NUOVO RITO DEL SACRAMENTO DELL’0RDINE ILLECITO O NON PERFETTO?

Prologo

Come abbiamo visto nel numero scorso un Rito liturgico può essere 1°) invalido, ossia nullo; 2°) illecito, perché viola una norma religiosa o morale o giuridica[1]; 3°) più o meno perfetto,  vale a dire solo sufficientemente buono, non cattivo in sé ma neppure il migliore possibile.

 

In questo articolo ci chiediamo se il rito dell’Ordine Sacro (Diaconato, Sacerdozio ed Episcopato) promulgato da papa Paolo VI il 18 giugno del 1968 nel nuovo “Pontificale Romano” (avendo riscontrato la sua validità oggettiva, secondo la nostra opinione che non vogliamo proporre come infallibilmente certa né obbligante per nessuno) sia illecito, perfetto oppure soltanto sufficientemente buono.

 

La “Sacramentum Ordinis” di Pio XII

Pietro Palazzini nel Dictionarium morale et canonicum (Roma, Officium Libri Catholici, 1965, II vol., p. 270 e 271, voce “Episcopi/ Episcopatus”) scrive: «La forma del Sacramento dell’Episcopato consiste nella invocazione dello Spirito Santo. Ciò lo si prova con le citazioni della S. Scrittura. […]. Lo stesso insegnano la Tradizione apostolica (lib. VIII, capp. 4-5) e Dionigi l’Areopagita (De ecclesiastica hierarchia, cap. 5). […]. Inoltre [vale a dire oltre alla Scrittura e alla Tradizione e non “contrariamente” alla Scrittura e Tradizione] la Costituzione apostolica Sacramentum Ordinis di Pio XII (30 novembre 1947) specifica e insegna: “nella consacrazione del Vescovo la forma latina consta delle parole del Prefazio, delle quali sono essenziali per la validità: “Comple in sacerdote tuo ministerii tui summam/porta a perfezione nel tuo sacerdote [ordinando Vescovo] la pienezza del ministero [ossia del sacerdozio]”. Tuttavia, quanto alla forma, per la liceità del Sacramento il Vescovo consacratore deve dire sul Vescovo consacrando anche la frase: “accipe Spiritum Sanctum”». Dunque non tutto il Prefazio è forma essenziale della Ordinazione, ma essa si deve riporre nella frase più espressiva del significato del rito, scelta da Pio XII appositamente per il Diaconato, il Sacerdozio e l’Episcopato[2].

Paolo VI il 18 giugno del 1968 ha promulgato una nuova versione del Pontificale Romano che per il Vescovo recita: «Effondi sopra questo eletto la potenza che viene da Te, o Padre, il tuo Spirito che regge e guida». Questa forma riprende in parte i riti orientali.

 

I riti orientali

Padre Alfonso Raes, professore di Liturgia al Pontificio Istituto Orientale di Roma, insegna che i riti della sacra Ordinazione nella Liturgia orientale sono molteplici ed accidentalmente diversi[3].

Già nel II secolo, spiega padre Raes, si trovano dei Sussidi o Formulari liturgici (detti anche ‘eucologici’ dal greco “euché/preghiera”) per i celebranti. F. Cabrol e H. Leclercq li hanno raccolti nell’opera Monumenta Ecclesiae liturgica (2 voll., Parigi, 1901-1902, 1913).

Mons. Antonio Piolanti, I Sacramenti (Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 1a ed., 1956; Città del Vaticano, LEV, 2a ed., 1990, p. 49) riprende  le forme della Consacrazione dei Vescovi riportate dalla Traditio apostolica di S. Ippolito (III secolo) e altre forme di rito orientale.

Per i Vescovi: «Da, o Padre, a questo tuo servo che hai eletto all’episcopato di pascere il tuo santo gregge e di avere la potestà del primato del Sacerdozio nello Spirito» (S. Ippolito).

La liturgia greca per i Vescovi recita: «Signore, fortifica con la venuta la virtù e la grazia del tuo Santo Spirito questo eletto…».

Naturalmente la forma latina è quella precisata dogmaticamente da Pio XII nella Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis (30 novembre 1947), sopra riportata. Ciò non vuol dire, però, che le forme di rito orientale, anch’esse di Tradizione apostolica, nelle quali si invoca soltanto lo Spirito Santo, siano invalide. Infatti “materia e forma  dell’Ordine è sempre stata l’imposizione delle mani [unita a una preghiera ovvero] con l’invocazione dello Spirito Santo; ciò che nei tempi antichi si faceva con molta semplicità e brevità. In seguito la Chiesa ampliò molto il rito […] trasformò l’invocazione dello Spirito Santo in un solenne Prefazio consacratorio”[4] onde la Costituzione di Pio XII “riconduce la teologia e la prassi liturgica alle sue origini”[5].

Perciò Paolo VI, per aver ripreso la nuova forma dai riti orientali non ha invalidato il Sacramento della consacrazione episcopale (per il Sacerdozio e il diaconato rimando a quanto già scritto nei numeri precedenti).

 

Il rito sacramentale dell’ Ordine di Paolo VI è illecito?

Resta, però, da chiarire se il Sacramento dell’Ordine sacro promulgato da papa Montini, con i riti che lo circondano, sia non opportuno, non il migliore possibile, in breve sufficientemente buono, ma non ottimo.

