La nuova messa è in rottura con la tradizione liturgica apostolica? 2a parte

Prima di passare all’analisi del nuovo Ordo, occorre confutare l’obiezione dei difensori della nuova Messa i quali sostengono che nell’ Institutio (edizione del 1969 e soprattutto del 1970) vi sono passi i quali affermano quei princìpi tradizionali che alcuni ritengono esposti in modo insufficiente o sospetto.

Una regola d’ermeneutica non sempre applicabile

Verifichiamo anzitutto il principio enunciato in questa obiezione, e cioè che i testi oscuri e sospetti di un documento cessano di esserlo quando nello stesso documento sono presenti testi ortodossi concernenti le medesime questioni. Lo stesso varrebbe per i testi del Concilio Vaticano II.

 

In linea di principio la regola secondo cui i testi oscuri e confusi di un documento si devono interpretare con l’aiuto dei testi più chiari è valida. Ma la regola secondo cui i testi sospetti ed eterodossi debbono essere interpretati mediante i testi ortodossi, non può essere ammessa senza restrizioni. Infatti: a) questa regola si può applicare nei casi in cui i passi sospetti o eterodossi compaiono solo di tanto in tanto quasi per errore o accidentalmente; ma essa non vale più se questi passi sono numerosi, poiché ciò che si produce per errore è, per sua natura, fortuito e non frequente; b) allorché i passi confusi, sospetti ed eterodossi non solo sono numerosi, ma formano anche un sistema di pensiero, la regola di ermeneutica suggerita non è più valida, ma si deve applicare la regola inversa: diventa necessario, cioè, chiedersi se non siano i testi ortodossi che debbano interpretarsi alla luce dei passi confusi, sospetti ed eterodossi. Ciò che è solo un lapsus accidentale, infatti, non solo non è frequente, ma soprattutto, non può costituire un sistema di pensiero. In tal caso, non è legittimo interpretare i passi non ortodossi avvalendosi dei passi ortodossi. Benché questi ultimi pendano in favore dell’ortodossia del documento, è impossibile - visto il contesto sostanziale e non accidentale - eliminare o diminuire il sospetto.

 

Premesso ciò, passiamo all’esame del Novus Ordo del 1969.

 

IL NUOVO TESTO DELLA MESSA E LE NUOVE RUBRICHE NELL’ORDO DEL 1969

L’abolizione dell’Offertorio, parte  integrante della S. Messa

L’Offertorio della Messa romana di origine apostolica,  restaurata e resa obbligatoria per la Chiesa universale da  San Pio V, Offertorio che ha sempre costituito uno dei principali elementi per distinguere la Messa cattolica dalla cena protestante, è stato abolito con le sue caratteristiche specifiche.

Premettiamo che la vera oblazione sacrificale che si fa nella Messa non è nell’offertorio, ma nell’offerta di Sé medesimo che Gesù Cristo fa alla SS. Trinità al momento della consacrazione tramite il sacerdote ordinato validamente: la vera vittima non sono il pane e il vino, ma è Gesù Cristo stesso. Allora perché l’offertorio?

Compiendo un Sacrificio, noi offriamo a Dio una vittima al nostro posto. Questo è l’elemento fondamentale di ogni Sacrificio. Nella Messa è Gesù Cristo che s’immola per noi e noi, unendoci a Lui, dobbiamo offrirLo al Padre al nostro posto ed offrirci con Lui tramite il sacerdote celebrante. Tuttavia l’ oblazione mistica che Nostro Signore fa di Se stesso differisce dagli altri “sacrifici” tangibili e visibili di animali o cose offerte a Dio, poiché non è visibile. Dunque è opportuno che, con qualche elemento percettibile ai nostri sensi, siano espressi, prima della consacrazione, sia la natura del Sacrificio che si sta compiendo, sia le diverse oblazioni che in esso saranno fatte. È questo l’oggetto dell’ offertorio romano: nel corso di esso, si dichiara in che consiste l’ oblazione sacrificale propriamente detta, nonché l’offerta di noi stessi a Dio e viene anche affermato il fine Soddisfattorio/ Propiziatorio della Messa. L’essenza della Messa è la consacrazione (come l’anima e il corpo lo sono per l’uomo), ma l’offertorio ne è una parte integrante, come la mano lo è per il corpo[1].

La scomparsa degli elementi che distinguono la Messa cattolica dalla cena protestante

Analizziamo ora i tre elementi che, mentre costituiscono le caratteristiche fondamentali dell’ Offertorio romano, distinguono al tempo stesso la Messa cattolica dalla cena protestante.

