PERICOLI PER LA  VITA SACERDOTALE NEL NOSTRO TEMPO DI CRISI MODERNISTICA

Un prezioso libretto

Nel 1945 Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange ha scritto un libretto, tradotto in italiano nel 1949, intitolato Santificazione sacerdotale nel nostro tempo (Torino, Marietti). In esso il celebre teologo domenicano affrontava gli errori neomodernistici, che minavano già allora la spiritualità cattolica, e metteva in guardia da essi specialmente i giovani sacerdoti. Sono passati oltre settanta anni e i pericoli allora latenti sono diventati errori palesi, che purtroppo non sono più censurati, ma addirittura promossi dai Pastori che dovrebbero condannarli. Nel presente articoletto faremo un riassunto di tali errori, dei rimedi proposti dal Padre domenicano e aggiungeremo ciò che di erroneo è maturato in campo teologico ascetico e mistico dal 1949 ad oggi per dare ai sacerdoti e ai cristiani sinceri i mezzi per preservarsene.

 

Due errori opposti

Uno degli errori sulla vita spirituale che si era già infiltrato in ambiente cattolico grazie alla nouvelle théologie è quello del Sentimentalismo. Questo errore dimentica che la Carità soprannaturale  è effettiva più che affettiva e che essa è un atto della volontà e dell’intelletto mossi dalla Grazia attuale. Invece il Sentimentalismo religioso mette al primo posto la sensibilità e l’ affettività che prevalgono sull’intelligenza e sulla volontà mosse dalla Grazia. La spiritualità diventa perciò sentimentalismo ed è simile ad un “fuoco di paglia” cui succederà il rilassamento, l’accidia e l’abbandono di ogni vita ascetica al sorgere delle prime difficoltà e aridità spirituali.

L’altro errore è l’eccesso opposto: l’Angelismo o Spiritualismo, il quale ritiene che la vita cristiana interiore sia talmente sublime da essere straordinaria, eccezionale, miracolistica, riservata solo a pochi eletti. Questo errore confonde i fenomeni straordinari e contingenti della Mistica con la terza via unitiva, alla quale tutti sono chiamati da Dio e che è lo sviluppo ordinario della Grazia e delle Virtù mediante i Doni dello Spirito Santo.  La conseguenza è che si rinuncia alla vita spirituale poiché troppo ardua per l’umana fragilità. Invece il vero impedimento alla santificazione, verso la quale tutti dobbiamo tendere, non è la limitatezza umana, propria anche dei Santi, ma l’orgoglio spirituale di chi vorrebbe fare dell’uomo un angelo e finisce per renderlo una bestia.

 

Il grande ostacolo al Fine

La sana spiritualità insegna che la vita cristiana è vita di unione con Dio presente nell’anima del giusto e conosciuto ed amato soprannaturalmente mediante la Fede e la Carità, ed è vita di convivenza con Lui mediante la meditazione. Se l’unione e il colloquio con Dio sono il fine a cui tendere e da accrescere pian piano ogni giorno, occorre prendere dei mezzi per arrivarvi. Infatti “chi vuole il fine prende i mezzi”. Purtroppo l’amor proprio pone un grande ostacolo alla vita di unione con Dio perché ci fa vivere più per noi stessi che per Dio. Assieme all’amor proprio troviamo spesso nella nostra anima la vanità, la superficialità, l’esteriorità. Così non viviamo interiormente uniti a Dio ed in colloquio con Lui, ma viviamo esteriormente in balìa dell’instabilità della fantasia e del sentimentalismo o ripiegati egoisticamente e narcisisticamente su di noi quasi in adorazione di noi stessi e non di Dio. A questo nostro “Dio” manca la “D” iniziale e la nostra religiosità si trasforma allora in “filosofia” idealistica che ha per oggetto l’Io assoluto.

 

I mezzi

I mezzi fondamentali per raggiungere questo Fine ultimo, che è Dio, sono sostanzialmente due:

1°) l’abnegazione, cioè il rinnegare la volontà propria quando non è conforme a quella divina. Occorre togliere da noi il disordine, le passioni sregolate e acquisire la pace dell’anima, consapevoli però che le passioni, anche se mortificate, restano sempre in noi sino alla nostra morte e quindi la lotta contro di esse durerà tutta la nostra vita.

Dobbiamo dare inoltre la morte allo spirito del mondo che alberga in noi (le tre Concupiscenze), soprattutto al giudizio proprio o capriccio impulsivo, che ci porta a compiacerci delle nostre qualità, come fossero nostre e non dono di Dio: “Cosa hai tu che non abbia ricevuto da Dio? E se lo hai ricevuto, perché te ne glorifichi come se fosse tuo?” (San Paolo).

Se riusciremo a spogliarci di questo orgoglio nascosto mediante la vera devozione alla Vergine Maria secondo lo spirito di San Luigi Grignion de Montfort, allora avremo fatto posto allo Spirito Santo, che verrà abbondantemente in noi affinché i suoi  sette Doni, da vele ammainate diventino vele spiegate al vento della Grazia, che ci fa correre verso la meta.

