LEONE XIII, PIO XI E LA CONTRORIVOLUZIONE

Si criticano spesso, e a torto, Leone XIII e Pio XI come “Papi liberali”. Un aspetto ben conosciuto di Leone XIII è la sua lotta alla massoneria (cui ha dedicato diverse Encicliche, più di ogni altro Papa) e un altro molto meno conosciuto è lo smascheramento della sua origine: il giudaismo talmudico.

 

 

La lotta controrivoluzionaria di Leone XIII

Dal 1878 al 1903 La Civiltà Cattolica, su ordine di Leone XIII, studiò la causa dei mali che avevano portato alla “breccia di Porta Pia”. L’organo dei Gesuiti, riprendendo l’insegnamento tradizionale della teologia cattolica sulla pericolosità individuale e sociale dell’ebraismo talmudico e sulla necessità di una legislazione speciale per tenerlo a freno, notava che, dopo l’ abrogazione delle leggi discriminatorie iniziatasi con la rivoluzione francese, la sua pericolosità era diventata una minaccia vivente per tutta l’Europa. La parificazione dei diritti aveva portato alla preponderanza giudaica e questa aveva suscitato reazioni antisemite.

La soluzione del problema ebraico consisteva – per Leone XIII e La Civiltà Cattolica – o nella conversione del falso Israele post-biblico al cristianesimo o nella “segregazione amichevole e non odiosa degli ebrei” nei ghetti. Per il Papa le leggi di eccezione non significavano persecuzione, ma erano legittima difesa dei cristiani e nello stesso tempo protezione degli ebrei dall’antisemitismo esagerato e violento (R. Taradel - B. Raggi, La segregazione amichevole. «La Civiltà Cattolica» e la questione ebraica, 1850-1945, Editori Riuniti, Roma, 2000, pagg. 124-155).

Attorno al 1880 la terminologia è ancora imprecisa. Si parla – da parte cattolica – indifferentemente di popolo (moltitudine), stirpe (radice, tronco, famiglia), nazione (da nascere), schiatta (impronta, carattere, tempra) e razza (radice, origine, principio, genere o natura).

I padri Oreglia, Rondina e Ballerini de La Civiltà Cattolica utilizzano questi termini, a proposito del giudaismo, per indicare il miscuglio di Talmud e Cabala che produce la cultura nazionale ebraica anticristiana, che ritiene la razza israelitica superiore e padrona del mondo. L’ebraismo non è descritto – dal cattolicismo – come un fatto razziale e biologico, ma come una filosofia che produce una cultura nazionale iper-razzista.

Secondo Leone XIII, il genere umano si divide (misticamente o spiritualmente) in due campi opposti e nemici: “Sin dal momento del peccato d’Adamo …, il mondo si è diviso in due campi nemici, i quali non cessano di combattersi, l’uno per la verità e la virtù, l’altro per i loro contrari” (Humanum Genus, 1884). Il Papa spiega che il primo campo è la Chiesa, mentre il secondo è “il regno di satana, nel quale si trovano tutti coloro che seguono gli esempi del diavolo e dei nostri progenitori” (Ivi).

 

Una opposizione rivelata e tradizionale

Tale opposizione è classica (non è manichea, dacché il male non è concepito assoluto o infinito, ma è una deficienza finita e limitata di bene) e fa parte della tradizione cattolica anzi della Rivelazione. Già nel IV-V secolo (esattamente 354-430) sant’Agostino (La Città di Dio, XIV, 28) – citato da Leone XIII – parlava di “due amori, che hanno dato luogo a due città: quella terrena che nasce dall’amor di sé spinto sino all’odio di Dio, e quella celeste che nasce dal disprezzo di sé sino all’amor di Dio”.

