pars Societatis?

Pio XII stigmatizza il “culto cieco del valore numerico[3] per cui il cittadino o civis non conta per quel che è o vale secondo il suo grado di civiltà, ma come quantità, numero o voto o apporto elettorale che rende possibile al “potere”, nel senso deteriore del termine, di continuare a mantenere il consenso e il governo.

Di fronte a questo pericolo verso cui si stava avviando anche l’Europa, Pio XII cercò di porre riparo proponendo la riaffermazione dei princìpi della filosofia perenne teoretica e sociale e indicando un ordine sociale futuro in cui le istituzioni politiche dipendessero non dal “culto cieco del numero”, ma dall’ordine organico e naturale della sanior pars Societatis. Infatti, secondo il democraticismo moderno e antropocentrico, il mondo politico non è una Società di famiglie che si uniscono per tendenza naturalmente inscritta nell’uomo onde conseguire il “vivere virtuoso”, ma è un ingranaggio artificiale e meccanico, in cui prevale la quantità o materia e non ha nessuna rilevanza la qualità o forma intrinseca. Nel campo culturale e morale non dominano più i valori oggettivi conformi alla legge naturale e divina, ma la libertà individuale come valore assoluto o fine, e non come mezzo per cogliere uno scopo, intesa perciò come liberazione da ogni vincolo e legge oggettiva.

Lo scopo dello Stato è quello di aiutare le famiglie e gli individui che le compongono a conseguire la “vita virtuosa” nella linea tracciata dalla legge naturale o Decalogo, il quale soltanto può far conseguire il bene individuale e sociale, privato e comune. La modernità, invece, ha una concezione dello Stato e della politica meccanicistica, ossia l’uomo, la famiglia e la Società civile non sono naturalmente ordinati ad un fine, che è il bene comune naturale, virtuoso e soprannaturale, ma sono come una macchina studiata e progettata a tavolino,  come un insieme di rotelle o meccanismi, che si muovono non per vita interna, ma per un movimento che viene dall’ esterno ovvero “etero-diretto”. La quantità soprattutto non è né può essere il criterio supremo, mentre nella democrazia moderna o democraticismo è appunto il “culto del numero” ossia la quantità dei voti che diventa criterio supremo di verità e di bontà. Non è la qualità e cioè chi ragiona secondo verità e giustizia, ma il “numero amorfo” a stabilire ciò che è vero e buono!

 

È ancora possibile “oggi” una Società cristiana?

Nell’immediato non è probabile, poiché natura non facit saltus, sed procedit gradatim / la natura non fa salti, ma procede per gradi. Tuttavia occorre sempre tener vivo il principio o l’ideale della filosofia politica perenne, del Magistero tradizionale e del Diritto Pubblico Ecclesiastico, i quali insegnano che naturalmente l’uomo deve essere sottomesso a Dio suo Creatore e sempre naturalmente la Società civile deve a Dio, che ha creato l’uomo animale naturaliter socialis, il culto che gli è dovuto. La natura spinge l’uomo, la famiglia e lo Stato a vivere virtuosamente in comune, osservando i Comandamenti che Dio ha inscritto nella nostra natura e che ha poi rivelato per rendercene più facile l’osservanza. Così pure la Autorità naturalmente tende a stimolare al bene e a punire il male, poiché questa è la sua finalità naturale e intrinseca. Ora, nonostante il degrado dell’uomo, della famiglia e della Società (civile e religiosa) contemporanei, la natura non può cambiare sostanzialmente, può soffrire cattivi influssi, ma essa tende al suo fine e nulla è più forte della natura, specialmente se corroborata dalla Grazia, la quale è offerta in maniera sufficiente a tutti gli uomini. Perciò lo Stato, la famiglia e l’individuo tendono al loro fine naturale: il vivere virtuosamente sulla via tracciata dal Decalogo, che coincide con la legge naturale, e l’Autorità tende a farlo rispettare e a punire la sua trasgressione, nonostante le depravazioni che possano colpire l’uomo, la Società e i detentori dell’Autorità nelle varie epoche storiche.

 

Una “profezia di sventura” esatta e oggi realizzata

Pio XII aveva capito perfettamente che il mondo contemporaneo in campo culturale, morale e spirituale stava per imboccare la via del nichilismo ed aveva esclamato: “La libertà individuale, sciolta da tutti i vincoli, da tutte le norme e regole, da tutti i valori oggettivi individuali e sociali, in realtà è un’anarchia mortale, soprattutto nell’educazione della gioventù” (24. XII. 1944). Mai profezia di sventura fu più azzeccata! E mai utopia di ottimismo esagerato sull’ incontro tra uomo moderno e Chiesa (Giovanni XXIII), tra antropocentrismo e teocentrismo (Paolo VI e Giovanni Paolo II) fu più sbagliata e fuori della realtà.

Pio XII ci ricorda che mentre l’organismo o corpo sociale è conforme alla natura e quindi è retto, vero e buono, il “meccanicismo” ovvero la Società, progettata a tavolino dagli ideologi rivoluzionari, è inadeguato e incapace di sviluppare le finalità insite nella natura umana perché i pezzi di una macchina non si muovono da sé, ma sono mossi dal di fuori. È per questo che la massa è “manipolabile”, come fu manipolata dal Sinedrio durante il processo a Gesù. La natura è opera di Dio e diretta da Lui come Causa prima e principale, mentre la macchina è opera dell’uomo e manovabile da lui.