Soprattutto il sacerdote deve possedere le qualità che portano alla unione e convivenza con Dio per poterLo dare alle anime: “Nemo dat quod non habet”, “Nessuno dà quello che non ha”.  Ruolo del sacerdote è quello di dare Dio agli uomini mediante la Predicazione, i Sacramenti e l’educazione ai Comandamenti e poi di elevare gli uomini sino a Dio, in maniera finita ma reale, facendoli vivere abitualmente nella Grazia santificante: “Contemplare et contemplata aliis tradere”, “Contemplare e trasmettere agli altri le verità contemplate” (San Tommaso d’ Aquino). Per il sacerdote, perciò, questa chiamata alla unione con Dio è un obbligo, non un consiglio: per poter dare agli altri Gesù nella sua Dottrina (Insegnamento), nella sua Vita intima (Grazia, preghiera e Sacramenti) e nella Morale (pratica dei Comandamenti) egli deve averLo in sé sovrabbondantemente e riversare il sovrappiù nelle anime. “Esto conca et non canal” “Sii serbatoio e non canale” (San Bernardo di Chiaravalle). Il serbatoio, pur dando l’acqua agli altri, non si prosciuga, invece il canale sì. Il pericolo per il sacerdote è quello di esaurire le sue risorse spirituali nell’attivismo. È la famosa “eresia dell’azione” di cui parlava dom Chautard nel suo famosissimo libro L’anima di ogni apostolato.

 

Due forze che devono coesistere

Nella vita sacerdotale come in ogni vita devono coesistere la forza conservatrice della esistenza e la forza assimilatrice del nuovo alimento, cioè l’essere e il movimento. Senza l’alimentazione si deperisce e senza l’essere non si può agire né si può assimilare il nuovo alimento. La Chiesa e il Sacerdozio devono avere bene equilibrate queste due forze. Senza la forza del progresso (che non è progressismo, ma crescita e sviluppo nello stesso genere e nello stesso senso) si ha l’immobilità del coma e della morte (come nelle chiese scismatiche ortodosse, che si son fermate all’XI secolo), ma senza tradizione conservatrice si ha l’ instabilità del moto perpetuo e della frenesia (come nel protestantesimo o nel modernismo, ove tutto cambia incessantemente). Ora per conservare questo equilibrio nella vita cristiana (individuale e sociale) non basta un certo dinamismo naturale, occorre la Grazia divina e l’aiuto sovrabbondante dello Spirito Santo, che organizza e connette tutte le Virtù indirizzandole al medesimo Fine che è Dio. Tutta la vita  cristiana soprannaturale è  allora coerentemente collegata e le virtù crescono assieme “come le cinque dita della mano” (S. Th., I-II, q. 66, a. 2). Solo lo Spirito Santo, infatti, riesce a far coesistere il puro amore della Verità con la Misericordia verso gli erranti, l’umiltà con la dignità, la forza con la mansuetudine ecc.

 

Qualità necessarie nel tempo presente

Per quanto riguarda il sacerdote, nel tempo presente egli ha bisogno specialmente di due qualità: 1°) stabilità di dottrina, affinché il suo intelletto possa restare fermo nella Fede in tanta confusione dogmatica, morale e liturgica; 2°) viva Carità soprannaturale, affinché il suo amore sia non solo affettivo, ma effettivo e principalmente diretto a Dio: amore della Verità e del Bene, odio dell’Errore e del Male. Solo così, oggi, il sacerdote riuscirà a mantenere unite la custodia della Verità ed il progresso nella Carità verso Dio e il prossimo. Ma senza lo studio  della sana filosofia e teologia e senza la vita di preghiera (“doctus cum pietate et pius cum doctrina”) egli non riuscirà a mantenere questo equilibrio e scivolerà facilmente verso il relativismo dottrinale e il sentimentalismo spirituale. In pratica bisogna ricorrere alla obbedienza alla Tradizione per mantenere l’unità dottrinale (“quod semper, ubique et ab omnibus creditum est”, “ciò che sempre, ovunque e da tutti è stato creduto” S. Vincenzo da Lerino) e alla pratica della Carità fraterna, la quale è il segno  che si ama realmente Dio (“se non ami il tuo prossimo che vedi, come puoi amare Dio che non vedi?” San Giovanni).

In tal guisa il sacerdote, anche oggi in mezzo a mille difficoltà che avvolgono l’ambiente ecclesiale, potrà conservare la Fiducia nella Provvidenza (che non è il semplice ottimismo naturale), la vera Fede e la perfetta Carità. Il solo ottimismo naturale di fronte al disastro dei nostri tempi presto o tardi sarebbe sopraffatto dal pessimismo e finirebbe nello scoraggiamento. Ma, se l’ottimismo (fiducia nella vittoria del bene sul male, che è solo privazione di bene e perciò non può prevalere) è corroborato dalla Virtù teologale della Speranza, allora tutto si appiana.