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La dottrina sociale di Pio IX e di Leone XIII

Abbiamo visto, nel precedente articolo, come in alcuni ambienti si tende a presentare Leone XIII[1] e, per analogia, Pio XI[2] come Papi “liberali” o “modernizzanti” quanto alla dottrina politica (v. il Ralliément di Leone XIII e la scomunica dell’ Action Française di Pio XI), in contrapposizione a Pio IX e

a San Pio X[3] quali Papi veramente antimodernisti. Abbiamo, quindi,  dimostrato, documenti alla mano, quanto sia infondata tale tesi.

La stessa accusa è mossa a Leone XIII e Pio XI[4] quanto alla dottrina più specificatamente sociale (v. l’ Enciclica Rerum novarum sulla questione operaia di Leone XIII; la Quadradegimo anno di Pio XI per il 40° anniversario della Rerum novarum; l’Enciclica Graves de communi re di Leone XIII sulla Democrazia cristiana). Ma se si esamina (come faremo nel presente articolo) con cura la dottrina sociale insegnata dai quattro Pontefici e la sua applicazione pratica o pastorale nelle vicende dei loro Pontificati non si trovano grandi differenze, anzi si riscontra una sostanziale unità teoretica e pratica ed un rifarsi costantemente di un Pontefice agli insegnamenti degli altri.

Infine don Emmanuel Barbier (1851-1925), che scrisse un libro fortemente critico su Leone XIII dopo la di lui morte, intitolato Le progrès du libéralisme catholique de France sous le pape Léon XIII (2 voll., Parigi, 1907), in cui si curava bene di distinguere la dottrina (buona) insegnata dal Pontefice e gli effetti pratici (disastrosi) della sua politica, fu condannato, nonostante ciò, nel 1908 dalla S. Congregazione dell’Indice per volontà  di S. Pio X stesso[5]. Coloro che criticano adesso Leone XIII nel nome di Pio X dovrebbero tenerlo bene a mente[6].

Una semplificazione infondata

Comunemente, semplificando, si insegna che la Dottrina sociale della Chiesa è iniziata in maniera magisteriale e sistematica con l’Enciclica Rerum novarum di Leone XIII del 15 maggio del 1891[7]. Tuttavia, se si studia con attenzione la questione, si evince che  la dottrina politico-sociale della Chiesa nasce col Vangelo e quella dei primi tre secoli è costituita dall’insegnamento di Cristo stesso e dei suoi dodici Apostoli. Essa è la base su cui si fonda tutta la dottrina della Chiesa romana da Costantino ai tempi nostri. L’ insegnamento di Gesù è essenzialmente religioso e le sue conclusioni politico-sociali sono religiose anch’esse. L’insegnamento del Nuovo Testamento è completivo di quello dell’ Antico. Quindi la dottrina religiosa dogmatico/morale di Gesù presuppone una vasta dottrina politico-sociale, contenuta nell’Antico Testamento, che era buona ma imperfetta e doveva essere completata dal Vangelo. Infine l’insegnamento evangelico è pratico: “Gesù cominciò a fare e a insegnare” dice il Vangelo; quindi basterà studiare gli esempi  della vita di Cristo, le parabole, gli aforismi, per trovarvi una dottrina pratica e concreta della vita politica e sociale cristiana.

La dottrina etico/economica di Gesù

Gesù non ha condannato la ricchezza in sé, ma l’attaccamento disordinato dell’uomo ad essa. Al giovane che gli domanda cosa debba fare per salvarsi, Gesù risponde: ‘Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che hai e dallo ai poveri’; il giovane che era molto ricco se ne andò, rinunciando alla perfezione, ma non alla salvezza, perché il Vangelo ci dice che osservava i Comandamenti sin da fanciullo. Inoltre riaffermando il settimo comandamento, non rubare, e rafforzandolo o perfezionandolo coll’impedire anche il furto di desiderio (non desiderare la roba d’altri, decimo comandamento), Gesù ha stabilito la liceità della proprietà privata, mettendo in guardia contro gli errori di eccesso (l’avarizia) e di difetto (il socialismo pauperista).

Nella parabola degli operai dell’ultima ora il padrone del campo, che li trova a zonzo, dice loro: ‘Perché state qui oziando? Ed essi risposero: perché nessuno ci ha assunti; e il padrone riprese: andate anche voi a lavorare nella mia vigna’.

“L’obbligo di carità fraterna verso tutti i bisognosi è l’essenza della morale sociale del cristianesimo (...). Al Giudizio universale non si fa parola di altre colpe oltre quella di mancata assistenza (...) nel quadro è sottintesa la condanna anche degli altri peccatori, e i rei che non hanno prestato soccorso sono dei fedeli che non hanno commesso altre colpe tranne la mancata carità verso il prossimo (...) e per aver mancato alle opere di misericordia sono stati dannati in eterno”[8]. Quanto il Vangelo ci ha tramandato ci permette di costatare che l’ insegnamento sociale di Cristo è il fondamento della dottrina sociale della Chiesa dall’epoca costantiniana sino a quella moderna.

La dottrina politica degli Apostoli

L’insegnamento degli Apostoli è la conferma ed il compimento di quello di Cristo.

