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Categoria: Anno 2013

“DIO HA DISPERSO LE OSSA DI COLORO CHE PIACCIONO AGLI UOMINI”


Attualità del problema della esteriorità

In questi ultimi tempi il modernismo teorico accompagnato da una certa sobrietà e serietà pratica (Benedetto XVI) è diventato superattivismo e sentimentalismo esteriore (Francesco I), che vuol piacere al mondo ed esibisce ai quattro venti le virtù e le qualità che sembra e millanta di possedere per ottenere l’applauso di tutti.

La pratica quotidiana del Cristianesimo si è ridotta a pauperismo, ostentazione, demagogia, spettacolarità, in breve ad uno “show”, che scivola verso la vanagloria. Tutti debbono sapere che Francesco I rifiuta l’anello d’oro, la croce d’oro, l’orologio di marca, le scarpe da cerimonia, l’appartamento apostolico tradizionale[1].

La Rivelazione divina

La Rivelazione divina, contenuta nella S. Scrittura e nella Tradizione patristica ci insegna che l’ esteriorità, l’ostentazione e la vanagloria sono un vizio e che la vera virtù consiste nel nasconderla agli uomini e nel far tutto per la gloria di Dio, ossia nel bene che si fa con “purezza d’intenzione”. “Ama nesciri e pro nihilo reputari”; Ama di non essere conosciuto e di essere reputato per un niente” (L’Imitazione di Cristo).

Citerò, perciò, alcuni versi della S. Scrittura (Antico e Nuovo Testamento) e i relativi Commenti dei Padri ecclesiastici, dei Dottori e dei Santi su di essi per dimostrare come l’attuale esteriorità, ostentazione e demagogia spirituale sia in opposizione per diametrum con lo spirito del Cattolicesimo, come il vizio lo è in rapporto alla virtù.

 

La S. Scrittura e i Dottori della Chiesa

Il Salmo LII al versetto 6 recita: “Dio ha disperso le ossa di coloro che piacciono agli uomini”.

Cosa significano esattamente queste parole del salmista? Secondo San Tommaso (Super Psalmos, Roma, 1880, Edizione Uccelli), Davide, divinamente ispirato, ha voluto correggere “coloro che desiderano piacere agli uomini come se questo fosse il loro fine ultimo. Le ‘ossa’ significano la forza o i beni materiali e corporali del vanaglorioso, che sono castigati e quasi annichilati direttamente da Dio. Possono essere intese anche come i beni spirituali o la grazia santificante, i quali sono dissolti dal peccato di vanagloria, ossia dal voler piacere agli uomini come fine. Infatti, se si piace agli uomini per edificarli e portarli a Dio, non è vanagloria”[2].

San Roberto Bellarmino commenta: «Le ‘ossa’ stanno a significare la forza fisica e spirituale. Coloro che piacciono agli uomini sono vittime del rispetto umano o timor mondano e tutta la loro cura consiste nel piacere agli uomini e nel non dispiacere loro; invece San Paolo scrive: “Se piacessi agli uomini non sarei vero servo di Cristo” (Gal., I, 10)» (Explanatio in Psalmos, Roma, Ed. Gregoriana, 1931, vol. I, p. 294).

Al contrario la S. Scrittura recita: “Et exultabunt ossa humiliata” (Salmo L, 10). Ossia «le capacità e le forze materiali, intellettuali e spirituali (“ossa”) umane, che hanno saputo accettare la realtà dei limiti della natura umana e le umiliazioni che ne seguono, saranno esaltate da Dio già su questa terra imperfettamente, tramite la grazia santificante, ed infine perfettamente  in Cielo, mediante la Visione beatifica, perché “Chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà innalzato” (Mt., XXIII, 12)» (San Tommaso d’Aquino, Super Psalmos, Parigi, Ed. Vivès, Opera omnia, 1889, tomo XVIII, p. 550).

L’Imitazione di Cristo insegna che “tutti i turbamenti dell’animo derivano dal desiderio disordinato di piacere agli uomini e dal timore smodato di dispiacere loro”.

 

La vanagloria figlia della superbia

Seconda la Teologia cattolica la vanagloria è figlia della superbia, che è il più pericoloso dei vizi spirituali (San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 162; Id., De malo, q. 8, a. 9). Essa consiste nella ricerca esagerata della stima  e delle lodi  altrui. Dalla vanagloria nasce a) la millanteria o il parlare di sé, delle proprie azioni e della propria famiglia per farsi stimare; b) l’ ostentazione quando si vuol attirare l’ attenzione su di sé con modi di fare singolari (San Tommaso d’Aquino, S. Th., II-II, q. 132, a. 1).

