IL PRIMATO DI ROMA NEL CRISTIANESIMO PRIMITIVO


Roma mèta dei pellegrini

«Il primato di Roma nell’antica età cristiana fu ben presto dimostrato dai viaggi [...] che gli esponenti di varie Chiese intrapresero verso Roma. Che cosa mai poteva attirarli alle rive del Tevere [...] se non la Chiesa romana, di cui essi riconoscevano il prestigio della fama e di una reale, preminente autorità? Ed infatti [...] essi venivano a Roma per esporre ai capi della Chiesa romana i loro problemi, per chiedere consigli ed aiuti» (M. Guarducci, Il primato della Chiesa di Roma, Rusconi, Milano, 1991, pag. 9).

Fondata da S. Pietro e S. Paolo, che a Roma erano stati martirizzati e sepolti, la Chiesa romana cominciò ben presto ad attirare a sé i fedeli delle altre Chiese cristiane, ma fu soprattutto durante il II secolo che tale richiamo divenne evidente.

Attorno al 154, S. Policarpo, Vescovo di Smirne, discepolo dell’ Apostolo Giovanni, venne a Roma per interrogare direttamente papa Aniceto sulla data in cui si doveva celebrare la Pasqua (questione allora dibattuta e sulla quale le Chiese d’Asia dissentivano da Roma). Nel 178 S. Ireneo da Lione, che aveva avuto come maestro S. Policarpo, venne a Roma per conferire con papa Eleutero. «Questi viaggi [...] dimostrano [...] che nell’età più antica la Chiesa di Roma primeggiava fra le altre e che le altre ne sentivano il fascino e ne riconoscevano l’ autorità» (M. Guarducci, Il primato della Chiesa di Roma, cit., pag. 14).

 

Le cause del primato

La potenza politica di Roma, che in quei tempi era capitale dell’ Impero, contribuì a dar lustro alla Chiesa romana. Ma si trattò soltanto di un contributo e non della causa principale del primato spirituale esercitato da Roma. Vi furono infatti motivi superiori di carattere spirituale.

 

S. Ireneo da Lione

S. Ireneo, nell’Adversus haereses (III, 1-2), opera composta tra il 175 e il 189, si domanda come sia possibile riconoscere la vera Tradizione cattolica. La risposta è che bisogna studiare l’insegnamento che gli Apostoli trasmisero ad ogni Chiesa da loro fondata. Per far ciò è necessario risalire, attraverso la serie dei Vescovi che in ogni Chiesa locale succedettero l’uno all’altro, fino all’ inizio di ogni serie. Ma, poiché l’ impresa sarebbe troppo lunga, è meglio limitare l’esame alla sola Chiesa di Roma, che è «la più grande e la più importante e conosciuta da tutti, fondata e istituita dai due gloriosissimi Apostoli Pietro e Paolo. A questa Chiesa, per la sua più forte preminenza [potentior principalitas], è necessario che convenga ogni Chiesa, cioè i fedeli che provengono da ogni parte del mondo; ad essa, nella quale [...] fu sempre conservata la Tradizione apostolica». S. Ireneo continua dicendo che attraverso la serie ininterrotta dei Vescovi la Tradizione divino-apostolica è giunta sino a noi.

Ma perché, potremmo domandarci, la Chiesa di Roma è la più importante? I motivi li troviamo già riassunti in S. Ireneo: 1°) è la più grande e la più importante; 2°) è universalmente nota; 3°) fu fondata dagli Apostoli Pietro e Paolo; 4°) gode in tutto il mondo fama di una salda fede.

 

L’Epistola ai Corinzi di S. Clemente romano

Nel 96 d. C. alcuni giovani della Chiesa di Corinto, rivoltatisi contro gli anziani sacerdoti di quella comunità, li avevano deposti. Il papa S. Clemente scrisse ai Corinzi la sua famosa lettera per riportare la concordia tra di loro. Egli cita l’esempio della perfetta disciplina dell’esercito romano e asserisce che causa della discordia sono state l’invidia e la gelosia.

 

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a pagina 7 e 8 ---  SEMPER INFIDELES

• “Scherza con i santi e lascia stare i fanti”? (Marino, chiesa di S. Barnaba, ‘U Vangelu de Luca)

• Roma: da città sacra a città profana e l’Italia da nazione cattolica a nazione atea (Concilio e revisione del Concordato)

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L’Epistola clementina fu accolta a Corinto con grande venerazione. Sappiamo, infatti, dalla Storia ecclesiastica di Eusebio da Cesarea che ancora intorno al 170 essa veniva letta durante la Messa domenicale. «Nella sua famosa epistola [...] Clemente non accenna esplicitamente al primato della Chiesa di Roma, ma la sua stessa iniziativa di rivolgersi alla Chiesa di Corinto in veste di ammonitore e di paciere dimostra ch’egli sentiva fortemente la preminenza spirituale della sua Chiesa» (ibid., pag. 24).

