UN ISPIRATORE DELLO “SPIRITO” PANECUMENISTA DI ASSISI: RAIMON PANIKKAR

1. IL PANIKKARISMO

Il personaggio

Il 26 agosto del 2010 alle 19 è morto Raimon Panikkar. RAFFAELE LUISE, decano dei vaticanisti Rai, gli ha dedicato un libro-intervista[1], il quale, frutto dell’amicizia tra i due, è la narrazione sotto forma di dialogo che Panikkar fa della sua vita e l’esposizione del suo pensiero filosofico e teologico. Egli era famoso già negli anni Sessanta, dato che a partire dal 1962 sino al 1965 partecipò «con Küng e Ratzinger al Concilio Vaticano II come perito per la liturgia del cardinale di Bologna Lercaro»[2].

 

Mi sembra importante il libro perché rivela che fu proprio Panikkar ad ispirare a Giovanni Paolo II la giornata interreligiosa di Assisi (27 ottobre 1986). Egli infatti dice: «Con Paolo VI ho avuto più dimestichezza e vicinanza di vedute. Mi piaceva quel papa. Giovanni Paolo II, invece, non l’ho mai incontrato. […]. Con lui però ho avuto un rapporto indiretto, in occasione del suo viaggio in India nel 1986. Dalla Segreteria di Stato mi fu chiesto di scrivere qualche pagina di appunti per i discorsi che Wojtyla avrebbe tenuto. Io scrissi tre-quattro pagine focalizzando tre punti. L’ultimo consisteva nella proposta di tenere in India una riunione con i rappresentanti delle altre religioni. […]. In seguito sono venuto a sapere che, un mese dopo essere tornato a Roma, Giovanni Paolo II  ha convocato l’ incontro interreligioso di Assisi. E ho saputo che la Curia romana era furiosa con me, perché non mi ero consultato con nessuno in Vaticano. L’evento di Assisi mi ha fatto molto piacere, anche se non posso dire di esserne stato la causa diretta. Ma forse uno spunto importante sì»[3].

Nella quarta di copertina del libro si legge: «Fedele a quattro religioni: la cattolica, l’induista, la buddista e la secolare, Panikkar è stato l’ inimitabile maestro del dialogo religioso interculturale e del dialogo interreligioso. Panikkar stesso si definì: “votato a quattro religioni senza averne tradita nessuna”». Come si vede, la sua figura è importante per capire il significato dell’ecumenismo e delle riunioni interreligiose che si tengono abitualmente e delle quali Assisi è il prototipo.

Sacerdote cattolico e nello stesso tempo buddista e induista

Panikkar ha congiunto in lui l’ eredità culturale e religiosa della madre spagnola e del padre indiano. Ma qual è il cemento con il quale ha tenuto assieme le sue quattro religioni senza – egli dice – rinnegarne nessuna? Penso che si possa rispondere: il panteismo, l’ esoterismo (la famosa “unità trascendente delle religioni”) e l’immanentismo radicale. Infatti Panikkar asserisce: «Oggi c’è bisogno di un cambiamento radicale nella visione dell’ uomo, del mondo e di Dio. […]. La Terra è un organismo vivente, vi è un’anima mundi. […]. Abbiamo dimenticato il valore personale delle cose e che con esse si possono avere rapporti del tipo io-tu»[4].

Panikkar stesso ci rivela il suo esoterismo quando dice: l’India «con la mia iniziazione all’induismo e al buddhismo, mi ha permesso di vivere il cristianesimo in tutta la sua pienezza»[5]. Inoltre asserisce esplicitamente il suo immanentismo e idealismo radicali quando loda il pensiero orientale e soprattutto asiatico che «non è fondato sul principio di non contraddizione»[6]. Certamente, la filosofia aristotelico-tomistica non gli avrebbe permesso di restare “fedele” a quattro religioni diverse e contraddittorie senza rinnegarne nessuna, cosa che, invece, è riuscito a fare negando asiaticamente il principio di non contraddizione. Infatti, per Panikkar, sul piano razionale si può avvertire la incompatibilità tra induismo e cristianesimo, ma superando il “dualismo così proprio dell’ Occidente” ovvero superando la razionalità, la logica e i princìpi primi dell’ essere e del conoscere si può giungere alla «non-dualità che consiste nell’ identificazione con la profondità divina della propria anima»[7]. Ma l’uomo – obiettiamo – non è un angelo e non ha l’intuizione che supera il ragionamento. La pretesa di conoscere in terra la Natura di Dio è l’errore dell’ontologismo più volte condannato dal Magistero della Chiesa e confutato dalla sana filosofia. Inoltre la filosofia panikkariana è idealistica ed è nello stesso tempo fortemente intrisa di esoterismo, che pretende di auto divinizzare l’anima mediante una tecnica mentale segreta o iniziatica, che darebbe la visione diretta dell’Essenza di Dio già su questa terra, senza bisogno della grazia santificante, essenzialmente soprannaturale e dono gratuito di Dio, che ci dà post mortem la Visione beatifica della Natura divina tramite il Lumen gloriae.