San Tommaso d’Aquino, nella Somma Teologica, spiega che “chi governa deve condurre i suoi sudditi al proprio fine. Ora il fine del diavolo è quello d’allontanare la creatura da Dio…, [fine] presentato sotto forma di libertà” (S.Th., III, q. 8, a. 7). Sempre secondo l’Aquinate, come i buoni formano il corpo mistico della Chiesa sotto il comando di Gesù, così i malvagi formano una sorta di corpo mistico dell’inferno sotto l’impero di satana. Tuttavia non vi è una somiglianza perfetta tra queste due realtà, ma solo un’analogia perché, mentre Cristo influisce direttamente sull’intelletto e la volontà dell’uomo, il diavolo non può agire direttamente su queste facoltà spirituali e perciò governa i suoi solo estrinsecamente o dall’esterno, tentandoli e portandoli al peccato sotto apparenza di libertà (S.Th., art. cit.).

Nell’articolo 8 della stessa parte e questione della Somma Teologica l’Angelico specifica che “l’anticristo può essere chiamato il capo dei malvagi, a causa della pienezza della sua malvagità, poiché sarà più di tutti sotto l’influenza del diavolo e toccherà l’apice della malizia e della rivolta contro Dio”. L’anticristo, per San Tommaso, che segue l’opinione comune dei Padri della Chiesa, così come poi per i Dottori ecclesiastici, è una persona fisica e non un’epoca o un’istituzione, come ritengono alcuni esegeti modernizzanti o liberali, i quali si discostano così dalla Tradizione divina e divino- apostolica della Chiesa ricalcando le orme del rabbinismo talmudico (che si è allontanato dalla Chiesa di Dio nell’ Antico e poi anche nel Nuovo Testamento) per il quale il Messia non è una persona, ma un’idea o una realtà morale. 

Molto prima di San Tommaso e di sant’Agostino i primi Padri apostolici avevano insegnato la stessa dottrina. La Didachè (90 d. C.) parla di ‘due vie’, l’Epistola di Barnaba (98 d. C.) della ‘via della luce e di quella delle tenebre, degli angeli e di satana’; seguono Sant’Ippolito nel III secolo (Sull’Anticristo, VI) e nel VI secolo San Gregorio Magno (Moralia, XXXIV, 4).

In realtà si deve risalire al Nuovo Testamento: nel Vangelo Gesù ci parla di “due padroni: o Dio o Mammona” (Mt., VI, 24) e delle “porte dell’inferno” che avrebbero lottato contro la “Chiesa fondata su Pietro” (Mt. XVI, 18); “la luce e le tenebre” le incontriamo quasi ovunque nel Vangelo di Giovanni; San Paolo oppone “Cristo a Belial”, il “tempio di Dio e quello degli idoli” (2a Cor., VI, 14-18) ecc.

Tale opposizione la si trova già all’inizio dell’Antico Testamento. Nella Genesi (III, 15) Dio rivela di aver posto “delle inimicizie” tra il serpente e la Madre di Gesù Cristo, tra la razza del diavolo e quella di Cristo. Essa schiaccerà il capo del diavolo che, a sua volta, tenterà di morsicare il suo tallone. L’ultimo libro della Bibbia, l’Apocalisse, (riprendendo e ultimando il ‘proto-vangelo’ della Genesi) narra la lotta tra Dio e il maligno, i buoni e i malvagi, dall’inizio del mondo sino alla sua fine e dà un messaggio di speranza (come insegnano unanimemente i Padri della Chiesa): in mezzo alle persecuzioni non bisogna mai scoraggiarsi perché Dio alla fine vince col bene il male, Cristo vince l’ Anticristo.

Molto bello è il commento che di questa dottrina fanno Sant’Ignazio da Loyola nella contemplazione dei “Due stendardi” nei suoi ‘Esercizi spirituali’, San Louis-Marie Grignion de Montfort (Trattato della vera devozione alla Vergine Maria, § 51, ss.) e Pio IX nella definizione del Dogma dell’Immacolata Concezione (Ineffabilis Deus, 1854).

