IDEE CHIARE SUL MAGISTERO

Attualità della questione

Recentemente sono apparsi articoli e libri, che, per difendere la Tradizione e la Chiesa, o hanno esagerato la portata del Magistero, facendone un Assoluto (errore per eccesso) oppure lo hanno minimizzato e quasi annichilito, negandone la funzione di interpretare la Tradizione e la S. Scrittura (errore per difetto). A titolo di premessa riassumiamo quanto ha scritto in passato[1] e recentemente mons. Brunero Gherardini (cfr. Disputationes Theologicae).

Occorre evitare la premessa erronea che fa del Magistero un Assoluto e non un ente creato, un Fine e non un mezzo, un Soggetto indipendente (absolutus = sciolto) da tutto e da tutti. Niente al mondo ha la dote dell’Assoluto. La Chiesa non fa eccezione, non la sua Tradizione, non il suo Magistero e neppure la Gerarchia, Papa compreso. Si tratta di realtà sublimi, ai vertici della scala di tutti i valori creaturali, ma sempre di realtà penultime, finite, create, dipendenti da Dio, che è l’unica realtà ultima, assoluta, infinita ed increata. (Ed infatti, come vedremo, il Magistero ha la sua “regula fidei” nella Divina Rivelazione).

 

Sulla Tradizione la Chiesa esercita un discernimento decisivo che distingue l’autentico dal non autentico. Lo fa mediante uno strumento che è il Magistero. Il Magistero è un ‘servizio’, ma è anche un ‘compito’, un munus, appunto il munus docendi, che non può né deve sovrapporsi alla Chiesa, dalla quale e per la quale esso nasce ed opera. Dal punto di vista soggettivo, il Magistero coincide con la Chiesa docente, Papa e Vescovi in unione col Papa. Dal punto di vista operativo, il Magistero è lo strumento mediante il quale viene svolta la funzione di proporre agli uomini con autorità la divina Rivelazione.

Troppo spesso, però, si fa di questo strumento un valore a sé (absolutus) e si fa appello ad esso per troncare sul nascere ogni discussione, come se il Magistero fosse al di sopra della Chiesa e come se davanti a sé non avesse la mole enorme della Tradizione da ricevere, interpretare e ritrasmettere integralmente e fedelmente.

 

L’importanza del “munus docendi et interpretandi” del Magistero

Appare evidente nel metodo classico della Teologia dommatica, la quale, dopo aver enunciato la “tesi” (per esempio: “Il Papa è infallibile”) ed aver esposto le varie “opinioni” ed eventuali “errori” sorti nel corso dei secoli a riguardo della tesi, mostra 1)  che una verità è proposta a credere dal Magistero della Chiesa 2) che essa è contenuta nelle due fonti della Rivelazione: Scrittura e Tradizione.

Come si vede, il metodo classico della Teologia dogmatica mette al primo posto il Magistero della Chiesa perché è questa che ha ricevuto da Nostro Signore Gesù Cristo il compito di dare l’esatta interpretazione delle verità rivelate contenute nella Sacra Scrittura e nella Tradizione.

Perciò 1) la fede attinge, sì, le sue verità alle due fonti della Divina Rivelazione (Scrittura e Tradizione), ma non le attinge direttamente, bensì tramite la Chiesa  (Vaticano I, D. 1788); 2) la Chiesa, da parte sua, è legata come “regula fidei” alle due fonti della Rivelazione, dalle quali perciò  il suo Magistero non ha il diritto di distaccarsi. È vero che il Vaticano II tende a privilegiare nello studio della Teologia la S. Scrittura rispetto al Magistero[2], ma anche qui non manca il richiamo alla garanzia della “guida del Magistero della Chiesa” (“sub Ecclesiae Magisterii ductu”, Optatam totius § 16/a).

