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Categoria: Anno 2011

NEL CENTESIMO ANNIVERSARIO DI PADRE CORNELIO FABRO (1911-1995)

Premessa

Nell’anno in corso ricorre il centesimo anniversario della nascita di padre Cornelio Fabro giustamente denominato «uno dei massimi pensatori dell’umanità» (Cf. “Instaurare omnia in Christo”, 1, Udine, 1995, p. 3)[1]. Non basterebbe un volume per illustrare la vita[2] ma, soprattutto, l’opera del pensatore in discorso; il quale, d’ora in poi, sarà citato nella forma abbreviata: F.

 

Cenni sull’opera teoretico- teologica di Fabro

Alla luce di S. Tommaso, F. è il filosofo dell’autentico essere. E gli altri aspetti della sua vastissima produzione, si possono considerare come partecipazioni a questo impegno radicale nella teoresi metafisica sul vero essere, il quale è, esclusivamente, l’esse ut actus, cioè la più originaria perfezione attuante e fondante ogni altra; esattamente come insegna S. Tommaso. L’opera teoretico-teologica di F. si può, quindi, riassumere nei seguenti aspetti costitutivi:

a) tomistica rottura con l’ essenzialismo, o il formalismo, di una scolastica più o meno anti-tomistica, il cui principale esponente è Francisco Suàrez (1548-1617); b) tomistica rottura con l’ umanesimo antropocentrico, e dunque ateo, dell’immanentismo moderno-contemporaneo; c) tomistica rottura con l’antropocentrismo, realmente immanentistico e solo apparentemente cristiano, del neomodernismo che è apostasia mascherata da apostolato; d) esegesi intensiva della posizione teoretico-teologica di Kierkegaard, con conseguente differenziazione tra ciò che si può chiamare il meglio di questo filosofo e i lati inaccettabili del suo pensiero (Cf. A. Dalledonne, Problematica metafisica del tomismo essenziale, Elia, Roma, 1980; Id., Implicazioni del tomismo originario, Quadrivium, Genova, 1981; Id., Valenze etico-speculative del realismo metafisico, Marzorati, Settimo Milanese, 1993; Id., Cornelio Fabro. Essere e libertà come fondamenti del tomismo essenziale, Seam, Formello [Roma], 2001; A. Dalledonne-R. Goglia, Cornelio Fabro. Pensatore universale, Frosinone, 1996, pp. 57-117).

 

Tomistica rottura coll’ essenzialismo o formalismo

La considerazione della nozione tomistica di partecipazione impegnò F. sin dalla prima fase del suo pensiero. Insoddisfatto di qualunque essenzialismo o formalismo, presto F. si convinse della centralità che nel “tomismo essenziale” - espressione propria di F.- compete alla nozione metafisica in discorso (Cf. F., La nozione metafisica di partecipazione secondo S. Tommaso d’ Aquino, [1939], Segni, 2005, IV ed.). Si noti, però, che “tomismo essenziale” non significa per nulla “essenzialismo”, e neppure “esistenzialismo”. Infatti l’errore radicale dell’ essenzialismo, o formalismo, consiste nell’occuparsi soltanto delle essenze trascurando o dimenticando l’atto di essere partecipato degli enti, il quale rende reale ogni essenza e forma. Tuttavia ciò non significa neppure negare la positività ontologica dell’essenza e forma dei vari enti.

 

 

