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IL LIBERALISMO, PIO XI E L’AZIONE CATTOLICA

Altre tre accuse (v. sì sì no no, 15 giugno 2010, p. 5) vengono mosse a Pio XI: 1°) di aver promosso l’Azione Cattolica, che sarebbe stata madre del Concilio Vaticano II; 2°) di aver avuto come segretario di Stato il card. Pietro Gasparri, che era notoriamente liberale; 3°) infine che, se i suoi documenti furono buoni dottrinalmente, la sua azione non dette buoni frutti. Quindi praticamente (se non teoricamente) Pio XI fu un Papa liberale.

 

Risposte

Quanto alla 1ª accusa, occorre studiare la storia dell’Azione Cattolica.

A) De jure, o quanto ai princìpi, essa è l’ordinamento principale dei militanti cattolici, in immediata dipendenza dalla gerarchia ecclesiastica (Papa e Vescovi), in vista dell’ apostolato dei laici. Ora, l’apostolato in senso stretto, per istituzione divina, spetta solo agli Apostoli scelti da Cristo, “cum Petro et sub Petro”. Da essi discenda ai Vescovi e al Papa. I sacerdoti sono cooperatori della gerarchia nell’apostolato in virtù dell’ ordinazione sacerdotale. I laici, invece, in quanto battezzati e cresimati, sono cristiani e perfetti cristiani o soldati di Gesù Cristo, e debbono cooperare attivamente all’ instaurazione del regno sociale di Cristo nel mondo intero. L’AC quindi non è un partito politico, ma i suoi appartenenti debbono portare la dottrina del Vangelo, sotto l’alta direzione della gerarchia e l’ assistenza spirituale dei parroci, nella “polis” o società civile. Onde, essa “non può non fare politica”  
intesa come “virtù della prudenza applicata alla società civile” (Pio XII, 14 ottobre 1951).

B) De facto, quanto alla sua storia, nel 1867 Mario Fani e Giovanni Acquaderni promossero la “Società della Gioventù Cattolica Italiana”, che fu approvata da Pio IX il 2 maggio 1868. Scopo della Società era la difesa della Chiesa e del Papato dopo il Risorgimento e con l’apertura della Questione Romana. Nel 1875 nasce l’«Opera dei Congressi e Comitati Cattolici» per lottare contro la Massoneria, il Liberalismo e il Socialismo. Purtroppo, circa trenta anni dopo, l’«Opera dei Congressi» fu infiltrata da elementi catto-liberali ed entrò in crisi nel 1899; essa fu sciolta nel 1904 da S. Pio X, che riorganizzò l’Azione Cattolica italiana (Il fermo proposito, 1904). Pio XI la incrementò sino a chiamarla “la pupilla dei suoi occhi” e dette un ordinamento all’Azione Cattolica italiana affinché fosse un modello per tutte le nazioni (Ubi arcano Dei, 1922). Nel concordato con l’Italia del 1929, Pio XI esigette il riconoscimento dell’AC, non in quanto partito politico, ma come associazione socio-culturale, che svolge la sua azione sotto le dirette dipendenze della S. Sede. Quando Mussolini nel 1931 sciolse l’AC per avere il monopolio dell’educazione della gioventù, Pio XI reagì con forza (Non abbiamo bisogno, 1931) ed ottenne il riconoscimento dell’AC da parte dello Stato italiano. Pio XII sin dall’inizio del suo pontificato (1939) ne affidò la direzione ad un Comitato di tre Cardinali; essa ricevette il suo ultimo aggiornamento nel 1946. Papa Pacelli affidò l’ organizzazione pratica e militante (decisamente anti-comunista) dell’AC italiana del dopoguerra al prof. Luigi Gedda (cfr. il suo interessantissimo libro, 18 aprile 1948, Milano, Mondatori, 1999). Purtroppo con Giovanni XXIII Luigi Gedda venne defenestrato e l’AC perse il suo carattere militante di “apostolato dei laici per l’ instaurazione del regno sociale di Cristo” mediante l’ affermazione e professione pubblica della verità naturale e divinamente Rivelata e la lotta (anche fisica, cfr. i famosi “baschi blù”) contro l’errore. Infine, con Paolo VI divenne un covo di catto-comunisti, filo-divorzisti e filo-abortisti. Onde non è l’AC di per sé che ha prodotto il Concilio Vaticano II, ma l’AC deformata da Giovanni XXIII e Paolo VI, con la quale Pio XI non ha nulla a che spartire, come neanche Pio XII.

