SAN FRANCESCO D’ASSISI & L’AUTORITÀ ECCLESIASTICA

È opportuno riflettere su quel che scriveva San Francesco d’Assisi a proposito dell’autorità ecclesiastica: «Noi [francescani] siamo stati inviati in aiuto al clero per la salvezza della anime. E se loro hanno delle lacune, tocca a noi supplirvi. Miei fratelli, la cosa più gradita a Dio è la conquista delle anime, e noi possiamo più agevolmente conseguire questo fine vivendo in pace col clero, anziché in discordia. Se poi il clero osa impedire la salvezza dei Popoli, spetta a Dio vendicarsi, sarà Lui a ripagarlo come merita, al momento opportuno. Siate perciò sottomessi ai prelati. […]. Ricoprite[1] quindi i loro sbagli, supplite alle loro deficienze» (“Specchio di Perfezione”, cap. 54, in “Fonti Francescane”, n. 1753, Padova, Edizioni Messaggero di Padova, 1977, p. 1356).

Ora la conciliare “Libertà religiosa” (v. Dignitatis humanae, 7 dicembre 1965), avendo stabilito la separazione tra Stato e Chiesa, non aiuta ed addirittura impedisce la salvezza delle Nazioni, dei Popoli e degli Stati, come se l’uomo non fosse “per natura un animale socievole” (Aristotele e San Tommaso) e quindi la Società civile, che ha in Dio il suo Autore  ed è un insieme di più individui, non dovesse più dare a Dio il culto che gli spetta; il che ripugna alla retta ragione.

Certamente il Liberalismo e il Laicismo hanno contribuito a diffondere questa mentalità separazionista tra potere spirituale e temporale[2], che impedisce la evangelizzazione e cristianizzazione dei Popoli, i quali oramai sono tutti “neutri” o “laicisti” in materia religiosa anche per volontà del “clero” neomodernista e cattolico-liberale, che, dopo il Concilio, ha voluto l’eliminazione dei pochi residui Stati cattolici, inclusa l’Italia, mediante la revisione dei rispettivi Concordati.

Ma San Francesco ammonisce: “Dio stesso si vendicherà e lo ripagherà [il clero] al momento opportuno. […]. Voi ricoprite i loro sbagli, supplite alle loro deficienze[3]. Attenzione! Dio stesso li castigherà, non noi, che dobbiamo supplire alle loro deficienze e sbagli.

Ecco la differenza tra San Francesco, i ‘settari-zeloti’ ed i ‘baciapile-farisei’, che hanno preteso nel corso dei secoli, i primi di riformare la Chiesa negando la sua Gerarchia divinamente istituita facendosi giustizia da sé, i secondi che si debba seguire la Gerarchia anche quando si allontana dal retto cammino, senza curarsi di supplire alle sue deficienze e sbagli che, anche per San Francesco, sono sempre possibili.

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Il clero e la Gerarchia possono eccezionalmente errare.

S. Pietro ad Antiochia si comportò in maniera riprovevole (è divinamente rivelato). Il Concilio di Gerusalemme, infatti, aveva decretato per bocca di Pietro l’esenzione dei pagani convertiti dalle prescrizioni giudaiche circa la purità dei cibi, la lavanda delle mani, la circoncisione ecc. San Pietro, giunto ad Antiochia, partecipò ai pasti, privati o comuni, dei cristiani ex-pagani finché non giunsero da Gerusalemme alcuni cristiani provenienti dal giudaismo che se ne scandalizzarono altamente così che Pietro si ritrasse dal frequentare i cristiani ex-pagani “temendo quelli della circoncisione” e trascinò con sé persino Barnaba. Pietro e gli altri che lo imitarono erano ben convinti che le prescrizioni giudaiche erano abolite, ma con la loro condotta le facevano apparire ancora necessarie. San Paolo comprese che il comportamento di Pietro avrebbe favorito l’errore dei “giudaizzanti”, i quali ritenevano la Legge giudaica ancora necessaria alla salvezza.

S. Paolo, perciò, lo rimproverò, non ubbidì né si conformò farisaicamente a “ordini” o “comportamenti” non leciti, ma neppure disse settariamente, come uno zelota fanatico ed esaltato, che Pietro aveva perso la sua Autorità di Capo della Chiesa.

S. Paolo nella Epistola ai Galati (II, 11) afferma: «Ho resistito[4] in faccia a  Pietro,  poiché era reprensibile[5]»[6]. Secondo S. Agostino e S. Tommaso, S. Pietro peccò venialmente di fragilità per la troppa diligenza di non scandalizzare i cristiani di origine giudaica, provocando così lo scandalo dei pagani convertiti al Cristianesimo. E secondo la divina Rivelazione vi fu una resistenza pubblica di Paolo verso Pietro, primo Papa[7].