L’Epistola ai Romani di S. Ignazio d’Antiochia

«Varcati i limiti del I secolo, ci s’imbatte subito in un’esplicita affermazione del primato spirituale della Chiesa di Roma. Voglio dire quella di Ignazio, vescovo di Antiochia nella Siria» (ivi).

Da notare che anche la Chiesa di Antiochia era stata fondata da S. Pietro ed era guidata all’inizio del II secolo da S. Ignazio, che aveva conosciuto personalmente S. Pietro e S. Paolo. Nel 107 S. Ignazio fu incarcerato, condannato a morte e inviato a Roma ad bestias, cioè per essere dato in pasto alle belve nel Colosseo. «Ebbene anche secondo Ignazio, la Chiesa romana presiedeva, cioè era preminente, rispetto alle altre Chiese del mondo cristiano» (ibid., pag. 26).

L’epigrafe di Abercio

Abercio, vescovo di Ierapoli, nell’ epitaffio da lui dettato tra il 170 e il 200 d. C. e definito da Giovanni Battista de Rossi “la regina delle iscrizioni cristiane” rievoca il ricordo di un viaggio compiuto a Roma durante il regno di Marco Aurelio (161-180). A quei tempi esisteva il grande impero Romano, Roma ne era la capitale ed essa era considerata una regina aurea. Abercio scrive: «[...] il quale [Cristo] mi mandò a Roma per vedere il regno e la regina dall’aurea veste e dagli aurei calzari. E vidi lì un popolo avente uno splendido sigillo». Apparentemente il regno e la regina sono Roma, il popolo è quello romano dominatore del mondo, la cui potenza è concepita come uno splendido sigillo impresso su di esso. Ma Abercio stesso, rivolgendosi a “chi intende”, avverte che sotto il significato ovvio ve n’è uno più profondo che solo chi comprende, cioè il cristiano, è in grado di cogliere. Infatti sarebbe assurdo che Cristo avesse inviato un Vescovo a Roma solo per vedere il regno di Marco Aurelio, le bellezze  della città regina e per constatare la potenza del popolo romano. Dunque per “chi intende” il “regno” è quello di Cristo in terra, e la “regina” è la Chiesa, che ha il suo centro visibile a Roma, e il “sigillo” impresso sul popolo romano è la sua fede esaltata anche da San Paolo nella Epistola ai Romani.

Cercando a Roma il “regno” e la “regina vestita d’oro” Abercio dimostra di concepire la Chiesa di Roma come la prima tra tutte. Inoltre scrivendo che Cristo stesso lo ha mandato a Roma, Abercio dimostra di non credere che il primato della Chiesa di Roma dipenda dalla potenza politica dei Romani, ma che è un primato spirituale voluto da Gesù Cristo.

Tertulliano

Nato attorno alla metà del II secolo da una famiglia pagana, si convertì al Cristianesimo. Successivamente si avvicinò all’eresia dei Montanisti attorno al 213.

In una delle sue prime opere (De praescriptione haereticorum) risalente al 200 circa, quando era ancora cattolico, cioè legato e sottomesso al Papa e alla Chiesa universale di Roma, accenna al primato della Chiesa romana: parla del passo di San Matteo in cui Pietro è detto la pietra sulla quale Cristo fonderà la sua Chiesa, colui al quale Cristo affiderà le chiavi del Regno dei Cieli e dichiara che proprio “da Roma deriva anche a noi [Cristiani] l’autorità”.

Divenuto montanista, Tertulliano non negherà il primato di Pietro, ma ne negherà la trasmissione ai suoi successori.

Clemente alessandrino

Egli definisce Pietro come l’eletto di Cristo, il primo degli Apostoli. Commenta poi il passo di Matteo (XVII, 27) in cui Cristo ordina a Pietro di pagare il tributo per sé e per il Maestro con lo statere trovato nella bocca del pesce che per primo avrebbe abboccato all’amo come segno del legame strettissimo e speciale tra Cristo e Pietro.

E può bastare.

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La Basilica Lateranense

Roma ha, tra gli altri, il primato di possedere la più antica Basilica cristiana riconosciuta come tale anche dall’autorità civile, anzi addirittura costruita da essa: S. Giovanni in Laterano. Essa è legata al nome dell’Imperatore Costantino e al ricordo della vittoria riportata da lui contro l’empio Massenzio presso il Ponte Milvio, alle porte di Roma, il 28 ottobre 312.