● Quanto alla 2ª accusa, c’è da tener presente che Pietro Gasparri fu Segretario di Stato solo dal 1914 (sotto Benedetto XV) sino al 1931. Infatti Pio XI dopo i fatti del Messico (1929), lo congedò e dal 1932 al 1937 perseguì la politica del muro contro muro, parlando anche di liceità della rivolta armata contro la tirannide.

Il Gasparri dal punto di vista dommatico era pienamente ortodosso (cfr. il suo famosissimo “Catechismo”, che è un vero capolavoro); quanto al diritto canonico, poi, è stato sommo. Infatti assieme al giovane Pacelli fu il compilatore del CIC del 1917; quanto alla politica, se in Messico sbagliò nella pratica e non sui princìpi, quanto al sionismo fu fermamente contrario (1917 Balfour, 1922 “Libro Bianco”) alla nascita dello Stato israeliano. Invece, per fare un esempio, il card. Louis Billot, pur essendo un ottimo teologo anti-modernista, sbagliò valutazione pratica sul sionismo (cfr. La Parousie) vedendo in esso l’avverarsi della promessa della futura conversione di Israele (“omnis Israel salvabitur”), ma non per questo fu un liberale. Errare humanum est quanto all’applicazione dei princìpi al caso concreto. Il liberale, invece, erra sui princìpi, cercando di conciliare naturalismo liberale e cattolicesimo.

Gasparri non ha mai affermato tale spurio connubio, anche se non era un simpatizzante dei metodi del ‘Sodalitium Pianum’, che, certe volte, dopo la morte di s. Pio X (1914), divennero alquanto esagerati: collaborazione di mons. Umberto Benigni con l’Ovra (la polizia politica fascista), rivalutazione del Risorgimento, svalutazione della Compagnia di Gesù in quanto tale come “internazionale nera” massonica. È anche vero che Gasparri testimoniò contro la santità di Pio X e che fu eccessivamente condiscendente verso Buonaiuti, ma questi suoi due errori, anche se gravi, non sono da attribuirsi a Pio XI, il quale per carattere e mentalità era l’esatto opposto del liberale. Infatti papa Ratti era sempre pronto alla lotta e alla polemica - quasi sin troppo - quando vedeva minacciati i diritti di Dio e della Chiesa, mentre il catto-liberale, sui princìpi e nella pratica, è sempre pronto al cedimento, alla prudenza eccessiva o umana, al pacifismo e all’arrendevolezza, al filantropismo che confonde con la carità soprannaturale; egli vorrebbe conciliar l’inconciliabile mancando di princìpi, di carattere e avendo orrore per la lotta (cfr. Sarda Y Salvani, Il liberalismo è peccato e A. Roussel, Libéralisme et Catholicisme). Ora se il liberalismo è un peccato grave contro la fede e la carità, non si può - realisticamente - attribuire a Pio XI un’attitudine neppure solo tendenzialmente liberale, dacché essa non corrisponde né ai princìpi né all’azione pratica di papa Ratti. Si pensi soltanto al fatto che, quando Hitler venne ufficialmente in Italia nel 1937 e visitò come capo di Stato Roma, Pio XI per protesta lasciò l’Urbe e si recò a Castelgandolfo. Certamente in maniera molto poco liberale e diplomatica.

Quanto alla 3ª accusa, non si può dire che i frutti dell’azione del pontificato di Pio XI siano stati cattivi.

In Messico, nel 1929 si giudicò praticamente male, ma col senno di poi tutti siamo capaci di criticare. Tuttavia prima della rivolta (1926-29) non era evidente né la possibilità di riuscita né che la situazione successiva sarebbe stata migliore di quella precedente. Quando il Papa (1931) si accorse dello sbaglio, cambiò giudizio (e Segretario di Stato, scegliendo Eugenio Pacelli, che certamente non era un liberale) e si corresse. Questo lo scagiona dall’ accusa di liberalismo. Un liberale avrebbe continuato a cedere e a non volersi correggere.

Ora, se in Messico la situazione degenerò, negli altri Paesi il suo pontificato fu proficuo e portò buoni frutti.

Pastoralmente: le canonizzazioni del Curato d’Ars, di Teresa del Gesù Bambino, di Pietro Canisio, di Giovanni Battista Eudes, di Roberto Bellarmino, di Bernadette Soubirous, di don Bosco, di Alberto Magno, di Tommaso Moro dettero incremento alla vita spirituale e all’integrità dottrinale dei fedeli di tutto il mondo.