1°) L’oblazione reale, ma mistica e incruenta di Nostro Signore ha luogo realmente al momento della consacrazione; tuttavia, affinché la natura del Sacrificio sia manifesta fin dall’inizio, nell’offertorio del Messale Romano vi è un insieme di preghiere che fanno già conoscere Chi sarà la vera vittima e La offrono in anticipo alla SS.ma Trinità. Esse sono dunque parte integrante della Messa, mancando le quali, essa diviene ‘monca’ (come un corpo senza arti), anche se non invalida.

2°) L’oblazione di noi stessi a Dio tramite Gesù Cristo è simboleggiata dall’offerta del pane e del vino (secondariamente è anche simboleggiata dall’eventuale offerta di altri beni materiali). Tale simbolismo diviene efficace solo quando il pane e il vino, al momento di essere messi sull’altare, non sono soltanto presentati a Dio, ma Gli sono veramente offerti in spirito sacrificale. In altre parole, quando i suddetti doni sono ‘consacrati’ ossia offerti in sacrificio a Dio.

3°) Infine l’offertorio romano, con numerose preghiere, evidenzia il carattere Propiziatorio/Soddisfattorio del Sacrificio.

Questi tre elementi sono scomparsi dal nuovo offertorio, rimpiazzati da una semplice "preparazione delle offerte" o "presentazione dei doni", che corrisponde ad un concetto dell’offertorio fondamentalmente diverso da quello della Messa di Tradizione apostolica restaurata da san Pio V.

Anzitutto la preghiera Suscipe Sancte Pater, tradizionalmente recitata dal celebrante nel corso dell’ offerta del pane, non compare più nella nuova Messa: “Accetta, o Padre Santo, Dio onnipotente ed eterno, questa ostia immacolata che io, indegno tuo servo, offro a Te, mio Dio vivo e vero, per i miei innumerevoli peccati, offese e negligenze [Soddisfazione], e per tutti i circostanti, come pure per tutti i fedeli cristiani vivi e defunti [Propiziazione]: affinché giovi alla mia e alla loro salvezza per la vita eterna. Amen”.

Da notare in questa preghiera che il sacerdote offre l’ostia per il popolo con una affermazione chiara della sua funzione gerarchica: “che io, indegno tuo servo, offro a Te” e egli la offre per tutti i fedeli vivi e morti, contraddicendo così il principio protestante secondo cui i frutti della Messa non sono applicabili né agli assenti, né ai defunti. Questa intera preghiera esprime il valore Propiziatorio/Soddisfattorio del Sacrificio. Perciò già Lutero la soppresse nella sua “messa”.

Un punto merita una speciale attenzione: il celebrante offre a Dio “questa ostia immacolata”. Ora, la parola “ostia”, che può anche indicare il pane, significa più propriamente “vittima”, e l’aggettivo “immacolata” non è tanto applicato al pane quanto a Gesù Cristo, l’unica vera ostia immacolata”. Il Messale Romano, quindi, offrendo il pane a Dio con questa preghiera, indica anche, per anticipazione, che la vera oblazione sacrificale sarà quella di Gesù Nostro Signore.

In questa preghiera e in altre che fanno parte dell’Offertorio romano Lutero vedeva una “abominazione” in cui “si sente e si percepisce dappertutto l’oblazione”. I protestanti hanno anche un orrore particolare per l’offerta anticipata di Nostro Signore, espressa in questa preghiera: Luther D. Reed dichiara che si tratta dell’«anticipazione della consacrazione» e del “miracolo della messa”[2].

Nel nuovo "Ordo", è scomparsa anche la preghiera del messale romano Offerimus Tibi Domine, con la quale si offre il vino: “Ti offriamo, o Signore, il calice di salvezza, supplicando la tua clemenza perché esso salga con odore di soavità al cospetto della tua Maestà divina, per la salvezza nostra e del mondo intero. Amen”. Come la preghiera dell’ offerta del pane, anche questa costituisce un’anticipazione, poiché il calice di salvezza, in senso proprio, è quello che contiene il sangue di Nostro Signore. Anche qui s’incontra la nozione di Soddisfazione/ Propiziazione per i peccati, espressa innanzi tutto con un’umile supplica affinché la divina Maestà si degni di accettare il Sacrificio. Si deve dunque supporre che le ragioni che hanno portato alla soppressione di questa magnifica preghiera siano le stesse che hanno suggerito l’ eliminazione del Suscipe Sancte Pater.