S. Paolo scrive: “Ogni uomo sia soggetto alle autorità superiori; poiché non c’è potere che non venga da Dio (...). Per la qual cosa chi s’ oppone all’Autorità, si oppone a Dio (...). Essa non invano porta la spada poiché è ministra di Dio e vendicatrice, per punire chiunque fa il male” [9].

La Legge eterna e divina è la base e il fondamento dell’obbedienza all’autorità politica ed alle sue leggi. Ma vi è un limite a questa obbedienza; qual è? Gli Apostoli rispondono: la stessa sua base e fondamento, ossia la Legge eterna, che ci vieta di far cosa contraria alla legge e volontà divine; in tal caso il cristiano che obbedisce all’uomo (es. brucia l’incenso agli idoli) disobbedisce a Dio. Quando il Sinedrio ordinò agli Apostoli di non predicare Gesù, essi risposero: “Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini[10].

Gesù e gli Apostoli ci raccomandano di evitare le liti; in caso di contesa tra cristiani è bene ricorrere al giudizio della Chiesa e non ad un tribunale pagano[11].

Gli Apostoli ritenevano pienamente leciti, per i cristiani, gli uffici pubblici, sia civili che militari. Pietro accolse, come buon cristiano, il centurione Cornelio senza obbligarlo a lasciare l’esercito[12]. Filippo, protodiacono e aiutante degli Apostoli, battezza il ministro delle finanze di una regina dell’Etiopia senza imporgli di dimettersi da ministro, ma esortandolo a fare bene il suo ufficio e cristianamente, ossia onestamente[13].

Il matrimonio è cosa buona, anche se la verginità è superiore[14]. L’uomo è il capo di casa e della donna, come Cristo lo è della Chiesa; perciò la moglie gli sia sottomessa, non come serva o schiava, ma come amica. Il divorzio è proibito[15]; i figli siano obbedienti ai genitori[16]. I servi siano sottomessi onestamente ai loro padroni, e questi siano caritatevoli verso quelli[17].

Siamo tutti fratelli in Dio e dobbiamo aiutarci l’un l’altro; ciò vale non solo per gli individui ma anche per le classi sociali[18]. Riguardo poi al caso speciale di contatto coi pagani, S. Paolo raccomanda di astenersene prudentemente a scanso di pericoli; però si dia il buon esempio ai pagani con le virtù, disseminando così la stima del nome cristiano, e si faccia il bene a tutti senza distinzione[19].

Dio, creatore e governatore del mondo, ha disposto che l’umano consorzio avesse un ordinamento che consiste nell’autorità e nella fratellanza. Quest’ultima è la conseguenza dell’essere tutti gli uomini uguali dinanzi a Dio; l’autorità dispone che vi siano alcuni individui investiti di un potere superiore che regoli la vita sociale; potere che non deriva dagli investiti, né dà loro qualche privilegio o superiorità naturale (essendo tutti gli uomini sostanzialmente uguali), ma proviene da Dio, vero ed unico padrone di tutto e di tutti, il quale ha posto il principio d’autorità per il bene della società.

Riassumendo

“A tale autorità dobbiamo riverenza, obbedienza, fedeltà (...). L’ autorità che comandasse cose contrarie alla legge di Dio, perderebbe il proprio fondamento; ed il suo ordine è nullo (...). La famiglia è una società naturale (...). Il marito è il capo di casa, onde la moglie deve essergli soggetta, non come schiava ma come aiuto che egli deve rispettare ed amare (...). Tutte le professioni oneste sono aperte al cristiano (...) occorre guardarsi dal lusso, dalla mondanità, dalla superbia della falsa scienza (...) ciò non toglie che l’uomo possa godere onestamente dei beni  e dei leciti piaceri della vita, nonché della scienza e dell’ erudizione e del bello intellettuale e morale. (...). La proprietà privata è ammessa perché è naturale, e non è contraria alla volontà di Dio, che vuole che tutti vivano dei beni della terra (...). Il lavoro anche manuale non è disprezzabile, mentre esso procura un pane onorato. Se chi non vuol lavorare, non ha diritto alla sussistenza, chi fatica ne ha diritto, perché l’operaio è degno della sua mercede. (...). Ecco il punto di partenza della vita sociale della Chiesa cattolica, la direzione del suo cammino benefico tra la società sin dal giorno in cui gli Apostoli sparsi per il mondo fondarono le prime Chiese (...). Questo cammino della civiltà cristiana, continuato per venti secoli tra le più fiere lotte continuerà per il bene non solo spirituale ma anche politico e sociale del consorzio umano: per cui il trionfo della Croce è questione vitale per la civiltà[20].

Pio IX e Leone XIII

Occorre sapere che già nel 1869 durante in Concilio Vaticano I era stato preparato un Documento sulla questione sociale, il quale riprendeva ed approfondiva ciò che Pio IX aveva già insegnato nell’Enciclica Quanta cura e nel Syllabus (8 dicembre 1864) condannando in maniera breve e concisa, ma assai chiara, gli errori socio-politici ed economici del social/comunismo, della massoneria, del cattolicesimo liberale (pp. 19-24) del liberalismo e del liberismo (pp. 77-80). Da notare che il Sillabo fu compilato da Pio IX dietro istanza del card. Pecci (nel 1849 quando era ancora Vescovo di Perugia[21])[22].