Apostolicamente: Pio XI viene chiamato “il Papa delle missioni” perché tra il 1922 e il 1939 ha fondato 37 missioni, specialmente in Africa e in Cina, in India e Giappone. Onde la più intensa espansione del cristianesimo in Asia ed Africa è stata soprattutto opera di papa Ratti.

Politicamente: la lotta contro il comunismo “intrinsecamente perverso” (Divini Redemptoris, 1937), contro il nazionalsocialismo in quanto neopagano (Mit brennender Sorge, 1937) e su alcuni aspetti del fascismo, quanto ai rapporti Stato-Chiesa (Divini illius Magistri, 1929 e Non abbiamo bisogno, 1931), posero la Chiesa al centro dei problemi massimi del tempo presente, che Pio XI risolse magistralmente tramite il suo insegnamento petrino, che è passato alla storia.

Giuridicamente: i concordati (con Lettonia, Baviera, Polonia, Lituania, Romania, Prussia, Italia, Germania, Iugoslavia), che assicuravano alla Chiesa dei diritti, non unilateralmente concessi da uno Stato, che si reputava superiore ad essa, ma per contratto bilaterale tra due società perfette, una di ordine naturale e l’altra soprannaturale, ridettero “le Nazioni a Dio e Dio alle Nazioni” (Pio XI) secondo la dottrina della regalità sociale di Cristo.

CONCLUSIONE

Yves Chiron, nel suo interessante libro Pio XI (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2006), ammette che il pontificato di papa Ratti fu caratterizzato dall’«antimodernismo della regalità sociale di Cristo» (pp. 155-177), dall’impulso alle missioni, che portarono il Vangelo in gran parte del mondo non ancora evangelizzato e approfondirono il cristianesimo nelle anime indigene che già lo avevano ricevuto (pp. 178-197) e dall’Azione Cattolica, intesa dal Papa come un dover “rifare la società cristiana” (p. 229).

Anche per quanto riguarda i ‘cristeros’, Chiron è assai equilibrato con Pio XI, cfr. pp 376-384; 431-438. Pure in Messico, sebbene alla fine (“meglio tardi che mai”), i frutti vennero: «Il governo messicano aveva già iniziato a modificare la sua politica. Durante il 1937 e il 1938 a poco a poco saranno riaperte tutte le chiese e il numero dei preti autorizzati non subirà più limitazioni. Questa vittoria è dovuta da una parte alla fermezza dimostrata da Pio XI nelle sue encicliche e allocuzioni. Ma anche alla resistenza armata e spirituale dei cattolici messicani, resistenza armata che è stata riconosciuta legittima dalla Chiesa [e da Pio XI] anche se tardi» (p. 438).

Certamente, ciò non significa che tutte le scelte pratiche e le azioni di Pio XI siano state le migliori possibili, ma neppure è lecito dire che esse siano state inficiate dal liberalismo dottrinale o pratico. Come al solito, si tratta di distinguere: né errore per eccesso (angelismo: che vorrebbe fare del Papa un angelo o un semi-dio), né errore per difetto (anti-papismo: che tende a svalutare e condannare come gravemente peccaminoso l’ operato pratico-politico di un Papa, quando - col senno di poi - esso si rivela non pienamente soddisfacente), ma in medio et culmine stat veritas: se i princìpi sono conformi alla dottrina cattolica e la loro applicazione è - per quanto umana fragilità lo permetta - conforme alla recta ratio agibilium, ci si trova di fronte ad un Papa che ha custodito il Deposito affidatogli da Cristo ed ha cercato di calarlo in pratica, in circostanze non sempre facili, con la possibilità implicita di non ottenere il massimo, ma pur sempre con la retta intenzione di correggersi, qualora si accorgesse di aver fatto falsa strada. Ora Pio XI mi sembra appartenere proprio a quest’ultima classe di Papi.

C. N.

Note su Pio XI del Card. Tardini

Rimarranno famosi i solidi pugni sulla scrivania che dava Pio XI nei momenti del suo giusto e santo sdegno. Nel 1936 tenne un discorso abbastanza forte a un notevole gruppo di spagnoli – specialmente sacerdoti e suore – fuggiti di fronte alle persecuzioni dei comunisti. Tornato al suo studio, mi domandò: “Crede lei che risponderanno?”. “Può darsi!” risposi io. E il Papa subito risolutamente sempre colpendo… il tavolo: “E allora risponderemo anche Noi!”.