Il nuovo Offertorio: non più offerta, ma “presentazione”

Queste due preghiere dell’offerta (e non della semplice “presentazione”) del pane e del vino sono state sostituite nel Novus Ordo dalle seguenti: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo; lo presentiamo’ a te perché diventi per noi cibo di vita eterna". E per l’offerta del vino: “Benedetto sei tu, Signore, Dio dell’universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo vino, frutto della vite e del lavoro dell’uomo; lo ‘presentiamo’ a te perché diventi per noi bevanda di salvezza".

Notiamo che in queste preghiere non c’è alcun riferimento alla vera vittima: Gesù Cristo; all’offerta dei doni per noi e per i nostri peccati; al carattere Propiziatorio/ Soddisfattorio dell’oblazione; al sacerdozio ministeriale del celebrante; al principio per cui il Sacrificio dev’essere accettato da Dio affinché gli sia gradito. Al contrario, le espressioni “perché diventi per noi cibo di vita eterna” e “perché diventi per noi bevanda di salvezza” insinuano che il vero ed essenziale scopo della Messa sia il nostro nutrimento spirituale; tesi, questa, che si accosta ad una delle eresie condannate dal Concilio di Trento. In questo modo, queste nuove preghiere modificano sostanzialmente il senso esatto dell’offerta del pane e del vino, ossia di quella parte integrante del Sacrificio della Messa che è l’Offertorio.

Anche alcuni protestanti riconoscono il carattere Propiziatorio del sacrificio della Croce, vale a dire riconoscono che Gesù è morto per la remissione dei nostri peccati. L’ errore di questi protestanti è costituito dalla maniera in cui i meriti di Cristo ci sono applicati. Essi dicono che la sola Fede salva, e cioè che le nostre opere buone ed i nostri sacrifici non sono necessari insieme al Sacrificio redentore di Cristo. Nell’ Offertorio romano, invece, la goccia di acqua mescolata al vino, significa, appunto, il nostro piccolo sacrificio personale (una goccia d’acqua) unito a quello divino di Gesù (l’ ampollina di vino che sarà transustanziato nel Sangue di Cristo).

Secondo la dottrina cattolica, infatti, noi dobbiamo, in un certo senso, completare nella nostra carne ciò ch’è mancato ai patimenti di Nostro Signore (Coloss. I, 24) e cioè, tramite le nostre opere buone e le nostre mortificazioni compiute con l’aiuto della grazia, dobbiamo applicare a noi stessi, a tutti gli altri uomini e ai fedeli defunti, i meriti di Cristo. Dobbiamo, quindi, offrirci a Dio. Ma questa offerta di noi stessi, delle nostre opere buone e delle nostre penitenze non ha alcun valore se non è realizzata in unione con il Sacrificio redentore della Croce, poiché solo la morte di Cristo costituisce un’equa riparazione per i nostri peccati.

D’altra parte, Dio ha voluto che l’applicazione agli uomini dei meriti del Sacrificio del Calvario fosse fatta per mezzo delle Messe celebrate nel mondo intero fino alla fine dei tempi. Ossia ciò che Gesù meritò il Venerdì Santo viene applicato agli uomini di tutti i tempi mediante il Sacrificium Missae, che, essendo il rinnovamento incruento del Sacrificio della Croce, è anche Propiziatorio/Soddisfattorio nella misura in cui Nostro Signore, realmente presente come vittima, si offre nuovamente a Dio Padre per il perdono dei nostri peccati e la remissione della pena per essi dovuta. In questo senso i meriti e le soddisfazioni della Passione sono applicati, secondo i disegni della Provvidenza, a coloro per i quali la Messa è offerta o che vi partecipano. In definitiva, le nostre opere buone e le nostre penitenze devono essere offerte quotidianamente a Dio Padre in unione con tutte le Messe che sono celebrate in quel giorno, e specialmente con quella che abbiamo fatto dire secondo le nostre intenzioni o con quella a cui assistiamo o abbiamo assistito.

Dal nuovo “offertorio” la preghiera alla SS.ma Trinità è stata eliminata: “Accetta, o Santa Trinità, questa offerta, che Ti offriamo in memoria della Passione, Resurrezione e Ascensione di Nostro Signore Gesù Cristo, e in onore della Beata sempre Vergine Maria, del Beato Giovanni Battista, e dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, e di questi [dei quali sono qui le reliquie] e di tutti i Santi: affinché sia ad essi di onore e a noi di salvezza: e si degnino di intercedere per noi in cielo, mentre noi facciamo memoria di loro sulla terra. Per lo stesso Signore nostro Gesù Cristo. Amen”. Questa preghiera insiste sul fatto che il Sacrificio della Messa è offerto alla SS.ma Trinità. Se, oltre alla sua eliminazione, consideriamo la riduzione del numero di invocazioni alla SS. Trinità, possiamo realmente temere che il nuovo “Ordo” conduca ad una diminuzione della Fede nel principale dogma cattolico[3].

