DAL NEOMODERNISMO ALL’ATEISMO “CATTOLICO”

L’ateismo “cristiano”

L’ultimo prodotto del Luteranesimo è la “teologia della morte di Dio” o “ateismo cristiano”, che dalla Germania (Barth, Bultmann, Thillich e Bonhoeffer) si è spostato soprattutto in nord America (Robinson, Cox, Buren, Hamilton, Vahaniane e Altizer). Esso ha molteplici denominazioni: nichilismo teologico, secolarizzazione, demitizzazione e teologia radicale (v. sì sì no no 15 aprile 2010, pp. 1 ss). Infine è approdato in Olanda, Svizzera e Germania (Schillebeeckx, Küng e Metz, v. sì sì no no 28 febbraio e 31 marzo 2010, pp. 1 ss.).

Il protestantesimo, dato il principio della totale corruzione della natura umana e quindi anche dell’ intelligenza e libera volontà, non poteva non portare all’ateismo. Monsignor Brunero Gherardini nella sua opera La seconda Riforma (Brescia, 1966) mostra come il principio di immanenza della filosofia moderna e quello di “interiorità soggettivistica” proprio del Luteranesimo abbiano eliminato il fondamento metafisico di ogni teologia e siano sfociati in una “teologia negativa”, nel cui vuoto ontologico svaniscono sia le realtà create sia i dogmi di fede. Il “Nulla definitivo e terminale”, diametralmente opposto all’Essere, ha soppiantato il “Nulla originario e primordiale” da cui Dio, “Essere per essenza”, ha creato il mondo come “ente per partecipazione” (tomo II, p. 68 ss.).

Padre Cornelio Fabro ha affrontato mirabilmente il problema dell’ ateismo teologico protestante nel suo libro L’uomo e il rischio di Dio (Brescia, Queriniana, 1967, pp. 383-445). Egli dimostra come K. Barth e R. Bultmann rifiutino la teologia naturale e le prove tradizionali dell’esistenza di Dio (pp. 383-407) ed indica nell’ateismo di P. Tillich e D. Bonhoeffer la conclusione logica delle premesse succitate (pp. 408-440). Quindi parla esplicitamente di incamminamento verso una “teologia atea” anche in campo cattolico, citando Leslie Dewart. Il neo-modernismo ha «investito tutti i dogmi del Cristianesimo, e più a fondo il significato e la tematica fondamentale della fede stessa […] circa l’atteggiamento dell’uomo verso Dio ed in particolare circa il senso che possono avere per l’uomo moderno1 le verità del dogma e della morale cristiana. […]. Dio è concepito alla svelta, secondo il più candido panteismo […] il Deus sive natura di Scoto Eriugena e Spinoza» (p. 441). Anche in ambiente cattolico, dunque, si è infiltrata la “teologia atea” e l’esponente di punta dell’«ateismo cattolico» è Leslie Dewart, che in tale campo sorpassa persino Metz (v. sì sì no no 31 marzo 2010).

L’ateismo nasce dalla speculazione filosofica degli ultimi quattro secoli (dal Seicento ad oggi). Padre Cornelio Fabro dimostra che le stesse premesse filosofiche soggettivistiche e immanentistiche della filosofia moderna contengono in nuce l’ateismo esplicito o materialismo marxista2. Nell’ordine pratico il progresso all’infinito, l’edonismo e il consumismo hanno diffuso l’ illusione di poter costruire un paradiso in terra, senza aver bisogno dell’ aldilà3. Tuttavia si doveva aspettare il periodo conciliare e post-conciliare per assistere alla teoresi dell’ «ateismo cristiano» e specificamente «cattolico». Padre Battista Mondin scrive: «è il movimento che si è sviluppato recentemente negli Stati Uniti e che ha come dottrina specifica l’affermazione che, per essere autentico cristiano, l’uomo deve essere ateo»4.