Il Documento sociale del Vaticano I e il Syllabus

Il Documento in questione non fu promulgato a causa dell’ interruzione forzata del Vaticano I e quindi non è formalmente Magistero autentico, ma si trova tra gli Schemi elaborati dalla “Commissione politico-ecclesiastica” del Concilio Vaticano I (1869-1870)[23] ed è un approfondimento dei punti del Syllabus riguardanti gli errori politici ed economici.

Tale Decreto, che si prefiggeva di sovvenire alla miseria materiale e spirituale degli operai e dei poveri, si intitola “Decreto per sollevare la miseria dei poveri e degli operai”. Esso fu esaminato il 3 ottobre del 1869 e consta di tre parti: 1a) il buon uso dei beni materiali; 2a) la Carità cristiana; 3a) i mezzi pratici per eliminare gli ostacoli alla soluzione del problema.

Il 1° capitolo (“Il buon uso dei beni temporali”) spiega come l’infelice condizione degli operai sia dovuta soprattutto alla deviazione morale per cui gli uomini hanno posto nelle creature, e soprattutto nelle ricchezze materiali, il loro Fine ultimo mentre esse sono un mezzo per cogliere il Fine. Ciò porta i ricchi a disprezzare i poveri e ad usarli come cose per aumentare la propria ricchezza (errore del liberalismo e del liberismo), mentre i poveri diventano gelosi ed invidiosi dei ricchi e li odiano (errore del marxismo social/comunista). Occorre, invece, ritornare al principio e fondamento della vita cristiana secondo cui l’uomo ha come Fine ultimo Dio e le altre creature lo debbono aiutare ad unirsi a Lui come mezzi ordinati al fine. Quindi il ricco non deve abusare della ricchezza accumulandola come fosse eterna e sfruttando il debole ed il povero, e questi non deve rattristarsi eccessivamente della povertà, cadendo così nella disperazione.

Il 2° capitolo (“La Carità è raccomandata a tutti”) specifica che la Carità cristiana ci spinge a prenderci cura del prossimo, soprattutto dei più bisognosi e specialmente di coloro che si vergognano di palesare la loro miseria. S. Teresa d’Avila diceva che “i veri poveri non fanno rumore”. Tutti devono praticare la Carità: i ricchi dando del loro ai poveri ed i poveri aiutando i ricchi a salvarsi l’anima accettando da loro l’elemosina senza sentirsene offesi o tendere all’odio di classe e alla rivoluzione per risolvere il problema dell’ indigenza, la quale – come ha detto Gesù – sarà sempre presente in questo mondo.

I Governanti hanno il compito ufficiale e specifico (più di tutti gli altri cittadini) di alleviare le sofferenze dei poveri, facendo leggi che assicurino la stabilità e l’ordine interno della Società civile e che li aiutino a migliorarsi economicamente e socialmente. I sacerdoti debbono ricordare ai ricchi che nel giorno del Giudizio renderanno conto a Dio di come hanno amministrato i beni terreni. Inoltre essi stessi non debbono dimenticare che i beni temporali della Chiesa non sono propri dei chierici, ma sono stati costituiti dalle offerte dei fedeli, per cui sono il patrimonio di tutti e specialmente dei più bisognosi; quindi il clero ne ha solo l’amministrazione e non il possesso e ne renderà conto a Dio in maniera ancora più severa al Giudizio particolare ed universale.

Il 3° capitolo (“Bisogna togliere le cause che impediscono la pratica della Carità”), tratta specialmente della questione, allora attualissima, dei Governi che ostacolano la pratica della Carità della Chiesa, vietando quegli Istituti che Essa ha costituito a tal fine nel corso dei secoli: gli ospedali, le mense, le scuole, le università, i ricoveri, le corporazioni. Il Risorgimento volle “laicizzare” brutalmente anche le opere caritative cristiane; oggi la laicizzazione è un dato di fatto che viene portato avanti in maniera apparentemente non-violenta e purtroppo con l’ avallo dei chierici modernisti, i quali hanno accettato il principio della “libertà religiosa” proprio del liberalismo. Le industrie stesse hanno perso, per volontà del liberalismo, ogni carattere religioso che si trovava al loro interno (Corporazioni di Arti e Mestieri) e son divenute i covi del social/comunismo. Giustamente Lenin diceva: “la borghesia liberale sta fornendo al proletariato la corda con la quale sarà impiccata”.  Infatti dalla “Rivoluzione industriale” liberista è nato lo sfruttamento del proletariato e questo, oramai laicizzato, si è rivoltato ed ha odiato come insegna la dottrina comunista.