Il nuovo offertorio ha conservato l’Orate, fratres: “Pregate fratelli, perché il mio e vostro sacrificio sia gradito a Dio, Padre onnipotente”. “R. - Il Signore riceva dalle tue mani questo sacrificio a lode e gloria del suo nome, per il bene nostro e di tutta la sua Santa Chiesa”. Questa preghiera parla di “sacrificio”, ma in nessun modo dice che si tratta di un Sacrificio Propiziatorio/ Soddisfattorio.

 

La prima Preghiera Eucaristica o Canone Romano

Nel nuovo ordinario della Messa ci sono quattro "preghiere eucaristiche", a scelta del sacerdote secondo le regole esposte nell’Institutio al n° 322. La prima preghiera eucaristica o canone romano può essere utilizzata sempre.

Considerato superficialmente, il canone romano sembra che abbia subìto solo talune modifiche insignificanti. Tuttavia un’ analisi più attenta rivela che i cambiamenti introdotti tendono in generale, e talvolta in modo sottile, a collocare nel testo la concezione dell’ Eucaristia intesa come semplice “agape” (=fraterno convito) compiuta dalla comunità, sotto la presidenza del celebrante, in commemorazione della passione e della resurrezione di Nostro Signore. Come vedremo tra breve, oggi è difficile definire ancora “romano” questo canone.

Come già detto, nella Messa di San Pio V è presente una chiara separazione tipografica tra la parte narrativa della consacrazione e le parole che realizzano la transustanziazione. Per indicare in maniera indubitabile che queste ultime sono dette affermativamente, in persona Christi, e non sono una semplice narrazione, la prima parte del testo si chiude con un punto. In questo modo, è chiaro che da quel momento il sacerdote comincia a parlare in modo imperativo e dichiarativo a nome di Nostro Signore, ossia applica la “formula” sacramentaria alla “materia” (pane e vino). Inoltre, le espressioni che contengono le parole della consacrazione sono stampate a grandi lettere.

Nel nuovo “Ordo”, invece, il testo che precede le parole della consacrazione termina con i due punti, e nelle espressioni che contengono le parole della consacrazione, benché siano stati conservati i caratteri grandi, si trovano aggiunte delle nuove frasi, così che un maggior numero di parole non essenziali per la transustanziazione appaiono anch’esse a grandi lettere. Ciò accredita l’idea che la consacrazione non è nient’altro che una narrazione storica dell’istituzione dell’Eucaristia e non la forma del Sacramento.

Tutte queste alterazioni, pur non rendendo invalida la Messa, tendono ad avvicinare il canone romano al nuovo concetto della Messa espresso nell’Institutio. In altri termini, i nuovi testi del canone chiamato “romano”, sono meno chiari di quelli antichi e il fatto che la parte centrale della Messa è divenuta meno distante dal protestantesimo tende a creare confusioni inammissibili ed estremamente nocive per la Fede.

Introducendo il “racconto della Cena”, il nuovo “Ordo” presenta questa rubrica: “Nelle formule seguenti, le parole del Signore saranno pronunciate in maniera chiara e comprensibile, come lo esige la loro natura”. Questa prescrizione, che è anche valida per le parole della consacrazione propriamente detta, ci appare estremamente grave: 1°) da una parte, perché essa rende la messa cattolica simile alle cene di Zuinglio  e Lutero, ecc.; 2°) dall’ altra, perché la rubrica in questione non stabilisce solo che la parte centrale della Messa sia letta ad alta voce, ma aggiunge che questo lo esige la natura stessa delle parole. Ora, quest’ultima asserzione è praticamente o implicitamente contraria ad una definizione della Chiesa, come già abbiamo indicato trattando di una disposizione simile presente al n° 12 dell’Institutio.

Secondo il nuovo “Ordo”, immediatamente dopo la consacrazione, chi assiste alla Messa deve fare un’acclamazione, per la quale sono proposti tre testi. Due di essi terminano con l’espressione “nell’attesa della tua venuta”: “Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua resurrezione, nell’attesa della tua venuta”; “Ogni volta che mangiamo di questo pane e beviamo a questo calice, annunciamo la tua morte, Signore, nell’attesa della tua venuta”.