 

“Quale nemico ha fatto tutto ciò?”

Pio XII si è posta questa domanda nel Discorso agli uomini di Azione cattolica “Nel contemplare” del 12 ottobre 1952. Pacelli esclama: “Non chiedeteci qual è il nemico, né quali vesti indossi. Esso si trova dappertutto e in mezzo a tutti; sa essere violento e subdolo. […]. Ha voluto la natura senza la grazia; la ragione senza la Fede; la libertà senza l’Autorità. È un nemico divenuto sempre più concreto, con una spregiudicatezza che lascia ancora attoniti: Cristo sì, Chiesa no. Poi: Dio sì, Cristo no. Finalmente il grido empio: Dio non è mai esistito” anzi Dio è morto.

Come si vede, secondo Pio XII, che riprende il Magistero costante, e quindi infallibile, della Chiesa a partire da Gelasio I (†469), la separazione o divorzio tra Stato e Chiesa è un male, un peccato, un’apostasia gravissima dell’uomo, della famiglia e dello Stato da Dio e dalla Chiesa da Lui fondata. La teoria, l’ideale o il principio è quello della unione e cooperazione gerarchizzata tra Stato e Chiesa. Tuttavia alcune volte, per evitare un male maggiore, occorre tollerare praticamente, ma non teoricamente, un culto e una religione a-cattolici, i quali non possiedono diritti, ma debbono essere sopportati come un mal di denti sino a che il dentista non possa sradicare il dente cariato: «Ciò che non corrisponde alla verità e alla norma morale non ha oggettivamente alcun diritto né all’esistenza, né alla propaganda»[4].   In ogni caso il Papa riprova la “neutralità religiosa dello Stato” poiché l’unica situazione normale è quella della collaborazione tra i due poteri civile e religioso.

 

La scomunica del Comunismo

Infine, in materia socio/politica, Pio XII, tramite la Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, emanò tre documenti sulla natura del comunismo e la sua inconciliabilità col cristianesimo.

1°) Un ‘Decreto generale’ (1° luglio del 1949), che dichiara: a) non essere mai lecito iscriversi ai partiti comunisti o dar loro appoggio, poiché il comunismo è materialista e quindi anticristiano; b) di non diffondere libri o giornali, che sostengono la dottrina e prassi del comunismo materialista ed ateo; c) che i fedeli, i quali compiono con piena consapevolezza gli atti su proibiti non possono ricevere i Sacramenti; d) che i battezzati, i quali professano, difendono o propagandano consapevolmente la dottrina o prassi comunista, incorrono ipso facto nella scomunica riservata in modo speciale alla S. Sede, in quanto apostati dalla Fede cattolica, ossia rei del passaggio da una religione (cristianesimo) ad un’altra totalmente diversa (materialismo ateo) colpa più grave dell’eresia e dello scisma, cioè del passare dal cattolicesimo al protestantesimo o all’ ortodossismo.

2°) Una ‘Dichiarazione sui matrimoni’ (11 agosto 1949), la quale insegna che gli iscritti a sette ateistiche ossia acattoliche, quali sono i comunisti militanti, incorrono per il matrimonio con un cattolico nell’ impedimento dirimente[5] di religione mista[6] in quanto atei e perciò debbono sottoscrivere le cauzioni che sono richieste agli a-cristiani (battesimo, educazione cristiana dei figli e rimozione del pericolo di perversione del coniuge non comunista).

3°) Un ‘Monito sull’educazione della gioventù’ (28 luglio 1950) contro i genitori che consentono ai loro figli di essere iscritti a società giovanili perverse (FCGI).

Il Papa individuava nel materialismo e quindi nell’ateismo la causa della inconciliabilità assoluta tra cristianesimo e comunismo.

Conclusione

L’insegnamento sociale di Pio XII è in piena linea di continuità con quello tradizionale e per nulla affatto inficiato di liberalismo, democraticismo e filo-modernismo, come sostengono alcuni.

Inoltre la condanna del comunismo di Pio XII  ricalca in pratica quanto già asserito da Pio IX (Qui pluribus 1846; Quanta cura/Sillabo 1864), Leone XIII (Quod apostolici muneris 1878; Rerum novarum 1891) e Pio XI (Quadragesimo anno 1931; Divini Redemptoris 1937) e pertanto è non solo giusta, ma anche tuttora attuale, poiché il cambiamento fa parte della natura del comunismo, che come la serpe cambia la pelle ma resta sempre lo stesso.

Thomas

 

[1] Pio XII, Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944. 

[2] Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944.

[3] Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944.

[4] Cfr. Pio XII, Discorso al V Congresso nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani “Ci riesce, 6 dicembre 1953.

[5] L’ “impedimento dirimente” rende invalido il matrimonio, mentre l’ “impedimento impediente” lo rende solo illecito.

[6] L’ impedimento dirimente di’“religione mista” si verifica nel matrimonio tra appartenenti a due religioni totalmente diverse (cristiani e musulmani o ebrei); quello di “disparità di culto” è presente per il matrimonio tra cattolici e appartenenti a confessioni cristiane diverse (protestanti). Mentre la “disparità di culto” rende illecito il matrimonio e richiede la dispensa da “impedimento impediente”, la “religione mista” lo rende invalido senza la dispensa da “impedimento dirimente”.

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