Se i ricchi e i poveri cercano solo le ricchezze materiali sono come due animali feroci che si disputano la stessa coperta, la quale è troppo piccola per entrambi e quindi si azzannano per averne la parte più grande. Il Cristianesimo ha insegnato al ricco a non disprezzare il povero e al povero a non invidiare il ricco. Ciò non significa che ogni cristiano sia ipso facto coerente con la dottrina e la pratica del Cristianesimo: occorre sempre distinguere i princìpi immortali del Cristianesimo dagli uomini sedicenti “cristiani”. Tuttavia, tolto l’influsso sociale del Cristianesimo ridotto dal liberalismo a fatto puramente individuale, resta solo la vita terrena, la quale è limitata, finita e troppo stretta per l’uomo che ha un’anima spirituale aperta oggettivamente all’infinito, e si va verso la “Rivoluzione del proletariato” comunista. Oggi, come allora, va di moda la “filantropia” o surrogato della Carità soprannaturale, e, mentre il comunismo rende obbligatorio il voto di povertà (“tutti poveri”), il liberalismo rende obbligatorio il consiglio dell’elemosina e vorrebbe trasformare la carità soprannaturale in carità laicizzata o rotariana (“tutti filantropi e solidali”). 

Il Documento, inoltre, ricorda che i padroni debbono la giusta paga agli operai e chi la nega commette un peccato che “grida vendetta al Cielo”; nello stesso tempo ammonisce il povero a far bene il suo lavoro senza mormorazione o invidia e odio. Senza l’influsso sociale e politico (non partitico) del Cristianesimo operai e padroni perdono la Fede e si odiano vicendevolmente. Il mondo attuale è una sorta di bolgia infernale in cui gli uomini si odiano tra loro e si uniscono solo per combattere il bene e il vero.

Il Documento, infine, esorta i Vescovi a prendersi cura dei fedeli vigilando sul matrimonio, la famiglia e le singole anime, esclusi laicisticamente dalla Società civile.

Il 22 luglio del 1869 fu approntato in Concilio un altro Decreto chiamato Postulatum de Socialismo di 72 pagine (G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum…, cit., vol. 49, pp. 718 ss.) riguardante la Dottrina sociale cristiana contro l’errore del socialismo; esso fu ultimato e presentato in latino il 7 marzo del 1870 firmato da 16 vescovi ed appoggiato specialmente dal cardinal Mermillod[24].

La  Dottrina sociale di S. Pio X

San Pio X, di fronte all’avanzare in Italia del modernismo sociale di don Romolo Murri chiamato anche “democrazia cristiana”, mise in guardia i fedeli e i Pastori contro gli errori modernisti nel campo sociale e politico con il motu proprioFin dalla prima” del 18 dicembre 1903. Tra l’altro la Democrazia Cristiana ritiene che ogni forma di governo non democratica sia inaccettabile ed anticristiana.

Nel motu proprio Fin dalla prima del 18 dicembre 1903 papa Sarto si rifà alla dottrina sociale di Leone XIII (cita esplicitamente le Encicliche Quod apostolici muneris, 28 dicembre 1878; Rerum novarum, 15 maggio 1891; Graves de communi re, 18 gennaio 1901) ed estrae da essa i princìpi fondamentali cui deve ispirarsi l’azione politica e sociale dei cristiani. San Pio X, lungi dal criticare Leone XIII, lo apprezza, lo stima, conosce bene le sue Encicliche e senza travisarle sintetizza l’ampio magistero sociale di papa Pecci in una sorta di Sillabo sociale di 19 punti, che sarà utile studiare per capire qual è la concezione naturale e cristiana della politica.

Il primo punto (riassunto dall’Enciclica di Leone XIII Quod apostolici muneris, 28 dicembre 1878) insegna: “la Società umana, quale Dio l’ha stabilita, è composta di elementi ineguali, come ineguali sono i membri del corpo umano: renderli tutti eguali è impossibile, e ne verrebbe la distruzione della medesima Società” (Tutte le Encicliche e i principali Documenti pontifici emanati dal 1740, a cura di U. Bellocchi, vol. VII, Pio X, 1903-1914, Città del Vaticano, LEV, 1999,  p. 62).

L’uomo è un animale socievole per natura, ossia Dio lo ha creato e gli ha dato una natura che lo porta a vivere assieme ad altri prima nella società imperfetta di ordine naturale, che è la famiglia, e poi in quella perfetta, che è lo Stato o Società civile. La Società civile o Stato, come la famiglia, è una creatura di Dio in quanto gli uomini che la compongono sono stati da Dio ordinati alla Società politica e non alla vita solitaria.

Inoltre la Società è composta da parti ineguali come il corpo umano. Ossia vi è chi comanda e chi ubbidisce, chi insegna e chi impara, chi lavora materialmente e chi intellettualmente. Questa verità è stata conosciuta sia dai pagani con il solo lume della ragione naturale sia dai cristiani tramite la Rivelazione[25].

Ineguaglianza, secondo il magistero della Chiesa e la retta ragione, significa 1°) che non si devono disprezzare i semplici o i subordinati perché anche il cervello non è autosufficiente e ha bisogno degli occhi, delle mani e dei piedi; 2°) che non bisogna arrivare al livellamento democraticista e social/comunista, il quale vorrebbe rendere tutti i membri eguali perché se nella sola mano tutte le dita fossero eguali la mano sarebbe mostruosa e se addirittura nel corpo tutti i membri fossero identici sarebbe la morte di esso.