 

Il Magistero: la proposizione della Divina Rivelazione da parte della Chiesa

Abbiamo già detto che la fede attinge le sue verità alle fonti della Divina Rivelazione (S. Scrittura  e Tradizione)non direttamente, ma bensì tramite la Chiesa e quindi tramite il suo Magistero.

 

Per capire qual è il valore teologico del Vaticano II occorre esporre brevemente la dottrina cattolica sul Magistero. Il Magistero si divide in Solenne e Ordinario. Quello Solenne si suddivide in Conciliare e Pontificio; quello Ordinario in Universale e Pontificio.

●Magistero Solenne Straordinario Conciliare è l’insegnamento di “tutti” (totalità morale, non matematica o assoluta) i Vescovi del mondo riuniti fisicamente – in maniera non abituale e non permanente e quindi “stra-ordinaria” – in Concilio Ecumenico sotto il Papa.

●Magistero Solenne Personale Pontificio: è l’insegnamento del Papa che, in quanto Pastore supremo della Chiesa (o, come si dice, seduto sulla cattedra di Pietro, “ex cathedra Petri”), definisce come divinamente rivelata una dottrina riguardante la Fede e la Morale ed obbliga a crederla come assolutamente necessaria alla salvezza.

Magistero Ordinario significa che il suo modo di esercizio non è eccezionale o extra-ordinario, ma è normale, comune, inerente all’ufficio episcopale e papale. Quindi non è Magistero ordinario quello dei Vescovi riuniti stra-ordinariamente in Concilio sotto il Papa, poiché il Concilio Ecumenico è un avvenimento non ordinario, ma eccezionale nel corso della storia della Chiesa (Concilio di Trento, 1563; Concilio Vaticano I, 1870). Non è ordinario neppure il Magistero del Papa che definisce in maniera solenne o straordinaria (ex cathedra) una verità di Fede.

●Magistero Ordinario Universale è la trasmissione delle verità divinamente rivelate fatta dai Vescovi sparsi fisicamente nel mondo ossia residenti nelle loro Diocesi, ma in comunione col Papa e in accordo tra loro e con Lui nell’insegnare una verità.

●Magistero Ordinario Papale  è l’insegnamento comune, abituale, con il quale il Papa trasmette la Rivelazione, contenuta nella Tradizione e nella Scrittura. Ciò non vuol dire che esso non sia Magistero vero, autentico, ufficiale, e persino infallibile quando adempie alle condizioni per essere assistito infallibilmente da Dio, ossia quando vuole definire e obbligare a credere, anche se è esercitato in maniera comune, ordinaria o semplice. Inoltre il Magistero Ordinario papale è infallibile quando riprende una Verità di Fede o Morale, costantemente e universalmente tenuta da tutta la Chiesa (ad esempio la dichiarazione di Giovanni Paolo II sull’inammissibilità del Sacerdozio femminile).

Il teologo tedesco Albert Lang spiega chiaramente che «non riveste neppure importanza essenziale il fatto che i Vescovi esercitino il loro Magistero ‘in modo Ordinario e Universale’, oppure esercitino il loro Magistero ‘in modo Solenne’ riuniti in un Concilio Ecumenico convocato dal Papa. In entrambi i casi sono infallibili solo se, in accordo tra di loro e con il Papa, annunziano una dottrina in modo definitivo e obbligatorio»[3]. Ossia, per l’infallibilità il modo di insegnamento ordinario o straordinario è accidentale e secondario; ciò che è principale è la volontà di definire e obbligare a credere una verità di Fede o di Morale.

 

Il Magistero regola prossima della Fede

Il ‘dogma’ materiale è una verità rivelata da Dio e contenuta nelle fonti della Rivelazione: S. Scrittura e Tradizione; se è proposta poi a credere come necessaria per la salvezza eterna dal Magistero ecclesiastico con l’obbligo di credervi (Vaticano I, DB, 1800) diviene un “dogma formale”[4]. Pertanto chi nega o rifiuta l’assenso a una verità di Fede definita dal Magistero è eretico e incorre ipso facto nella scomunica o anatema[5].