L’atto d’essere

In merito l’Angelico insegna che «l’essenza, prima di avere l’atto di essere, non è nulla [non esiste ancora]» (De Pot., q. 3, a. 5, ad 2) e che «è necessario che l’atto stesso di essere stia all’essenza, la quale è diversa e distinta da esso, come l’atto alla potenza» (S. Th., I, q. 3, a. 4. Cf. De spir. Creat., a. 1). Noi, però, possiamo ascendere a questi rilievi capitali solo se cominciamo dall’ apprensione del sìnolo metafisico di ente (ens), composizione fra essere partecipato (atto) ed essenza (potenza). Ne proviene che l’autentico atto di essere (esse) non va mai confuso col fatto dell’esistenza, la quale è il semplice risultato della presenza dell’ente nella realtà (Cf. F., La nozione metafisica…, cit., e passim) e che, essendo perciò il secondo modo dell’ essenza ossia della potenza che senza l’atto di essere non sarebbe [o non esisterebbe] semplicemente, non può assurgere alla dignità di atto metafisico (Cf. F., La nozione metafisica…, cit., pp. 188-258; Id., Partecipazione e causalità secondo S. Tommaso d’Aquino, Segni, 2010, II ed., pp. 22-68, 635 ss; Id., Tomismo e pensiero moderno, Roma, 1969, pp. 114 ss.). F. puntualizza che il semplice fatto dell’esistenza si può predicare anche dei difetti, delle malattie, della morte e dei peccati: tutti danni o deficienze degli enti, ma non certo perfezione di enti o ‘enti in senso proprio’ (F., Il nuovo problema dell’essere e la fondazione della metafisica, in “Rivista di filosofia neo-scolastica”, 2-4, 1974, p. 487). «Solo le sostanze vanno denominate enti in senso vero e proprio» (S. Th., I, q. 90, a. 2). È pertanto chiaro che né la sola essenza né la sola esistenza possono condurci o farci risalire a Dio. Ben al contrario, lo può perfettamente la partecipazione degli enti all’essere, secondo l’insegnamento di S. Tommaso: «Alla struttura metafisica di ogni ente per partecipazione consegue la sua dipendenza causale, o creaturale, dall’Altro» (Cf. S. Th., I, q. 44, a. 1, ad 1; ivi, ad 2). Appunto su tale partecipazione si fonda la “quarta via” tomistica soltanto nella quale Dio è qualificato come “causa dell’essere”, ovvero Creatore, di tutti gli enti (S. Th., I, q. 2, a. 3). Questo atto di essere, trascendendo ogni essenza e forma, trascende doppiamente ogni idea o concetto; per cui tomisticamente si deve parlare del concreto atto metafisico di essere (Cf. F., Introduzione a San Tommaso. La metafisica tomistica e il pensiero moderno, Milano, 1997, II ed., pp. 158-188). Sennonché non potremmo salire al presente livello di riflessioni se non apprendessimo l’ente (ens) all’inizio stesso della nostra conoscenza. Come insegna S. Tommaso, il termine “ente” non esprime quale sia l’essenza, ma esprime anzitutto e soprattutto l’atto di essere poiché si tratta del principio stesso (Cf. In I Sent., d. 8, q. 4, a. 2, ad 2; De Ver., q. 1, a. 1, e ad 3). Ed è perciò stesso che l’ente, vale a dire l’ente per partecipazione, è il fondamento metafisico dell’uno, del vero, del bene ed è la matrice trascendentale del principio di non contraddizione (Cf. F., Tomismo e pensiero moderno, cit., pp. 398-407; Id., Introduzione a San Tommaso…, cit., loc. cit.). Ne consegue che, in virtù di questa sua partecipazione, è l’ente in quanto tale a compiere la mediazione trascendentale tra il finito e l’Infinito. Così si esplicita l’espressione, tipica di F., secondo cui «il primo plesso dell’ente costituito dall’essere partecipato e dall’essenza, fonda il primo nesso della dipendenza causale, o creaturale, di ogni ente finito dall’Essere infinito». Così il vero essere da San Tommaso è riconosciuto come il costitutivo metafisico proprio di Dio; il Quale, appunto per questo, è la Causa dell’essere, e dunque il Creatore, di tutti gli enti. Non è difficile, allora, vedere che l’onnipresenza creatrice di Dio negli enti presuppone ed esige la sua infinita trascendenza su di essi tutti (Cf. i fondamentali testi tomistici: S. Th., I, q. 4, a. 2, ad 3; ivi, I, q. 11, a. 4, ivi, I, q. 8, aa. 1-4; ivi, I, q. 105, a. 5. V. quindi F.,Partecipazione e causalità, cit., pp. 441-483).

 

L’analogia di attribuzione e di proporzionalità

Questa trascendenza fonda anche l’analogia delle creature al Creatore: «somiglianza dissomigliante» e «dissomiglianza somigliante». Infatti ogni creatura è più o meno simile a Dio in virtù, anzitutto e soprattutto, del suo atto di essere partecipato; ed è più o meno dissimile a Dio in séguito, anzitutto e soprattutto, alla sua essenza. Di qui la priorità fondativa dell’analogia di attribuzione intrinseca rispetto a quella, imprescindibile anch’essa, di proporzionalità. Quest’ultima accentua specialmente la distanza metafisica degli enti da Dio. Invece quella accentua primariamente la dipendenza causale, o creaturale, degli enti da Dio (Cf. S. Th., I, q.3, a. 7, ad 1; ivi, I, q. 13, a. 5; Comp. Th., c. 130, n. 261; Partecipazione e causalità, cit., pp. 498-525, 592-608, 639-651). Così S. Tommaso è riuscito là ove non vi sono riusciti neppure Platone, chiuso nell’ essenzialismo della sua ‘idea’, ed Aristotele, chiuso nell’ essenzialismo della sua ‘forma’ e della sua ‘sostanza’, da lui presentate senza il riferimento al vero essere che le perfeziona e ultima. S. Tommaso trascende anche questi due essenzialismi elevando al suo proprio livello metafisico-teoretico quanto c’è di valido in entrambi gli indirizzi (Cf. De Subst. sep.,c. 3). Si dovrebbe dunque liberare il tomismo originario «dalle pesanti catene che lo legavano al platonismo e all’aristotelismo per farlo emergere nella sua […] prospettiva di atto che l’impone come l’unica filosofia coerente sull’atto di essere» (F. Tomismo e pensiero moderno, cit., p. 380). S’illumina così anche la concezione tomistica dell’uomo: nella dottrina dell’Aquinate l’atto stesso di essere è il costitutivo formale di ogni persona (Cf. S. Th., III, q. 19, a. 1, ad 4). Siamo le persone che siamo anche, senza dubbio, per la nostra partecipazione predicamentale all’ essenza umana; ma lo siamo, con molto maggiore intensità, per la partecipazione trascendentale di noi singoli all’atto di essere che, come si è visto, precede e trascende ogni essenza e forma. Il che presuppone la tesi tomistica sulla necessità metafisica, partecipata-creaturale, di tutte le sostanze spirituali (Cf. S. Th., I, q. 9, a. 2; ivi, I, q. 86, a. 3; ivi, I, q. 104, a. 1, e ad 1; S. c. Gent., l. II, c. 30). Le loro operazioni come il volere, l’ apprendere, il pensare e il ragionare, grazie alla loro spiritualità dimostrano l’incorruttibilità intrinseca, cioè l’immortalità, di ogni Angelo e di ogni anima umana (Cf., S. Th., I, q. 50, a. 5, e ad 3; ivi, I, q. 75, a. 6, e ad 2; F., L’anima. Introduzione al problema dell’uomo, Segni, 2005, III ed., pp. 120-136; Id., Esegesi tomistica, Roma 1969, pp. 370 s., 405 s.). È questa la necessità metafisica ora detta.