Anche qui per rispondere a tale quesito occorre mettere da parte i pregiudizi che ci hanno animato riguardo alla invalidità dei nuovi Sacramenti di Paolo VI, data per scontata. Infatti si è concluso, in maniera generica, che ogni cambiamento apportato dopo il Concilio ai riti sacramentali, visti gli errori oggettivi riscontrati nei Documenti del Concilio Vaticano II[6], era conseguentemente ed immancabilmente dubbio e quindi nullo, dato il tuziorismo che deve reggere la teologia sacramentaria: “sacramento dubbio, sacramento nullo” e dunque da reiterare almeno sub conditione.

 

IL RITO DELL’ORDINE DEL 1968 IN SÉ CONSIDERATO

L’Ordine in generale

Paolo VI nella Costituzione Apostolica Pontificalis Romani del 18 giugno 1968[7] scrive, riguardo al Sacramento dell’Ordine in genere, che «tra i riti di Ordinazione vi sono quelli che mediante il conferimento del Sacramento dell’Ordine costituiscono la sacra Gerarchia: il Ministero ecclesiastico di Istituzione divina viene esercitato in diversi gradi e Ordini da coloro che son chiamati Vescovi, Presbiteri o Sacerdoti e Diaconi». Quindi egli ribadisce che la Gerarchia e l’Ordine sacro sono d’Istituzione divina (e dunque non possono venir meno nella Chiesa nel corso della sua storia, “tutti i giorni sino alla fine del mondoMt., XVIII, 20). Infatti la Chiesa è per volontà divina una Società gerarchica e la Gerarchia può essere intesa 1°)soggettivamente”, ossia come la serie delle persone che rivestono i diversi gradi del potere d’Ordine/ Giurisdizione fissati e istituiti da Cristo (i singoli Diaconi, i singoli Sacerdoti e i singoli Vescovi); 2°)oggettivamente”, ossia come i diversi gradi del potere d’Ordine e di Giurisdizione (il Diaconato, il Sacerdozio, l’Episcopato e il Sommo Pontificato quanto alla giurisdizione). La Gerarchia è finalizzata da Dio a condurre i fedeli al Cielo col santificarli (potere d’Ordine o Sacerdotium), col governarli (potere di Giurisdizione o Imperium) e coll’ ammaestrarli (potere di Magistero o Magisterium)[8].

 

L’Episcopato

Inoltre papa Montini insegna, in specie, che «con l’Ordinazione episcopale viene conferita la pienezza del Sacerdozio o del Sacramento dell’Ordine, come hanno insegnato la Tradizione liturgica ecclesiastica e quella dei Padri, che la chiamano anche “Sommo Sacerdozio”. […]. Ciò avviene mediante l’Imposizione delle mani  e le parole della forma di Ordinazione, le quali conferiscono il sacro Carattere e la pienezza dello Spirito Santo».

Il Carattere dell’Ordine sacro è un segno o sigillo spirituale indelebile impresso nell’anima, che rende atto colui che ne è segnato a compiere il Culto cristiano e specialmente il S. Sacrificio della Messa, essendo l’Eucarestia come Messa e come Sacramento il fine di tutti gli altri Sacramenti[9].

Poi papa Montini cita come fonti del Sacramento dell’Ordine la Traditio apostolica romana di S. Ippolito dell’inizio del III secolo, la quale si ritrova anche nella Liturgia dell’ Ordinazione dei Copti (orientali) e dei Siro/occidentali.

 

Il Sacerdozio

 Per quanto riguarda il Presbiterato o Sacerdozio Paolo VI insegna che «i Presbiteri non possiedono l’apice del Sacerdozio, ma in virtù del Sacramento dell’Ordine sono resi conformi a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, e sono ordinati a celebrare il Culto divino, quali veri Sacerdoti del Nuovo Testamento. […].

 

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[1] Cfr. Concilio di Costanza (DB, 626), Concilio di Trento (DB, 856 e 954) e Pio VI Costituzione Auctorem fidei, 28 agosto 1794, sugli Errori del Sinodo giansenista di Pistoia (DB, 1580-1592).

[2] Cfr. A. Piolanti, I Sacramenti, Roma, Coletti, 1959, p. 256.

[3] Cfr. Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1952, vol. IX, coll. 236-237, voce “Ordine. I Riti liturgici”.

[4] Cfr. A. Piolanti, I Sacramenti, Roma, Coletti, 1959, p. 267.

[5] A. Piolanti, Dizionario di Teologia dogmatica, ed. Studium, voce Ordine.

[6] Cfr. B. Gherardini, Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2009; Id., Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id.,Concilio Vaticano II. Il discorso mancato, Torino, Lindau, 2011; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011; Id., La Cattolica. Lineamenti d’ecclesiologia agostiniana, Torino, Lindau, 2011.

[7] Pontificale Romanum, Typis Polyglottis Vaticanis, Città del Vaticano, ed. II, 1990.

[8] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 39, a. 3; L. Billot, De Ecclesia Christi, Roma, Gregoriana, 1927, vol. I, tesi 15-24; A. Ottaviani, Institutiones Juris Publici Ecclesiastici, Roma, Typis Polyglottis Vaticanis, 1936, vol. I; P. Palazzini, Vita sacramentale, Roma, Paoline, 1976, parte, II sezione II, vol. III, p. 45.

[9] Cfr. S. Tommaso d’Aquino, S. Th., III, q. 63 ; Conc. Tridentino DB, 852; A. Piolanti, De Sacramentis, Roma-Torino, Marietti, 1941, vol. II, pp. 96-114; Id. I Sacramenti, Firenze, LEF, 1956; P. Palazzini, Vita sacramentale, Roma, Paoline, 1976, II parte, sezione II, vol. III, p. 50.