 

Il merito di Leone XIII

È merito di Leone XIII di aver messo in guardia contro i due ‘motori estrinseci della Rivoluzione.  Parlare, infatti, solo di Massoneria senza nominare neppure una sola volta il padre di essa, che è il Giudaismo talmudico[1], significa – come minimo – voler guarire una malattia fermandosi ai sintomi senza risalire alle cause. Infatti senza padre non c’è figlio e senza la “Contro-chiesa madre” (Giudaismo talmudico) la sola “Contro-chiesa figlia” (Massoneria) non sarebbe riuscita a rovinare l’uomo sino alla sua attuale degenerazione post-sessantottina, che lo ha reso una “bestia selvaggia”.

La Rivoluzione è un blocco monolitico, che tuttavia ha varie ramificazioni, le quali possono essere in un certo disaccordo tra di loro, ma hanno il medesimo movente: l’odio contro il vero e il bene. I principali agenti di essa sono:

1°) il Giudaismo talmudico o “Sinagoga di satana” (Apoc., II, 9), che ha rinnegato la missione conferita da Dio a Israele, nell’Antico Testamento, di preparare la via al Messia Gesù Cristo e di farlo conoscere a tutte le Nazioni perché ha rifiutato il Messia stesso e “lo ha confitto in Croce” (Pio XI, Enciclica Mit brennender Sorge, 14 marzo 1937) ed ha poi aizzato un certo paganesimo contro la Chiesa nascente;

2°) la Massoneria, che è una sorta di “terz’Ordine goj del Giudaismo”[2], ossia la cloaca massima che raccoglie tutte le sette segrete, le quali combattono la Chiesa e la giusta Autorità politica per poter diffondere la Sovversione in tutto il  mondo ed abbattere ogni ordine naturale e soprannaturale, impedendo qualsiasi Restaurazione (Leone XIII, Enciclica Humanum genus, 20 aprile 1884).   

 

La lotta controrivoluzionaria di Pio XI

Verso il 1938, sotto il pontificato di Pio XI, di fronte alle leggi razziali nazionalsocialiste La Civiltà Cattolica, con padre Messineo e Barbera, dovette precisare i termini: l’ ebraismo è una religione razzista, ma è preferibile parlare di nazione ebraica piuttosto che di razza, per prendere le dovute distanze dal razzismo biologico e materialista. Per padre Messineo è di nazione ebraica chi ha famiglia ebraica, è legato alla comunità nazionale israelitica e alla sua cultura razzista-talmudica.

Nazione ebraica è un concetto che include cultura e civiltà talmudiche; le nazioni di cultura e civiltà cristiane possono lecitamente difendersi contro il razzismo-talmudico giudaico che lede la loro unità culturale civile e religiosa sia ab extrinseco sia ab intrinseco, e che come una nazione giudaico-talmudica dentro una nazione cristiana, non solo non vuole integrarsi, ma pretende anche di imporre il proprio predominio, corrompendo la civiltà, la cultura e la fede delle nazioni cristiane.

Dati i tempi in cui si trovò a pontificare, Pio XI, pur denunciando, sulla linea di Leone XIII, il pericolo della preponderanza giudaica, condannò il razzismo materialista del nazionalsocialismo. Il Papa intervenne personalmente il 21 luglio 1938 nel corso di un’udienza concessa a 150 assistenti ecclesiastici di Azione cattolica per precisare: «cattolico vuol dire universale, non razzistico, iper-nazionalistico, separatistico; c’è qualche cosa di particolarmente detestabile in questo spirito di separatismo, di nazionalismo esagerato, che, appunto perché non cristiano, non religioso, finisce col non essere neppure umano» (Civiltà Cattolica, 1938, vol. III, pag. 271).