La vanagloria “turba la ragione umana sino al delirio” (San Giovanni Crisostomo, Sulla vanagloria, 2). La patologia della vanagloria consiste nel fatto che essa è la perversione di un atteggiamento naturale e normale. Infatti l’uomo tende naturalmente verso la gloria di Dio e verso la propria gloria subordinatamente a quella del Signore. La vanagloria, invece, inverte l’ordine, ed è contro natura, perché cerca di servirsi di Dio e della religione per la propria “vana” gloria umana (San Massimo il Confessore, Centurie sulla Carità, III, 4).

Essa immerge l’uomo in uno stato anormale di illusione e di delirio, una specie di follia spirituale, che porta a cercare la gloria del mondo e non quella di Dio (San Giovanni Climaco, La Scala, XXI, 28).

Il vanaglorioso ripone la sua speranza non nell’onnipotenza misericordiosa di Dio, ma nell’aiuto degli uomini, dai quali si aspetta attenzione, ammirazione, stima e lodi. È per questo che San Giovanni Climaco  definisce il vanaglorioso “idolatra” (La Scala, XXI, 6). Egli infatti è il “dio” di se stesso, anzi più acutamente San Macario osserva: “gli dèi del vanaglorioso sono gli uomini che tessono il suo elogio” (Omelie, XXI, 3, 2).

Il vanaglorioso può essere definito un folle spirituale poiché attribuisce alle cose di questo mondo un’importanza ed un valore che esse non hanno, avendo smarrito il senso della realtà. San Massimo il Confessore fa un esempio: “Come agli occhi dei genitori troppo passionali i loro figli deformi sono i più belli, così ad una mente disturbata spiritualmente le sue trovate ed esternazioni, anche quando sorpassano ogni limite della decenza, sembrano le più  intelligenti del mondo” (Centurie sulla Carità, III, 58).

Giustamente Gesù ci ha ammonito: “Guai a voi, quando tutti gli uomini parleranno bene delle vostre persone” (Lc., VI, 26). E il Salmista aveva già rivelato: “Dio ha disperso le ossa di coloro che piacciono agli uomini” (Sal., LII, 6).

La vanagloria rende l’animo preoccupato di ottenere l’ammirazione e le lodi che desidera disordinatamente e lo porta, così, ad un’ agitazione febbrile e parossistica o a quella che dom Chautard chiamava “l’eresia dell’azione”. Infatti, spinta dalla vanagloria, l’anima perde la sua autonomia e la vera “libertà dei figli di Dio” e diventa schiava di tutti coloro di cui ha bisogno per riempirsi di lodi ed agisce e si agita continuamente per ottenere il loro plauso.

“Dio ci ha creati liberi mentre la vanagloria ci rende schiavi di tutti per il desiderio di piacere a tutti” (San Giovanni Crisostomo, Commento a San Matteo, LXV, 5). Gesù ci ha insegnato che “la Verità ci farà liberi” (Gv., VIII, 32), mentre la menzogna o la vana gloria, che cerca la gloria ove essa non è, ci toglie ogni vera libertà e ci asservisce ad ogni moda umana, ad ogni capriccio degli uomini e ci separa da Dio, che solo può darci la vera pace dell’ animo e la vera libertà dall’ errore e dal peccato. Non è esagerato, perciò, il paragonare la vanagloria alla follia, poiché questo vizio ci ottenebra la retta ragione, ci fa scambiare il fine per il mezzo, Dio per la creatura e ci fa credere di possedere ogni tipo di qualità, staccandoci dalla realtà.

L’Imitazione di Cristo insegna che non siamo buoni se gli uomini dicono che lo siamo, né diventiamo cattivi se gli uomini ci reputano tali. Come si vede, la sana spiritualità è totalmente in contrapposizione con la vana gloria. “Quando fai l’ elemosina non far suonare la tromba come fanno i farisei. La tua mano destra non sappia ciò che fa la sinistra” (Mt., VI, 3); “Quando preghi il Padre, rinchiuditi nella tua stanza e non voler essere visto da nessuno” (Mt., VI, 6) insegna Gesù.