La ‘definizione dogmatica’ è la dichiarazione della Chiesa che una verità è rivelata e in quanto tale deve obbligatoriamente credersi dai fedeli. Tale definizione può essere fatta sia dal Magistero ordinario sia dal Magistero straordinario o solenne quanto al modo. In virtù di tale definizione il dogma materiale diviene dogma formale o verità di fede divino-cattolica o divino-definita. «Generalmente basta la funzione del Magistero ordinario a costituire una verità di Fede divino-cattolica, vedi Concilio Vaticano I, sess. III, c. 3, DB, 1792[6]» (P. Parente, Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4° ed., 1957, voce “Definizione dommatica”). Si badi, però, che se il Magistero ordinario può definire infallibilmente un dogma formale, non significa che esso sia sempre infallibile e che ogni suo pronunciamento sia una definizione dommatica; lo è solo se il Papa vuole definire una verità come di fede rivelata e obbligare a crederla per la salvezza eterna. (Cfr. “Enciclopedia Cattolica”, IV, col. 1792).

“L’infallibilità[7] presuppone, infatti, da parte del Magistero la volontà di definire e obbligare a credere come rivelata una verità contenuta nel Deposito della Fede: S. Scrittura e Tradizione.

Da quanto sopra appare evidente che il il Magistero è la ‘regola prossima’ della fede, mentre la S. Scrittura e la Tradizione sono la ‘regola remota’. Infatti, è il Magistero della Chiesa[8] che interpreta queste due fonti della Rivelazione e obbliga a credere ciò che è contenuto in essa come oggetto di fede, per la salvezza eterna.

 

Il Magistero conciliare è straordinario, ma non è sempre infallibile

Il Concilio è Magistero straordinarioquanto al modo’, nel senso che non è abitualmente o permanentemente, ma solo eccezionalmente riunito; tuttavia il suo insegnamento è infallibile soltanto se vuole definire e obbligare a credere una verità di Fede.

La forma esterna solenne o straordinaria di pronunciarsi (come già visto) non è per sé indice di infallibilità: la forma è elemento accidentale; l’essenziale è imporre ‘quanto alla sostanza’ la dottrina annunziata come definita e obbligatoria per la salvezza. Onde non tutto ciò che è Magistero straordinario quanto alla forma esterna di pronunciarsi è infallibile.

La costituzione ‘Pastor Aeternus’ del Concilio Vaticano I insegna che il Papa è infallibile «quando parla ex cathedra, cioè quando, adempiendo l’ufficio di Pastore e di Dottore di tutti i cristiani, in virtù della sua suprema autorità apostolica, definisce una dottrina riguardante la Fede ed i Costumi, che deve tenersi da tutta la Chiesa»[9]. I teologi sono unanimi nel vedere in questa dichiarazione  la soluzione del problema dell’ infallibilità pontificia[10]. Pertanto le condizioni necessarie perché si abbia un pronunciamento infallibile del Magistero pontificio sono quattro: 1°) che il Papa parli come Dottore e Pastore universale; 2°) che usi della pienezza della sua autorità apostolica; 3°) che manifesti chiaramente la volontà di definire e di obbligare a credere; 4°) che tratti di fede o di morale.

Il punto cruciale del problema è nella terza condizione, e cioè nella manifestazione dell’intenzione di definire ed obbligare a credere. Fondamentalmente deve essere chiaro, in un modo o nell’altro, che il Papa vuole definire (in maniera ‘ordinaria’ o ‘straordinaria’) una verità da credere obbligatoriamente in quanto divinamente rivelata.

Il Concilio Vaticano I non ha dichiarato in che condizioni un Concilio ecumenico è infallibile. Ma, per analogia con il Magistero pontificio, si può affermare che le condizioni sono le stesse. Come il Papa, anche il Concilio ha la facoltà di essere infallibile, ma può usarne o no, a sua volontà.