Nel secondo punto San Pio X insegna che “L’eguaglianza dei membri sociali consiste solo in ciò: che tutti gli uomini sono creati da Dio, tutti redenti da Cristo e che tutti saranno giudicati, premiati o castigati, in base ai loro meriti o demeriti” (cit., p. 62).

Come si vede l’eguaglianza sostanziale degli uomini, di cui parlano il cristianesimo e la sana ragione, è totalmente diversa dall’ egualitarismo anarco/socialista e democraticista. Infatti gli uomini sono eguali quanto al fatto di essere tutti creati da Dio e di dover un giorno tutti rispondere al suo giudizio, ma ciò non toglie che tra di loro vi siano delle diversità accidentali che si aggiungono alla sostanza della natura umana e la perfezionano o la deteriorano: chi è buono e chi è malvagio, chi risponde al piano di Dio e chi lo rifiuta, chi sarà premiato e chi castigato. Tutto ciò è ineliminabile, come le altre diversità accidentali: chi è basso e chi alto, chi intelligente e chi no, chi è dottore e chi è contadino. Purtroppo l’utopia rivoluzionaria ha cercato, nel corso dei secoli, di eliminare tali diversità ed ha reso la condizione umana ancor più infelice.

Questo secondo punto precisa il primo  insegnando che, se tutti gli uomini sono creature di Dio quanto alla loro natura o sostanza, ciò non impedisce che tra di loro vi siano diversità accidentali sia nell’ordine naturale e sociale che in quello soprannaturale e infine in quello eterno. 

Il terzo punto è la conclusione dei primi due, anch’esso è ripreso da S. Pio X, dalla Enciclica Quod apostolici muneris di Leone XIII e insegna che “Nella Società umana, secondo il piano di Dio, vi debbono essere governanti e sudditi, padroni e operai, ricchi e poveri, dotti e ignoranti, i quali uniti dal vincolo della Carità si aiutino a vicenda a conseguire il loro fine ultimo soprannaturale: il Cielo e quello temporale sulla terra: il benessere materiale comune” (cit., p. 62).

La gerarchia politica (governanti e sudditi), sociale (padroni e operai) ed economica (ricchi e poveri) è nella natura delle cose. Poiché in una Società politica vi deve essere una Autorità altrimenti la Società crolla, ci vuole chi governa e chi obbedisce. Nel mondo del lavoro vi sono i padroni, che significa “grandi padri”, ossia padri di molti uomini a cui, investendo il loro capitale, danno lavoro e, dal lavoro dei quali traggono frutto. Il termine “padrone” in sé non ha nulla di umiliante o dispregiativo nei confronti degli operai. La conseguenza economica è la maggiore o  minore ricchezza, la quale non è un’ingiustizia in sé, se si considera l’investimento del capitale da parte del padrone e le sue responsabilità nella conduzione dell’ azienda. La ricchezza, inoltre, è un mezzo di cui ci si può servire per fare il bene (dar altro lavoro investendo in nuove attività, far l’ elemosina…) oppure può diventare un male se si fa di essa il fine (voler arricchirsi utilizzando tutti i mezzi, anche illeciti e immorali), ma non è cattiva in se stessa; così la povertà è un mezzo di santificazione, ma non deve mai essere provocata dai padroni frodando la giusta paga agli operai. L’austerità o la vita non confortevole, frugale e parsimoniosa può essere più sana (naturalmente e soprannaturalmente, intellettualmente, moralmente e spiritualmente) del lusso eccessivo. Non bisogna mai confondere il fine con i mezzi, l’uso con l’abuso.  Il “ricco Epulone” si è dannato, mentre il “povero Lazzaro” si è salvato (cfr. Lc., XVI, 19 ss.).

San Pio X nel numero XII del suo motu proprio riprende l’Enciclica di Leone XIII Graves de communi re (18 gennaio 1901) e la riassume. Papa Sarto scrive: “La Democrazia Cristiana o Azione popolare Cristiana deve essere nel senso autorevolmente dichiarato da Leone XIII, il quale, lontanissimo da quello della Democrazia Sociale o Politica, ha per base i princìpi della fede e della morale cattolica in modo da non ledere in nessun modo il diritto della proprietà privata” (cit., pp. 63-64).

Ora Leone XIII aveva insegnato che la Democrazia Cristiana doveva essere solo un movimento di azione sociale cristiana per risolvere la questione operaia ovvero il conflitto tra il mondo del lavoro e quello del capitale secondo i princìpi della dottrina cattolica esposti nella Enciclica Rerum novarum, evitando gli errori opposti del liberalismo e specialmente del socialismo verso il quale la Democrazia  Cristiana iniziava ad essere attratta. Il Papa, perciò, aveva vietato alla Democrazia Cristiana di prendere forma di partito politico e di farsi coinvolgere da un’ottica di democraticismo moderno vicino al socialismo. Purtroppo già sotto Leone XIII alcuni elementi del cattolicesimo sociale stavano deviando verso la democrazia moderna e si allontanavano dalla dottrina sociale insegnata dal magistero della Chiesa. Quindi San Pio X riprende il divieto di Leone XIII.

Al n. XIII papa Sarto spiega che “la Democrazia Cristiana non deve mai immischiarsi con la politica, né dovrà mai servire a partiti politici” (cit., p. 64).