 

L’influsso di Teilhard

Panikkar non nasconde l’influsso che Teilhard de Chardin (il caposcuola della nouvelle théologie) ha avuto sul suo pensiero quando racconta di aver oltrepassato il fiume Gange e di essere salito su un alto monte ove ha celebrato, dopo essersi immerso per tre volte secondo il rito indù, «la prima eucaristia sul tetto del mondo, […] in un rito cosmico. […]. Io credo fermamente che attorno a me tutto è il Corpo e il Sangue del Verbo»[8]. La conclusione teologica cui giunge Panikkar dopo il rito iniziatico induista unito al rito pubblico cristiano è, dunque, il panteismo: «La realtà è tutta divina. […]. Il senso profondo dell’ incarnazione cristiana rende divino tutto ciò che è concreto e limitato, e perfino la materia e il corpo»[9]. Panikkar afferma la “Rivelazione senza il Rivelatore”[10] e “l’uomo che concelebra con l’intero universo, nel sacrificio cosmico in cui tutti gli dèi sono impegnati”[11].

Inoltre egli ha un concetto distorto e ambivalente del divenire e dell’essere. Infatti per Panikkar la nozione di divenire va intesa in due maniere: sia come “venire dall’ essere”, ossia “da un bacino infinito di possibilità, da un Essere infinito, un Dio” e questa sarebbe, secondo lui, la concezione cristiana del divenire (si badi bene: non della creazione dal nulla)[12], sia come “venire in essere, nell’essere, senza l’ assunto di un Essere precedente” per cui “al principio non era né l’Essere né il non-Essere […] ma il Sacrificio […] lo smembrarsi del ‘dio’ nelle cose”, che secondo i Veda (i libri “sacri” dell’induismo) “dà vita all’ Essere” e nel contempo libera l’Essere “dal peso di dover creare gli esseri”[13]. Questa seconda concezione non sarebbe diversa da quella del cristianesimo, sempre secondo Panikkar, che si rifà ancora una volta ai Veda, i cui “veggenti” intraprendono l’avventura rischiosa “di oltrepassare la frontiera dell’essere per fluttuare nel nulla assoluto e scoprire che il Non-Essere è l’ atmosfera esterna dell’Essere, il suo velo protettivo, […] quello spazio dove Dio non è ancora Dio, e non essendo creatore, è ‘nulla’. […]. Nei Veda c’è la scoperta che Dio come Dio è solamente coestensivo agli esseri, che appare quando anche gli esseri sono presenti. In qualche modo una ‘nascita’ di Dio come una sua autorealizzazione. Il Signore è personale e impersonale, Essere e Non-Essere[14]. Panikkar rifiuta sia l’interpretazione puramente trascendente o oggettiva di Dio, sia quella puramente immanente o soggettiva. Un Dio solamente soggettivo è il prodotto del cuore dell’uomo, un Dio solamente oggettivo è il prodotto della mente umana; la soluzione per Panikkar è far coincidere l’esistenza reale e oggettiva di Dio con la sua esistenza soggettiva, ideale e immanente, poiché “Dio non è un oggetto. Questa sarebbe idolatria[15]. Per cui proprio come l’idealismo magico  (Schelling più l’ esoterismo cabalistico) ha prodotto il pensiero di Julius Evola, il soggettivismo kantiano più l’esoterismo orientale hanno prodotto il pensiero panikkariano, che a sua volta coincide con la dottrina del Concilio Vaticano II e specialmente con il pancristismo di Gaudium et spes divenuto il “cavallo di battaglia” di Giovanni Paolo II.

 

Il pancristismo

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[1] R. Luise, Raimon Pannikkar. Profeta del dopodomani, Cinisello Balsamo, San Paolo, 2011.

[2] Ib., p. 24.

[3] Ibidem, pp. 266-267.

[4] Ib., pp. 14-15.

[5] Ib., p. 35.

[6] Ib., p. 36.

[7] Ib., p. 45.

[8] Ib., p. 49.

[9] Ib., p. 52.

[10] Ib., p. 53.

[11] Ib., p. 55.

[12] Ib., p. 56.

[13] Ib., p. 57.

[14] Ib., p. 58.

[15] Ib., p. 61.