Dopo gli accordi di Monaco del settembre 1938, Pio XI diceva, accennando a inglesi e francesi: “Questa non è una capitolazione, è un capitombolo!”.

Una volta – non ricordo bene per qual motivo – mi diede una solenne sgridata. Ben presto si calmò, dicendo: “Ora mi sento meglio!”. Osai rispondere: “Sono io, Santità, che non mi sento meglio!”. E il Papa, continuando la conversazione, trovò il modo di regalarmi un orologio, che ancora conservo. […]

Non si creda, però, che Pio XI fosse un uomo burbero e scontroso. Tutt’altro. Era anche lui mite, buono e cordiale. Le sue conversazioni erano piacevolissime. […].

Pio XI , da buon milanese, aveva vivo il senso dell’humour. Nel novembre 1936, dopo il primo attacco della grave malattia che, in poco più di due anni, lo portò alla tomba, il Papa si vide circondato da ben cinque medici, tra i quali il P. Gemelli. Volgendosi a lui, il Santo Padre disse scherzosamente: “Cinque! Non basta un solo medico per mandare una persona all’altro mondo?”.

Pio XI aveva sentimenti e gesti di fine delicatezza. Per esempio, conservava con cura tutti i regali che riceveva durante le Udienze. Quasi sempre si trattava di piccole cose. Le numerose coppie di sposi – che riceveva quasi quotidianamente – gli davano la bomboniera con i confetti. Questi erano posti in uno scatolone, che si trovava nella stanza da pranzo del Papa. Quando lo scatolone era pieno, Pio XI mandava i confetti ai malatini dell’ospedale del “Bambin Gesù”. Le bomboniere, invece, anche le più semplici e povere, erano collocate – insieme a tutti gli altri regali – in certi grandi armadi a vetri, che occupavano quasi interamente le pareti del grande salone del suo appartamento privato. Ogni tanto il Papa faceva una piccola passeggiata in quella sala e si fermava davanti agli armadi per contemplare con interesse quella abbondante collezione di oggetti così disparati. Era contento, quasi rievocasse persone e fatti e quasi rivivesse il suo passato.

Le mani alzate sbaragliano più battaglioni che le mani che colpiscono.

Bossuet

Un giorno un piccolo bimbo – non avendo altro da dare – offrì al Santo Padre un burattino. Pio XI ne fu assai lieto e per parecchi giorni tenne bene in vista sulla sua scrivania quel giocattolo, narrando ai visitatori il gustoso episodio.

Pio XI ricordava con molto affetto la sua mamma. Ripeteva scherzosamente le parole che la mamma gli diceva quando era ragazzo: “A pensar bene insegna la dottrina; ma a pensar male ci si indovina”.

Era mirabile il profondo senso di responsabilità che animava il Papa. Se aveva preso una decisione, si poteva esser sicuri che non sarebbe più tornato indietro. Anzi neppur voleva che si ponesse comunque in discussione quanto egli aveva, con profonda consapevolezza, stabilito. Quando venne a Roma il sig. Beck, Ministro degli Esteri della Polonia, Pio XI non volle riceverlo perché era in una situazione familiare irregolare. Si tentò di fargli considerare che, in fondo, l’udienza sarebbe stata concessa non alla persona, ma al Ministro degli Esteri di una nazione cattolica; che si trattava di uno Stato col quale la S. Sede aveva rapporti diplomatici; che tutti avrebbero facilmente compreso le gravi ragioni che inducevano a non rifiutare l’udienza. Fu tutto inutile. In quei giorni, appena qualcuno di noi entrava nel suo studio, si sentiva imporre: “Non venga a parlarmi dell’ udienza del sig. Beck!. Anche il p. Ledochowski, polacco, preposito generale della Compagnia di Gesù, tentò di placare il Papa. Ma non gli riuscì. Appena entrò timidamente in argomento, Pio XI, che pur aveva tanta stima e affetto per quell’ insigne religioso, gli impose silenzio.

Pio XI era uomo di grande fede e di grande pietà. Non potrò mai dimenticare quel giorno (eravamo nel gennaio 1939) quando, alla fine dell’udienza, dopo aver deciso affari importanti, lo vidi poggiare i gomiti sulla scrivania, e quasi nascondere la testa tra le mani, dicendo: “Dica, Monsignore, abbiamo noi fatto tutto quello che dovevamo?”. Alle mie parole che tentavano di tranquillizzarlo rispose: “Stiamo per presentarci al tribunale di Dio!”.