Al n. XIV ricorda il dovere che la Democrazia Cristiana ha di dipendere dall’Autorità ecclesiastica. È lo stesso problema che si porrà nel 1910 in Francia col movimento del Sillon di Marc Sangnier che sarà condannato con la Lettera Notre charge apostolique del 25 agosto 1910 proprio perché rifiutava di essere sottomesso all’Autorità ecclesiastica con il pretesto di occuparsi di politica.  È la stessa dottrina che porterà Pio XI a scomunicare nel 1926 l’Action Française di Charles Maurras, la quale sotto il pretesto di far politica negava la subordinazione alla Gerarchia ecclesiastica nelle materie socio/economiche e politiche, come se esse non dipendessero dalla morale della quale è custode e maestra la Chiesa.

Leone XIII e la Rerum novarum

I numeri IV sino a XI del motu proprio di S. Pio X trattano della questione operaia secondo l’ Enciclica Rerum novarum.  La questione sociale è la storia dei conflitti  sorti, durante le varie epoche dell’ umanità, tra il capitale e il lavoro e quindi tra i datori di lavoro e gli operai.

La terra fu data da Dio all’inizio del mondo a tutti,  non in senso positivo, vale a dire che tutti ne avessero un promiscuo e comune dominio; ma in senso negativo, in quanto Dio non assegnò a nessuno in particolare questa o quella parte della terra, lasciando alla capacità e all’ industria di ciascuno il prender possesso di una porzione di terra, di recingerla, lavorarla e renderla fruttifera e produttiva.

In seguito al moltiplicarsi del genere umano cominciarono le prime occupazioni della terra e sorsero, naturalmente, le differenze economiche tra chi sapeva render proprio un appezzamento di terra e chi no, tra chi sapeva lavorarlo e renderlo fruttuoso, arricchendosi col sudore del suo lavoro e chi, essendo svogliato, non sapeva lavorare la terra e renderla produttiva.

Durante il XVIII secolo, con l’impiego delle macchine di produzione e il costituirsi delle fabbriche o grandi industrie, con l’era della rivoluzione industriale sorse la questione sociale in senso stretto di cui Leone XIII nella Rerum Novarum scrisse: “non esiste questione che maggiormente interessi il mondo”.

1) Cause di ordine religioso 

Il razionalismo laicistico nel secolo XIX era notevolmente penetrato nella società ed aveva affievolito la fede degli uomini. Perciò non solo i singoli cittadini, ma anche lo Stato, o i cittadini in quanto formanti una società, si allontanarono dallo spirito cristiano così che l’ambiente divenne propizio allo sviluppo dell’ edonismo  e del materialismo e quindi all’acuirsi delle passioni umane.

2) Cause di ordine morale

 Leone XIII[26] enumera, nella Rerum Novarum, come concausa della questione sociale “i peggiorati costumi” vale a dire l’immoralità, sia individuale sia sociale o pubblica, per cui, come ha ribadito Pio XII nella sua Enciclica Supremi Pontificatus,  “Il tempo presente... è la negazione e il rifiuto di una norma e di una moralità universale, sia della vita individuale sia della vita sociale”. Le conseguenze di tale immoralità sono state la cupidigia (odio di classe) e la plutocrazia (sfruttamento del povero), per cui le ricchezze sono accumulate nelle mani di pochi che regolano come vogliono il mercato mondiale con grave danno delle grandi masse dei poveri.

3) Cause di ordine politico

Ossia l’ordinamento liberale della società, che ci ha fatto poi cadere nel comunismo (poiché ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria) come insegna Pio XI nella Divini Redemptoris (1937)[27].

Il liberalismo e il liberismo affermano la libertà e i diritti dell’ individuo, conferendogli una grande autonomia, e promuovendo il culto dell’uomo, che è così affrancato dallo Stato e dalla Religione.

Lo Stato, secondo i liberisti, ha una  funzione negativa, come quella di un carabiniere che si deve limitare a far rispettare la vita e la proprietà dei cittadini, contro gli attacchi dei facinorosi che vorrebbero sovvertire sia l’ordine sociale che quello religioso, ma ha il minimo di funzioni positive sia economico-politiche che religiose. Perciò lo Stato liberale latita nel bel mezzo delle aspre lotte tra capitale e lavoro e così ha reso lo scontro più violento e l’avanzata della rivoluzione e della dittatura del proletariato più vicina.

L’abolizione delle corporazioni di arti e mestieri che erano organismi di reciproca armonia e tutela tra i padroni e gli operai e facevano da “cuscinetto protettivo” tra lo Stato e il singolo individuo, tra il più forte e il più debole, cosicché l’ operaio – senza più la sua corporazione  – si è trovato indifeso e in balìa della cupidigia dei proprietari o di uno Stato assoluto e Leviatano.

Il secolo XIX è stato il secolo delle macchine, del vapore e dell’ elettricità, il XX quello dell’energia atomica, degli aerei e della televisione; mentre il XXI secolo è – per il momento – quello dell’informatica, della cibernetica e delle manipolazioni genetiche che non sappiamo ancora ove andranno a terminare.