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S. Pietro non errò contro la Fede, come asserivano erroneamente gli anti-infallibilisti durante il Concilio Vaticano I, però con il suo modo di agire Pietro commise un peccato veniale non di proposito deliberato, ma di fragilità, cosa compatibile con le prerogative straordinarie degli Apostoli. Infatti «Se Dio permise che Pietro fosse “reprensibile” oggettivamente o materialmente, non ne segue che il peccato veniale semi-deliberato sia incompatibile con le prerogative apostoliche» (D. Th. C., vol. II, col. 1655).

Quindi Pietro peccò solo venialmente e di fragilità, ma Paolo gli resistette in faccia e pubblicamente (Epistola ai Galati, II, 11). Pietro ebbe l’umiltà di correggere il suo errore di comportamento che avrebbe potuto portare all’errore dottrinale dei Giudaizzanti, i quali ritenevano che alla salvezza non fosse sufficiente la fede in Gesù Cristo, ma erano necessarie anche le pratiche della legge mosaica (la confutazione di questo errore è il tema della Lettera ai Galati). Non si può negare la resistenza di Paolo a Pietro perché è divinamente rivelata: “Resistetti in faccia a Cefa, poiché era reprensibile […] alla presenza di tutti” (Galati, II, 11, 14)[8].

Oggi di fronte al cataclisma spirituale del Concilio Vaticano II vi sono due errori (per eccesso e difetto) da evitare. Il primo, peccando per eccesso, sostiene farisaicamente che occorre obbedire sempre  a tutto ciò che il “clero” o la Gerarchia fa e dice, anche se lo dice solo pastoralmente e non dogmaticamente[9]. Perciò S. Paolo avrebbe sbagliato a “resistere in faccia a S. Pietro”. Ma ciò è contrario alla divina Rivelazione.

Il secondo errore, peccando per difetto, asserisce in maniera settaria ed esaltata (come facevano gli zeloti) che il “clero” o la Gerarchia deve essere sempre infallibile e quindi è impensabile che sbagli e che si possa non seguirla perinde ac cadaver. Perciò il comportamento di S. Paolo per costoro sarebbe riprovevole più di quello di S. Pietro riguardo ai giudaizzanti. Ma la S. Scrittura li smentisce.

La guerra mondiale incombente sull’umanità potrebbe essere il castigo di cui la Provvidenza si servirà per trarre dal male un bene maggiore, ossia la nuova conversione dei Popoli, come Gesù aveva comandato agli Apostoli: “Andate e predicate il Vangelo a tutte le Nazioni” (Mt., XXVIII, 19), e non solo ai singoli individui[10]. Quanto agli ecclesiastici responsabili dell’odierno disastro, “Dio stesso si vendicherà e li ripagherà a tempo opportuno, mentre noi dobbiamo supplire e ricoprire i loro sbagli” (S. Francesco). Non prendiamoci per il “Padreterno”, è pericoloso.

Neppure dobbiamo scoraggiarci, ma mantenere sempre in alto i cuori: “Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!” ci ha promesso Maria SS. a Fatima nel 1917.

sì sì no no


[1] Ri-coprire significa non solo nascondere, ma anche riparare, difendere, proteggere (N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, Bologna, Zanichelli, X edizione, 1970, p. 422 e 1457; G. Campanini–G. Carboni, Vocabolario latino, Torino, Paravia, VI edizione, 1961, p. 898). Il verbo “supplire” (N. Zingarelli, Vocabolario della lingua italiana, cit., p. 1774; G. Campanini–G. Carboni, Vocabolario latino, cit., p. 683), che San Francesco usa dopo il “ricoprire”, avvalora la seconda accezione del termine “ricoprite”, ossia completate una lacuna, una mancanza, un deficienza; correggete, fronteggiate un difetto o un errore.

[2] Secondo la dottrina fondamentale del Liberalismo “la libertà è concepita come  emancipazione e indipendenza dell’ uomo dallo Stato, da Dio e dalla sua Chiesa. […]. Nella sfera sociale il Liberalismo si manifesta come Democrazia ad oltranza (popolo sovrano), come Separatismo nei rapporti tra Chiesa e Stato (libera Chiesa in libero Stato), in materia di religione e di culto come Indifferentismo, in materia economica come Astensionismo dello Stato (lasciar fare all’iniziativa privata). […]. I cattolici liberali cercarono di cristianizzare il Liberalismo, fondamentalmente avverso alla Religione rivelata, ma invano” (Pietro Parente, voce “Liberalismo”, in Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, IV ed., 1957, pp. 239-240).