Il 28 luglio il Papa affrontò nuovamente la questione durante un discorso pronunciato agli alunni del collegio Propaganda Fide: «con l’universalità c’è l’essenza della Chiesa cattolica; ma con questa universalità stanno bene assieme, bene intese e al loro posto, l’idea di razza, di stirpe, di nazione e di nazionalità [...]. Non occorre essere troppo esigenti: come si dice genere si può dire razza, e si deve dire che gli uomini sono innanzi tutto un solo e grande genere, una grande famiglia [...]. In tal modo il genere umano è una sola, universale, cattolica razza. Né può tuttavia negarsi che in questa razza universale non vi sia luogo per le razze speciali [...]. Ecco cos’è per la Chiesa il vero, il proprio, il sano razzismo: tutti ad un modo, tutti oggetto dello stesso materno affetto, tutti chiamati [...] ad essere nel proprio paese, nelle particolari nazionalità di ognuno, nella sua particolare razza, i propagatori di questa idea così grande e magnificamente materna, umana, anche prima che cristiana» (Osservatore Romano, 29 luglio 1938).

Si noti che Pio XI ha ripreso il concetto di razza, ma lo ha precisato nella sua dimensione spirituale: razza non è solo materia, “sangue e suolo”, biologia, ma è genus - gens - stirpis o nazione, come aveva già accennato padre Messineo dalla Civiltà Cattolica.

Tuttavia, dati i tempi,  il concetto di “sola razza” fu lasciato cadere e gli si preferì quello di nazione; ed ogni volta che si fosse usato il concetto di razza si sarebbe dovuto specificare che non era inteso materialisticamente e biologicamente, bensì spiritualmente come un insieme di civiltà, cultura e religione che formano – assieme – una nazione.

 

Francia: ingiuste critiche a Leone XIII e Pio XI

Leone XIII e Pio XI furono (e da alcuni sono tuttora) accusati di “liberalismo” particolarmente in Francia, il primo a motivo del ralliement e il secondo per la condanna dell’ Action Française. Particolarmente interessante è, perciò, il libro di due autori francesi, Yves Chiron e Èmile Poulat, Pourquoi Pie XI a-t-il condamné l’Action Française? (Niherne, Èditions BCM, 2009), in cui essi dimostrano che la condanna di Pio XI fu essenzialmente religiosa e non diplomatica, in quanto il Papa non poteva tollerare la secolarizzazione della politica e aveva il dovere di ribadire che la morale sociale è oggetto della dottrina cattolica.

Infatti molti autori hanno sostenuto che Leone XIII e Pio XI per un eccessivo amore – di sapore catto/liberale – per la diplomazia hanno sacrificato i princìpi dottrinali filo-monarchici ed hanno il primo rallié la Chiesa alla repubblica e il secondo condannato l’Action Française, condanna interpretata erroneamente come condanna della forma di governo monarchica.

Yves Chiron cita a pagina 8 del libro succitato l’abbé V. A. Berto (Une opinion sur l’Action Française, in “Itineraires”, aprile, 1986, p. 77-92; rist. Niherne, Edizioni BCM, 2009), il quale aveva già sostenuto che la condanna era stata apportata “per motivi direttamente e specificatamente religiosi” e sempre l’abbé Berto commentava che “Pio XI giudicava inaccettabile una riduzione della filosofia politica a mera empiriologia con rapporti solamente estrinseci con la fede, la teologia, la morale cattolica e in piena autonomia intrinseca” (p. 8 e 9).

Lo Chiron, a sua volta, fa notare che religione e politica (non partitica o azione diplomatica nazionale/internazionale) non sono separabili secondo la dottrina cattolica, la quale in ciò si distingue nettamente dal liberalismo, che propugna la piena separazione tra Chiesa e Stato (“libera Chiesa in libero Stato”), religione e politica. La dottrina maurrassiana, invece, paradossalmente, pecca di un certo naturalismo o liberalismo sociale e politico, pur essendo monarchica, antidemocratica e autoritaria. Di fronte a questa tendenza soprattutto di Maurras, poiché l’élite cattolica dell’Action Française, nata attorno al 1890, era stata falciata dalla prima grande guerra del ‘14-‘18, il Papa nel 1926 volle “unificare l’azione sociale dei laici cattolici francesi, sotto la direzione dottrinale dell’episcopato” (p. 13), per evitare una deriva naturalista e liberale, ossia di separazione tra temporale e spirituale, della morale sociale.