 

Intelletto e volontà

F. inoltre rivendica anche l’ emergenza qualitativa della volontà libera rispetto alle altre facoltà, comprese l’intelligenza e la ragione. Mentre nelle operazioni di queste due facoltà siamo più impersonali che personali [è l’oggetto extramentale che s’impone al soggetto conoscente], nelle operazioni della volontà libera siamo personali sino ad essere insostituibili [siamo noi che vogliamo un oggetto e “usciamo fuori” da noi per unirci a lui]. In Riflessioni sulla libertà, (Segni, 2004, II ed.) F. dimostra, mediante molti testi dell’Angelico, che l’Aquinate è il massimo filosofo della libertà. Superando, infatti, lo stesso Aristotele che riteneva di vedere nel pensiero la suprema realtà, l’Aquinate asserisce: «Penso perché voglio» (De malo, q. 6, a. unico; In III Sent., d. 23, q. 1, a. 2, ad 3, par. 45. Cf. S. c. Gent., l. I, c. 72); «Crediamo perché vogliamo» (De Caritate, a. 13, ad 12. Cf. De Ver., q. 4, a. 2, ad 7); «È detta buona non la persona che ha una buona intelligenza, ma quella che ha la buona volontà» (S. Th., I, q. 5, a. 4, ad 3). E, riguardo a questo primato qualitativo della volontà libera, si ricordi soprattutto che «la carità risiede, come nel suo soggetto, in una sola facoltà: ovvero nella volontà che, col suo dominio imperiale muove le altre facoltà» (De Caritate, a. 5, ad 6. Cf. S. Th., I, q. 83, a. 2, Sed contra; ivi, II-II, qq. 23-25; ivi, II-II, q. 83., a. 3, ad 1; De Ver., qq. 22-28). È dunque chiaro: essendo la carità la massima virtù teologale ed essendo la volontà libera l’unico soggetto di questa virtù, se ne evince che la nostra volontà libera è, di per sé, la nostra facoltà più nobile (Cf. F., Profili di Santi, Segni, 2008, II ed.). Al contrario, la possibilità di peccare è il più grave limite della nostra libertà. Si pensi, per esempio, alla semplice possibilità di un medico di uccidere i suoi pazienti. «Dio solo è il fondamento della […] libertà e il peccato è il suo obitorio» (B. Gherardini, Coscienza cattolica e cultura contemporanea, Roma, 1987, p. 63). Sono perciò immortali l’asserto di S. Agostino secondo cui il vero filosofo è colui che ama Dio (De Civitate Dei, l. VIII, c. 1) e quello di S. Tommaso secondo cui più siamo caritatevoli più siamo liberi (In III Sent., d. 29, a. 8, quaest. 106, Sed contra). Infatti la vera libertà è la libertà dal peccato, mentre la vera schiavitù è la schiavitù del peccato perché la libertà autentica è la facoltà di compiere il bene senza esservi necessitati da nessuno e da nulla, e mai il male (S. Th., II-II, q. 183, a. 4). F., già in un’opera del 1959, asserisce che “l’unica libertà è la vittoria sul peccato” (Vangeli delle Domeniche, Segni, 2011, II ed., p. 273).

 

Tomistica rottura con l’ antropocentrismo immanentistico

Allo studio dell’ateismo antropocentrico del principio d’immanenza in tutte le forme F. ha dedicato la sua magistrale Introduzione all’ ateismo moderno (Roma, 1969, II ed., 2 voll. D’ora in poi questa opera sarà citata nella forma abbreviata Ateismo).

 

Il soggettivismo

continua sull'edizione cartacea...

 


[1] Corsivo nostro come degli altri testi che citeremo direttamente.

[2] Cornelio Fabro. Cenni biografici… Notizie tratte da N. Dalle Vedove [confratello del F.] e da R. Goglia [discepola del F.], Edizioni del Verbo Incarnato, Segni (Roma), 2005, p. 1. Altre importanti notizie su questi temi si trovano in R. Goglia, Cornelio Fabro. Profilo biografico cronologico tematico da inediti, note di archivio, testimonianze, Segni, 2010, pp. 9-166, 232-258.