Quando, nel dicembre 1936, Pio XI era gravemente malato, io – allora Sostituto della Segreteria di Stato – rimasi più di tre settimane senza vederlo. Mi chiamò la vigilia del Santo Natale. Avvicinandomi al suo letto, io gli chiesi: “Come sta, Santità?”. Alzò gli occhi al cielo e con tutta pacatezza, quasi scandendo le sillabe, rispose: “Sto come Dio vuole, e quindi non posso che star bene”. Da buon manzoniano, il Papa aveva quasi parafrasato la risposta di fra Cristoforo: “Come Dio vuole e come, per sua grazia, voglio anch’io”. In una forma o nell’altra è la sintesi della santità.

Mi piace qui ricordare come Pio XI interruppe, nel 1938, le ultime vacanze del cardinale Pacelli. Si era alla fine di ottobre e l’Em.mo avrebbe desiderato di rimanere in Svizzera fino al 2 novembre. Incaricato di parlarne al Santo Padre – che si trovava ancora a Castelgandolfo – mi permisi di mettere in evidenza che al Card. Segretario di Stato – dopo un anno di lavoro così intenso – sarebbe stato giovevole il prolungare, sia pure di pochi giorni, il suo riposo. Pio XI mi ascoltò con molta benevolenza. Poi disse: “L’em.mo Segretario di Stato faccia pure come vuole. Ma gli faccia sapere che Noi per la festa di Cristo Re” (cioè l’ultima domenica di ottobre) “torneremo a Roma, e sarebbe bene che vi tornasse anche l’Em.mo. Anzi – aggiunse – gli faccia sapere che, se viene, Noi lo riceveremo alle 10”. Telefonai al card. Pacelli in Svizzera il desiderio del Papa e l’Em.mo giunse a Roma la domenica 30 alle 7 e, alle 10 era già in udienza.

Il vero motivo per l’anticipato ritorno del Segretario di Stato, fu, in realtà, la questione del vulnus al Concordato Italiano, inferto da Mussolini con la legge riguardante gli ebrei. Il Papa voleva discuterne con il card. Pacelli e conoscere il suo pensiero, come appunto fece in quella udienza. […].

Il tuo browser potrebbe non supportare la visualizzazione di  questa immagine. Pio XI si mostrava sicuro che il cardinal Pacelli sarebbe stato il suo successore. Per meglio prepararlo ai futuri alti destini lo mandò Legato a Buenos Aires nel 1934, e l’anno seguente a Lourdes. Nel 1936 volle che accettasse l’invito a visitare gli Stati Uniti. Il card. Pacelli soleva raccontare che, quando mise il Papa al corrente dell’invito ricevuto, gli comunicò che non l’avrebbe accettato. Ma Pio XI gli rispose:Vostra Eminenza deve accettare. Nel 1937 il cardinal Pacelli è di nuovo Legato a Lisieux. Durante il viaggio del cardinal Pacelli negli Stati Uniti, Pio XI cominciò a parlare spesso con me del suo Segretario di Stato. Lavora bene e presto! diceva. Una volta Pio XI mi disse: Lo mando in giro perché il mondo conosca lui e lui conosca il mondo. Poi proseguì – con quel tono di sicurezza e solennità che assumeva quando trattava di cose importanti – Sarà un bel Papa!

Un’altra prova delle previsioni di Pio XI circa la persona del suo successore si ebbe nel Concistorio del dicembre 1937. Il mercoledì 15, alla cerimonia dell’imposizione della berretta ai nuovi Cardinali, Pio XI, ricordando la sua età di anni 81, disse che quello avrebbe potuto essere il suo ultimo Concistoro. A questo punto, accennando al suo successore, aggiunse che forse: Medius vestrum stetit quem vos nescitis. Da queste parole e da tutto l’insieme del largo fraseggiare di Pio XI, si capì – per me, che ero presente, non vi fu alcun dubbio – che il Papa indicasse il suo successore tra coloro che si trovavano nella sala del Concistoro (per questo disse: Medius vestrum, cioè in mezzo a voi). Ora i Cardinali presenti nella sala, erano non solo i cinque porporati (Piazza, Pizzardo, Hinsley, Gerlier, Pellegrinetti), ma anche il cardinale Eugenio Pacelli, che, come Segretario di Stato, aveva accompagnato i neo-eletti.

(Card. Domenico Tardini Pio XII, tipografia poliglotta vaticana- 1960)