Pio XI nell’enciclica Quadragesimo Anno (scritta nel 1931 per il 40° anniversario della Rerum novarum) ha intravisto il grande potere che avrebbe acquistato l’alta finanza apolide, sì da sostituirsi allo Stato, di modo che l’individuo non si ritrova più in una società di famiglie che si uniscono – avendo diritti e doveri – per ottenere un fine (il benessere temporale subordinatamente a quello spirituale), ma in una società anonima composta neppure da padroni, ma da “finanzieri incogniti” che fanno e disfanno a loro piacimento senza il controllo di nessuno, essendo lo Stato diventato il “portaborse” dell’ alta finanza.

Le tre soluzioni della questione sociale

La questione sociale è “difficile e pericolosa” ammoniva Leone XIII. È difficile segnare i confini precisi tra capitale e lavoro; è pericoloso poiché uomini privi di spirito cristiano (liberali) e turbolenti (socialisti) cercano di servirsi di tale questione o per sconvolgere il mondo con la rivoluzione (socialisti) o per accaparrare la maggior quantità possibile di beni economici, come se il fine dell’uomo fosse Mammona (liberali). Il Magistero di Pio IX, Pio X, Leone XIII e Pio XI ci dà la soluzione che si eleva nel giusto mezzo tra due errori: 1°) la soluzione individualistica o liberista; 2°) la soluzione collettivistica o social/comunista.

Mentre la prima soluzione esagera i diritti dell’individuo, che per il liberalismo è un Assoluto, e specialmente i diritti dell’individuo più forte a detrimento della “massa” dei proletari e la seconda esagera i diritti della “massa” o collettività e quindi dei proletari a detrimento del datore di lavoro, la terza soluzione, quella cristiana, concilia i diritti e i doveri dell’individuo e del capitale con i diritti e i doveri della collettività e del lavoro, evitando gli estremismi univoci delle due soluzioni precedenti, che possono essere rappresentate come due burroni che circondano a “destra” e a “sinistra” un’alta montagna (la dottrina cristiana) che sta in medio et in culmine tra liberismo (a “destra”) e socialismo (a “sinistra”).

Da quanto abbiamo esposto si constata come la dottrina speculativa e la pratica pastorale di Pio IX, Pio X, Leone XIII e Pio XI sono sostanzialmente le stesse, perfettamente ortodosse e pienamente corrispondenti alle necessità dei rispettivi tempi.

Thomas

 

[1] Su papa Pecci cfr. E. Soderini, Il pontificato di Leone XIII, 3 voll., Milano, 1931.

[2] Su Pio XI cfr. AA. VV., Pio XI nel trentesimo della morte, Milano, 1969.

[3] Su S. Pio X cfr. P. G. Dal-Gal, Pio X Papa, Padova, Il Messaggero di S. Antonio, 1954.

[4] Qualcuno arriva addirittura ad estendere tale accusa di filo-modernismo alla Enciclica Humani generis (12 agosto 1950) di Pio XII, che condanna il neo-modernismo e la nouvelle théologie; mentre quest’Enciclica viene chiamata comunemente “il terzo Sillabo” (B. Gherardini) dopo il Syllabus (8 dicembre 1864) di Pio IX e la Pascendi (8 settembre 1907) di S. Pio X.

[5] Cfr. R. Duguet, L’abbé Emmanuel Barbier, in Le Bloc catholique, marzo-aprile, 1925.

[6] Mons. Umberto Benigni ha sempre dato un giudizio di sostanziale continuità tra Leone XIII (a lui carissimo nella giovinezza) e Pio X (suo protettore nella maturità) e riteneva un “artificio ed un luogo comune l’opporre Leone XIII e Pio X” (v. E. Poulat, Catholicisme, démocratie et socialisme, Paris, Casterman, 1977, p. 315, nota 50). Inoltre Benigni non ammetteva la tesi dell’ opposizione tra Leone e Pio anche quanto alla politica del cosiddetto Ralliément (v. La Corrispondena Romana, 1° marzo 1911, cit. in E. Poulat, ivi, nota 51). Si tenga presente che Mons. Umberto Benigni, nato a Perugia e fedele discepolo dell’allora vescovo di Perugia Gioacchino Pecci, è stato il campione dell’ antimodernismo sotto il Pontificato di papa Sarto ed il fondatore del Sodalitium Pianum, un’associazione che raccoglieva informazioni sui modernisti e le inoltrava direttamente a S. Pio X. Benigni si è  sempre considerato un figlio spirituale di Leone XIII ed ha collaborato attivamente con S. Pio X alla repressione del modernismo e dei modernisti. Solo questo fatto dovrebbe far riflettere i denigratori di Leone XIII.

[7] Cfr. E. Zucchetti, Dizionario di dottrina sociale della Chiesa, Milano, Vita & Pensiero, 2004.

[8] U. Benigni, L’economia sociale cristiana avanti Costantino, Genova, Fassicomo e Scotti, 1898,  pp. 36-37. Per uno studio esaustivo su mons. Benigni cfr. E. Poulat, Catholicisme, démocratie et socialisme, Paris, Casterman, 1977.

[9] Rom., XIII, 1-7.

[10] Atti, V, 29.

[11] I Cor., VI, 6.

[12] Atti, X, 1.

[13] Atti, VII, 27.