Senza dubbio, l’espressione “nell’ attesa della tua venuta” riecheggia San Paolo (I Cor. XI, 26: “fino a che Egli venga”) e dunque di per sé non può essere censurata. Nella prima lettera ai Corinti, però, essa indica l’attesa della seconda venuta di Gesù; messa, invece, immediatamente dopo la consacrazione, allorché Nostro Signore è appena venuto sostanzialmente sull’altare, può lasciar credere che Egli non sia presente, che non sia venuto personalmente sotto le specie eucaristiche. Tale innovazione, in tempi in cui negli ambienti cattolici grava una preoccupante tendenza a negare la presenza reale, ha per conseguenza inevitabile quella di favorire la diminuzione della Fede nella transustanziazione.

Le nuove “preghiere eucaristiche”

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[1]●San Roberto Bellarmino: "Non si deve negare che nella Messa il pane e il vino sono offerti in un dato modo, e che dunque essi fanno parte di ciò che viene sacrificato." (De Missa, libro I, cap. 27, p. 552). "[…] nella Messa non si offre il pane come un Sacrificio completo, ma come un Sacrificio incoativo che deve essere completato" (ibid., p. 253). "L’oblazione del pane e del vino che precede la consacrazione fa parte dell’integrità e della pienezza del sacrificio" (ibid., p. 523).

●Francisco Suarez: "[…] Cristo ha offerto e istituito questo Sacrificio in quanto Sommo Sacerdote secondo l’ordine di Melchisedech; dunque, in un certo qual modo, egli ha offerto il pane ed il vino, non solo come materia, ma anche come termine dell’oblazione, poiché tale era il sacrificio di Melchisedech" (In partem IIIam, disp. 75, sez. I, n. 9, p. 652). "[…] il pane e il vino sono qui [nella Messa] offerti in un dato modo, tuttavia essi non sono offerti semplicemente come degli accidenti, ma in quanto parte integrante della sostanza; ed è per questo che fanno parte di ciò che è offerto, sia in quanto agli uni sia in quanto all’altra" (ibid., n. 11, p. 653). "Noi affermiamo qui che l’offerta non è semplicemente costituita da Cristo, ma anche, in un certo qual modo, dal pane e dal vino. Ciò non significa che ci siano due sacrifici, perché queste due cose costituiscono i termini a quo e ad quem del medesimo Sacrificio, poiché il pane diventa il Corpo di Cristo, la cui presenza santifica la specie" (ibid., n. 12, p. 653).

●Cornelio a Lapide, commentando il passo di San Matteo (XXVI, 26), in cui si legge che Nostro Signore benedice il pane prima della consacrazione, scrive: "Cristo non ha benedetto il Padre, come dicono gli eretici, ma ha benedetto il pane e il vino" (p. 555).

●Diekamp-Hoffmann: "Nell’offertorio della Messa le sostanze del pane e del vino sono offerte come ostie seconde [hostia secundaria], affinché Dio possa convertirle in ostie prime [hostia primaria]". (Man. Theol. Dogm., edizione del 1934, vol. IV, p. 224).

●C. Callewaert, difendendo la tesi secondo cui l’offertorio non è una semplice preparazione al Sacrificio, ma piuttosto una vera oblazione, "un dono fatto a Dio con intenzione sacrificale" (De offerenda et oblatione in Missa, ‘Periodica’, n° 33, 1944, p. 70), scrive: "Apparentemente, il primo a scagliarsi contro il concetto tradizionale di oblazione fu Lutero. Con l’obiettivo di negare alla Messa la sua natura di vero Sacrificio, egli ragionava contro i cattolici nella seguente maniera: non si può donare niente a Dio, poiché egli possiede già tutto; è per questo che nella Messa non si può fare un’oblazione come una donazione, quindi nella Messa non v’è Sacrificio” (ibid., pag. 70).

●Esprimono la stessa opinione: De Lugo, De Sacr. Euch., disp. XIX, sez. VII, n. 99, pp. 208-209; Bossuet, Explication de quelques difficultès…, nn. 36-37, cit. da Billot, De Eccl. Sacr., I, pp. 599-600; Pesch, Prælectiones…, vol. VI, p. 382; Vedi anche: Concilio di Firenze, DS, 1320; ed anche i testi liturgici e i numerosi Padri della Chiesa citati da questi autori: Sant’Ireneo, Tertulliano, Origene, san Cipriano, sant’Ippolito, sant’Agostino, san Gregorio Magno, ecc.

 

[2] Cfr. Luther D. Reed, The Lutheran liturgy, Philadelphia, Fortress Press, 1947, pp. 314 e 345.

 

[3] Questa tendenza a non insistere sul mistero della Trinità ha delle pericolose ripercussioni nell’ecumenismo, favorendo un sincretismo di sapore modernista con le religioni non-cristiane.