[3] Il Magistero della Chiesa ha condannato costantemente, e quindi infallibilmente (v. Pio IX, Lettera Tuas libenter, 1863), il Liberalismo e il Cattolicesimo-liberale sin dal loro nascere (v. Gregorio XVI, Enciclica Mirari vos, 1832; Pio IX Enciclica Quanta cura con l’annesso Syllabus, 1864; Leone XIII, Enciclica Immortale Dei, 1885 e Libertas, 1888; Pio XI, Enciclica Quas primas, 1925; Pio XII, Discorso ai dirigenti del Movimento Universale per una Confederazione Mondiale, 6 aprile 1951; Id., Radiomessaggio al mondo intero, 24 dicembre 1944; Id., Discorso agli uomini di Azione cattolica, Nel contemplare”, 12 ottobre 1952; Id., Discorso al V Congresso Nazionale dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani, “Ci riesce, 6 dicembre 1953).

[4]Resistere’, dal latino ‘re-sistere’, restare saldo o fermo davanti a qualcosa o qualcuno che ci si oppone, senza lasciarsi abbattere. Fare uno sforzo contrario, che permette di opporsi all’ azione di qualcuno o qualcosa (N. Zingarelli, Vocabolario della Lingua italiana).

[5]Reprensibile’, dal latino ‘re-prehendere’, degno di essere rimproverato, biasimato, corretto, disapprovato, criticato, ammonito (N. Zingarelli, ivi).

[6] La frase “era reprensibile” (della Vulgata) da alcuni esegeti è tradotta […] «[perché] “messosi dalla parte del torto”. È spiegato il fallo o torto di Pietro […] fallo definito con ogni precisione già da Tertulliano come “sbaglio di comportamento non di dottrina”» (De praescriptione haereticorum, XXIII)» (G. Ricciotti,  Le Lettere di S. Paolo, Coletti, Roma, 1949, 3ª ed., pp. 227-228).

[7] È vero che secondo Tertulliano il peccato di Pietro fu uno “sbaglio di comportamento non di dottrina” (De praescr. haeret., XXIII). Tuttavia “per S. Agostino Pietro commise un peccato veniale di fragilità, preoccupandosi troppo di non dispiacere ai giudei convertiti al Cristianesimo ...” (J. Tonneau, Commentaire à la Somme Théologique, Cerf, Paris, 1971, p. 334-335, nota 51, S. Th., III, q. 103, a.4, sol. 2). Secondo S. Tommaso d’Aquino “sembra che Pietro sia colpevole di uno scandalo attivo” (Somma Teologica, III, q. 103, a.4, ad 2). Inoltre l’Angelico specifica che Pietro ha commesso un peccato veniale non di proposito deliberato ma di fragilità (cfr. Quest. disput., De Veritate, q. 24, a. 9; Quest. Disput., De malo, q. 7, a. 7, ad 8um) per un'eccessiva prudenza nel non voler contrariare i giudei convertiti al Cristianesimo. Tale opinione di S. Agostino, ripresa da S. Tommaso, è conciliabile con le prerogative straordinarie degli Apostoli. Gli autori ammettono comunemente che agli Apostoli fosse concessa la confermazione in grazia (cfr. I. Salaverri, De Ecclesia, BAC, Madrid, 1962, ed. 5ª, n. 255). “Nella comune sentenza dei Teologi, tali prerogative [straordinarie] degli Apostoli sono: la confermazione in grazia, per cui, dopo la discesa dello Spirito Santo, gli Apostoli praticamente non potevano più commettere né alcun peccato grave, né alcun peccato veniale del tutto deliberato...” (F. Carpino, Enciclopedia Cattolica, Città del Vaticano, 1948, vol. I, coll. 1687-1688).

[8] Cfr. Arnaldo Xavier Vidigal Da Silveira, Qual è l’autorità dottrinale dei documenti pontifici e conciliari?, “Cristianità”, n. 9, 1975; Id., È lecita la resistenza a decisioni dell’Autorità ecclesiastica?, “Cristianità”, n. 10, 1975; Id., Può esservi l’errore nei documenti del Magistero ecclesiastico?, “Cristianità”, n. 13, 1975.

[9] Cfr. Cardinal J. Ratzinger, Discorso alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in “Il Sabato”, n.° 31, 30 luglio-5 agosto 1988: «Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto, come semplice Concilio puramente pastorale».

[10] Cfr. Rom., XV, 9 : «Ti celebrerò tra le Nazioni pagane»; Apoc., XIV, 6 : «Un Vangelo eterno da annunziare ad ogni Nazione».