[14] I Cor, VII, 1-3.

[15] Efes., V, 22-23; Col., III, 18-19.

[16] Col., III, 20.

[17] Efes., VI, 5-9.

[18] I Cor., XII, 14-22.

[19] Coloss., IV, 6.

[20] U. Benigni, op. cit., pp. 58-61.

[21] A. Piolanti, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, p. 386, voce “Sillabo”; F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di teologia morale, Roma, Studium, IV ed., 1968, II vol., p. 1544, voce “Sillabo”; A. Piolanti, in Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1954, vol. XI, coll. 578-580, voce “Sillabo”; A. Naz, in Dictionnaire de Droit Canonique, Parigi, 1935, vol. VII, nn. 1029-1034 .

[22] Cfr. L. Choupin, in DAFC, vol. IV, coll., 1569-1582, voce Syllabus; L. Brigué, DTC, vol. XIV, coll. 2877-2925582, voce Syllabus;  A. Quacquarelli, La crisi della religiosità contemporanea: dal Sillabo  al Concilio Vaticano I, Bari, 1946, pp. 1-41.

[23] G. D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, Firenze-Venezia, 1757-1798, vol. 53, pp. 867-872.

[24] Cfr. G. Massard, L’oeuvre sociale du cardinal Mermillod, Lovanio, Presses Universitaires, 1914.

[25] Il pagano Tito Livio scrive: “Una volta le membra dell’uomo, constatando che lo stomaco se ne stava ozioso, ruppero gli accordi con lui e cospirarono dicendo che le mani non avrebbero portato cibo alla bocca, né che la bocca lo accettasse, né che i denti lo masticassero a dovere. Ma mentre cercavano di domare lo stomaco, s’indebolirono anche loro stesse, e il corpo intero deperì. Di qui si vede come il compito dello stomaco non è quello di un pigro, ma che esso distribuisce il cibo a tutti gli altri organi. Fu così che le varie membra del corpo tornarono in amicizia tra loro e con lo stomaco. Così Senato e Popolo, come se fossero un unico corpo, deperiscono con la discordia, mentre con la concordia restano in buona salute” (Ab Urbe condita, II, 32). Inoltre San Paolo rivela divinamente: «Molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Né l’occhio può dire alla mano: “Non ho bisogno di te”; né la testa ai piedi […]. Anzi quelle membra che sembrano più umili sono le più necessarie. […]. Dio ha composto il corpo affinché non vi fosse disunione in esso, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro sta bene, tutte le altre gioiscono con lui» (1 Cor., XII, 4-20).

 

[26] L’ampio magistero di Leone XIII è assai critico nei confronti degli errori socio/politici della modernità. Cfr. Enciclica Quod Apostolici muneris (1878), che condanna il social/comunismo e il nichilismo politico; la Aeterni Patris (1879), che rilancia il tomismo anche per la dottrina sociale e politica; Diuturnum (1881) sulla vera natura della Società civile studiata alla luce della filosofia aristotelico/tomistica; Humanum genus (1884) la condanna magisteriale più articolata della massoneria che sia stata mai scritta; Immortale Dei (1885) sulla costituzione degli Stati; Libertas (1888) sulla condanna del liberalismo e la vera nozione di libertà; Sapientiae christianae (1890) sulla subordinazione dello Stato alla Chiesa; Dall’Alto (1890) sulla guerra che il governo italiano muove alla Chiesa; Rerum novarum (1891) sulla questione sociale; Inimica vis (1892) sulla massoneria in Italia; Custodi della  Fede (1892) sul medesimo argomento; Annum sacrum (1899) sul culto al S. Cuore quale nuovo labaro costantiniano per vincere i nuovi nemici della Chiesa alla vigilia del XX secolo; Graves de communi re (1901) la condanna della democrazia cristiana. Alla luce  di tutto ciò non si riesce davvero a capire con quale fondamento si possa accusare di liberalismo o filo-modernismo Leone XIII.

[27] Pio XI ha invitato a studiare S. Tommaso d’Aquino, quale maestro ufficiale della Chiesa e baluardo contro il modernismo, sia per le questioni metafisiche, sia teologiche sia morali e politiche nell’Enciclica Studiorum Ducem (1923); ha scritto l’Enciclica Quas primas (1925) sulla regalità sociale di Cristo ed ha istituito la Festa  liturgica di Cristo re; ha condannato il falso ecumenismo nell’Enciclica Mortalium animos (1928); ha ribadito i princìpi della dottrina sociale di Pio IX, Pio X e Leone XIII con la Quadragesimo anno (1931); ha condannato il comunismo come “intrinsecamente perverso” nell’ Enciclica Divini Redemptoris (1937) ed ha ricordato la liceità del tirannicidio durante le tristi vicende della persecuzione dei cristeros messicani da parte del governo massonico con l’Enciclica Nos es muy conocida (1937) ed appoggiò il sollevamento del generalissimo Francisco Franco in Spagna nella crociata contro le orde comuniste dirette dalla massoneria e dal giudaismo internazionale (1937). Quindi dal punto di vista sociale, economico e politico ha ribadito, e con fermezza, la stessa dottrina insegnata da Pio IX e Pio X. 

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