 

La condanna in potenza di San Pio X

Émile Poulat, dal canto suo, spiega che l’Action Française era nata a partire dall’affaire Dreyfus (1894) e fu animata nel dopo guerra soprattutto da Maurras (p. 15), che era agnostico se non ateo.

L’Autore fa un’osservazione interessante (p. 16) sull’ approvazione del Sillon di Marc Sangnier da parte di S. Pio X nel 1903, che lo definì “figlio amato”, e quella di Maurras nel 1913, definito da papa Sarto “difensore della fede”/ e la successiva critica (p. 23) nel 1910 del Sillon di Sangnier sempre da parte di Pio X, il quale nella lettera Notre charge Apostolique chiese di sciogliere il Sillon, che nel frattempo era scivolato verso una forma aperta di modernismo sociale, e di farlo confluire nell’ Azione Cattolica francese, sotto la direzione dell’ episcopato di Francia. Infine ricorda la decisione di Pio X, nel 1914, di non condannare in atto l’Action Française pur condannabile in potenza (“damnabilis, sed non damnanda”) e il passaggio dalla potenza all’atto nel 1926, da parte di Pio XI, il quale però, a differenza di Pio X con il Sangnier, non chiese a Maurras di sciogliere la Lega dell’Action Française, ma soltanto mise all’Indice (riprendendo il dossier del 1914 di S. Pio X) sette opere di Maurras, la sua rivista e proibì ai cattolici di leggere il quotidiano L’Action Française. Là nacque il dramma, secondo il Poulat, dacché i fedeli cattolici e maurrassiani, che si ostinarono a leggere il “quotidiano proibito”, furono trattati come peccatori pubblici, privati dei sacramenti e della sepoltura ecclesiastica (p. 24), data la loro pubblica rivolta contro il Papa e la Chiesa.

Poulat spiega che né Pio X nel 1914 (quando firmò il Decreto del S. Uffizio sull’Action Française, ma non volle promulgarlo subito, essendo la Francia in guerra contro la Germania), né tanto meno Pio XI nel 1926 “pensarono di chiedere a Maurras di sciogliere la Lega dell’Action Française che, a differenza del Sillon, non dipendeva direttamente dall’ episcopato francese” (p. 40). Se ai ‘sillonisti’ Pio X aveva chiesto di sottomettersi ai vescovi e diventare un ramo dell’Azione Cattolica di Francia, ai cattolici discepoli di Maurras Pio XI chiese soltanto di rinunciare a leggere il quotidiano de l’Action Française (p. 41).

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[1] Tale paternità è sostenuta tra gli altri anche da autori ebrei convertiti e non convertiti come Bernard Lazare (L’ Antisemitismo sua storia e sue cause, tr. it., Verrua Savoia, CLS, 1999, p. 165): «è certo […] che vi furono degli Ebrei alla culla della Massoneria, degli Ebrei cabalisti». Lo stesso afferma Joseph Lémann: «è incontestabile che nel Giudaismo vi sia una predisposizione alla Massoneria» (L’entrée des Israelites dans la Societé française, Parigi, Avalon, 1886, p. 234).

[2] Cfr. Elia Benamozegh, Israele e l’umanità, Torino, Marietti, 1990, pp. 198-213. Cfr. Giovanni Miccoli, Santa Sede, questione ebraica e antisemitismo, in “Storia d’Italia”, Annali vol. 11/bis, Gli Ebrei in Italia, Torino, Einaudi, 1997, pp. 1388-1550.