È noto che il culto cristiano si svolgeva nei primissimi tempi nelle varie case dei Cristiani e che poi si sentì il bisogno di avere, appena possibile, edifici speciali adibiti espressamente al culto divino. Edifici di questo genere dovettero sorgere probabilmente già nel III secolo, negli intervalli tra le varie persecuzioni. Da quanto scrive Eusebio di Cesarea in Asia vi erano edifici destinati al culto ancora più antichi della Basilica Lateranense. «Ma fra questi edifici e la Basilica Lateranense corre [...] una differenza sostanziale. Mentre quelli furono costruiti per iniziativa di zelanti vescovi [...] la Basilica Lateranense fu eretta per volere della somma autorità civile dell’Imperatore e naturalmente anche a spese di lui. Costantino [...] prese su di sé l’intero costo dell’opera» (Ibid., pagg. 71-72). La Basilica Lateranense fu perciò il primo edificio cristiano riconosciuto come tale. A questa prerogativa se ne aggiunge un’altra: quella di essere l’unica Basilica cristiana rimasta dopo tanti secoli ancora viva e vitale. È assai probabile che la decisione di erigere una grande Basilica come ex voto a Cristo Salvatore fosse presa dall’Imperatore subito dopo la vittoria su Massenzio presso il Ponte Milvio. La zona del Laterano, infatti, al tempo di Costantino, faceva parte del patrimonio imperiale.

La Guarducci spiega che probabilmente quando Costantino entrò vittorioso a Roma prese dimora nella casa del Laterano. Quando poi, alla fine del gennaio 313, partì da Roma si compiacque di lasciare la casa imperiale del Laterano a papa Milziade. Non è perciò strano che l’Imperatore volle far costruire la futura cattedrale di Roma nella medesima località, molto vicino alla ex-casa dell’Imperatore, oramai casa del Papa.

La Basilica fu dedicata – secondo un’antica tradizione – il 9 novembre. Ora, poiché la dedica delle chiese avveniva abitualmente di domenica, considerando l’età di Costantino e di papa Silvestro, succeduto nel 314 a Milziade e durante il cui pontificato la Basilica fu in gran parte costruita, ci si offre la scelta tra il 9 novembre 312 e il 9 novembre 318. Ma è impossibile che la dedica sia avvenuta il 9 novembre 312, vale a dire circa dieci giorni dopo la battaglia del Ponte Milvio. Resta allora il 318.

Annesso alla Basilica sorse, per volontà dell’Imperatore, il Battistero dedicato a S. Giovanni Battista. Questi due edifici furono ornati senza risparmio col fasto intonato alla ex-casa imperiale, nella quale, papa Milziade e poi i suoi successori erano andati ad abitare. Alla Basilica fu assegnata la rendita annua di 4.390 solidi, al Battistero quella assai più ingente di 10.234 solidi. Ma per quale motivo la rendita destinata al Battistero era tanto maggiore di quella concessa alla Basilica? Perché i 10.234 solidi comprendevano l’appannaggio del Papa, che allora aveva l’esclusivo diritto di amministrare il Battesimo in quell’edificio. Nella seconda metà del XII secolo la Basilica era ancora dedicata soltanto a Cristo Salvatore, ma più tardi assunse anche il nome di S. Giovanni dai due oratorii annessi al Battistero e dedicati a San Giovanni Battista e a San Giovanni Evangelista.

Dopo l’esilio avignonese (1305-1377) i Pontefici abbandonarono definitivamente la loro antica dimora in Laterano, ma la Basilica Lateranense restò sempre la Cattedrale di Roma e sempre e soltanto ad essa spettò il titolo di “Arcibasilica”. Essa viene chiamata anche Caput ecclesiarum, Mater ecclesiarum, Magistra ecclesiarum, Papalis sacrosanta Archibasilica Lateranensis e tuttora è chiamata Cathedralis Romae, «perché tutti da essa ricevono impulso e Magistero» (Giovanni Diacono).

Conclusione

Abbiamo constatato che tra la fine del I e la metà del III secolo, il primato della Chiesa romana veniva generalmente riconosciuto in tutto l’orbe cristiano. Al riconoscimento del primato si associava poi quello dell’universalità: «La Chiesa di Roma, ed essa sola, era la Chiesa universale, la Chiesa di Cristo» (Ibid., pag. 43). Di “collegialità” non si fa parola.

Petrus