* * *

Se la vana gloria è la ricerca delle lodi umane, il cristiano che vuol essere veramente tale deve vincerla riconoscendo la vacuità o vanità della ‘gloria’ che viene dagli uomini (San Giovanni Crisostomo, Commento al Salmo IV, 6). In secondo luogo il cristiano deve controllare la lingua e l’azione, ossia non deve parlare ed agire con lo scopo di farsi apprezzare e di attirare la simpatia del mondo, che è nemico di Dio (San Giovanni Climaco, La Scala, IV, 91).

In terzo luogo il cristiano deve accettare le umiliazioni che ci vengono dal mondo, perché solo da esse nasce la vera umiltà che è diametralmente opposta alla vana gloria (San Giovanni Climaco, La Scala, XXXI, 39). Nella Vita dei Padri del deserto (lib. V, libell. 15, n. 17. ML 73-957)  si legge che il monaco Zaccaria, per mostrare ai novizi cosa occorre fare per acquistare la vera umiltà, prese la sua cocolla, se la pose sotto ai piedi, la calpestò e poi disse: “Chi accetta di essere trattato come è trattato questo panno, quegli è vero umile”.

Il Vangelo ci insegna: “Sarete Beati, quando gli uomini vi odieranno” (Lc., VI, 22). E Gesù dice: “Quello che hanno fatto a Me lo faranno anche a voi” (Gv., XV, 20). Ora Gesù è stato perseguitato, calunniato, odiato e messo in Croce. Quindi il vero cristiano dovrà avere una vita simile alla Sua; se invece è applaudito dal mondo significa che non è di Cristo. Infatti San Paolo rivela: “Tutti coloro che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo, saranno perseguitati” (2 Tim., III, 12). Sant’Alfonso de Liguori scrive: “I santi non si son santificati con gli applausi e gli onori del mondo, ma con le ingiurie e i disprezzi” (La vera sposa di Gesù Cristo, cioè la monaca santa, Roma, Editrice Redentoristi, 1934, Tomo, I, p. 423). Perciò «San Bernardo di Chiaravalle, parlando di un certo monaco che era stimato per santo, disse: “Sarà forse pure santo, ma gli manca il meglio, che è l’essere reputato per cattivo”» (citato in S. Alfonso, La vera sposa di Gesù Cristo, cioè la monaca santa, Roma, Editrice Redentoristi, 1934, Tomo, I, p. 426).

San Giuseppe Calasanzio, a sua volta, diceva: “il vero cristiano disprezza il mondo e gode di essere disprezzato dal mondo” (Talenti, Vita del Beato Calasanzio, lib. VII, cap. 9, III, 20)

Infine il vero cristiano deve essere assolutamente convinto che coloro i quali cercano la gloria quaggiù non la godranno lassù (San Giovanni Climaco, La Scala, Ricapitolazione, 35).

I Santi hanno cercato solo e sempre di somigliare a Gesù e non di piacere alle folle. Un giorno Gesù apparve a San Giovanni della Croce e gli chiese: “Cosa vuoi che Io faccia per te?” e il Santo rispose: “Pati et contemni pro Te, Domine”; “Patire ed essere disprezzato per Te, o Signore” (Marco da San Francesco, Vita di Giovanni della Croce, lib. 3, cap. 1, n. 10).

 

Il delirio di massa

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[1] Inoltre Francesco I ha proclamato a più riprese la “dottrina”, sempre più accentuata, della Collegialità episcopale, dell’ecumenismo specialmente con l’Ebraismo ma anche con l’Islam, del dialogo con la Modernità e persino con i non-credenti, ha elogiato come grande teologo il card. Kasper che è un ultra-modernista, ha ridimensionato esplicitamente la figura del Papa dicendo che “il centro è Cristo e il Papa non è essenziale”. Gesù, però, è asceso al Cielo e ci ha lasciato Pietro e i Papi come suoi vicari in terra. Il fedele ha bisogno di una Gerarchia visibile fondata – per volontà di Cristo – sul primato di giurisdizione del Papa, altrimenti si cade nel luteranesimo. Inoltre Francesco I ha ridimensionato anche implicitamente la figura del Papa presentandosi solo come “Vescovo” di Roma, senza nominare una sola volta la parola ‘Papa’. Certamente in Francesco I il primato spetta alla prassi e all’azione, ma anche la dottrina erronea ha il suo posto nel suo pontificato.

 

[2] Cfr. S. Th., I-II, q. 43, a. 1.