Molti cattolici male informati potrebbero a questo punto obiettarci di avere sempre sentito dire che ogni Concilio ecumenico è necessariamente infallibile. Questo non è però quanto dicono i teologi: “a posse ad esse non valet illatio”, ossia “il passaggio da poter essere infallibilmente assistito ed esserlo de facto non è valido”. San Roberto Bellarmino afferma che solo dalle parole del Concilio si può sapere se i suoi decreti sono proposti come infallibili e conclude che, quando le espressioni al riguardo non sono chiare, non è certo che la dottrina enunciata sia di Fede.[11] E, se non è certo, non c’è neppure l’obbligo di credere, perché, secondo il Codice di Diritto Canonico, «nessuna verità deve essere considerata come dichiarata o definita come da credere, a meno che questo consti in modo manifesto»[12].

 

Vaticano II e infallibilità

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[1] Brunero Gherardini, Tradidi quod et accepi. La Tradizione, vita e giovinezza della Chiesa, Frigento, Casa Mariana Editrice, 2010; Id., Quaecumque dixero vobis. Parola di Dio e Tradizione a confronto con la storia e la teologia, Torino, Lindau, 2011.

[2] Cfr. Optatam totius § 16/b : la S. Scrittura “sia come l’anima di tutta la Teologia”; §16/c: “si propongano primi i temi biblici, si illustri quindi agli alunni la dottrina dei Padri orientali e latini” e ancora  ancora Dei Verbum, n. 24: “lo studio del Libro Sacro sia come l’anima della Sacra Teologia”.

[3] Compendio di Apologetica, tr. it. Torino, Marietti, 1960, p. 461.

[4] Cfr. Cipriano Vagaggini, voce “Dogma”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, col. 1792-1804; Giacinto Ameri, voce “Definizione dogmatica”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 1306-1307.

[5] Cfr. G. Zannoni, voce “Eresia”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. V, coll. 487-492.

[6] «Sono da credersi di fede divino-cattolica tutte le cose che sono contenute nella Parola di Dio scritta o tramandata e che sono proposte a credere dalla Chiesa, sia con Giudizio solenne sia col Magistero ordinario, come divinamente rivelate».

[7] Cfr. Federico dell’Immacolata, voce “Infallibilità”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1951, vol. VI, coll. 1920-1924.

[8] Cfr. M. Cordovani, voce “Chiesa”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. III, coll. 1443-1466; Antonio Piolanti, voce “Primato di San Pietro e del Romano Pontefice”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1953, vol. X, coll. 6-19; Giuseppe Damizia, voce “Concilio”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1950, vol. IV, coll. 167-172.

[9] DB, 1839.

[10] Cfr. F. Diekamp, Theologiae Dogmaticae Manuale, Desclée, Parigi-Tours-Roma, 1933, vol. I, p. 71; L. Billot, Tractatus de Ecclesia Christi, Giachetti, Prato, 1909, tomo I, pp. 639 ss.; L. Choupin, Valeur des décisions doctrianales et dísciplinaires du Saint-Siège, Beauchesne, Parigi, 1928, p. 6; J. M. Hervé, Manuale Theologiae Dogmaticae, Berche, Parigi, 1952, vol. I, pp. 473 ss.; C. Journet, op. cit., vol. I, p. 569; P. Nau, El magisterio pontificio ordinario, lugar teologico, cit., p. 43; I. Salaverri., op. cit., p. 697; S. Cartechini., op. cit., p. 40.

[11] Cfr. R. Bellarmino, De Conciliis, 2, 12, in Opera omnia, Natale Battezzati, Milano, 1858, vol. II.

[12]Codex Iurís Canonici (1917), can. 1323, § 2. Nello stesso senso, cfr. S. Cartechini, op. cit., p. 26..