Il “catto-ateismo” di Leslie Dewart

L’ateismo cristiano di stampo protestante si è spostato, grazie all’ecumenismo, anche in ambiente cattolico durante il Vaticano II e il post-concilio. L’esponente più conosciuto è appunto il Dewart, nato il 12 dicembre 1922 a Madrid (il suo vero nome era Gonzalo Gonzales Duarte anglofonizzato in Dewart che si pronuncia ‘Diuart’), emigrato in Canada, ove nel 1954 si addottorò in filosofia nell’Università cattolica di Toronto e nel 1968 fu nominato professore di teologia nella medesima Università. Le sue opere principali sono Cristianesimo e rivoluzione: la lezione di Cuba [1963], tr. it., Milano, Jaca Book, 1967; Il futuro della fede: il teismo in un mondo divenuto adulto [1966], tr. it., Brescia, Queriniana, 1967; Le fondamenta della fede, New York, Herder & Herder 1969; Religione, linguaggio e verità, Herder & Herder, New York, 1970; Evoluzione e coscienza: il ruolo del discorso nelle origini dello sviluppo della natura umana, Toronto, ed. Universiy of Toronto, 1989. È morto a Toronto il 20 dicembre 2009. Fu collega d’insegnamento di padre Gregory Baum, nato a Berlino nel 1923, il quale è stato perito al Concilio Vaticano II ed ha contribuito alla stesura dei documenti sulla libertà religiosa (Dignitatis humanae), l’ecumenismo (Unitatis redintegratio), le relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane (Nostra aetate). Assieme al teologo Stanley Kutz il Dewart si schierò pubblicamente contro la Humanae vitae di Paolo VI e in favore della contraccezione

Padre B. Mondin dimostra che l’opera del Dewart «è il primo tentativo articolato da parte di un filosofo religioso cattolico romano di ristrutturare totalmente la dottrina cristiana tradizionale alla luce dell’auto-comprensione che l’uomo moderno ha di se stesso»5. Le tematiche della modernità e del “cristianesimo adulto”, ossia anti-tradizionale, sono fatte proprie dal Dewart, il quale nega la distinzione tra ordine naturale e soprannaturale, l’analogia, la validità del realismo della conoscenza, la metafisica classica, la possibilità della dimostrazione razionale dell’ esistenza di Dio e conclude che l’ateismo è l’unica posizione filosoficamente valida. Siccome l’ esperienza o auto-comprensione dell’uomo moderno e contemporaneo è – secondo Dewart – incompatibile col riconoscimento dell’esistenza di un Ente divino trascendente il mondo, occorre liberare il cristianesimo dalle incrostazioni della filosofia classica greca, dal teismo tradizionale (patristica e scolastica) e far proprie anche in ambiente cattolico le tesi degli atei cristiani-protestanti6. Il suo sistema è diviso in due: la pars destruens et construens. Nella prima Dewart rigetta la teologia cristiana tradizionale, fondata sul concetto di un Dio trascendente, oggettivo e soprannaturale, mentre nella seconda gli sostituisce un altro concetto, secondo lui più accessibile al sentire dell’uomo moderno e contemporaneo.

Per Dewart i guai della teologia cristiana sono iniziati quando i Padri ecclesiastici hanno utilizzato la filosofia greca classica per parlare di Dio e trarre delle conclusioni a partire dal Rivelato. Ora, la metafisica greca (Platone-Aristotele) si fonda sul concetto di essenza o sostanza immutabile e perciò la teologia tradizionale ha fondato un sistema dommatico immutabile e non soggetto a divenire. Quindi

a) bisognerà anzitutto de-ellenizzare la teologia (specialmente quella di San Paolo, dei Padri e degli scolastici, sino al Vaticano I), che è stata un tradimento del messaggio cristiano originale, il quale è essenzialmente storico e in fieri, cioè in divenire perpetuo e continuo7. Dewart rifiuta il realismo della conoscenza come conformazione dell’intelletto umano alla realtà e accetta il principio idealistico dell’Idea che genera la realtà in un costante divenire. Quindi, secondo lui, la ragione non può risalire dall’effetto creato alla Causa prima increata e creatrice; anzi non può conoscere le essenze fisse e a-temporali delle cose, dacché sono pure finzioni della filosofia antica, la quale è totalmente estranea all’ uomo della modernità8. La scolastica e soprattutto S. Tommaso d’Aquino hanno accentuato la deviazione della teologia dal cristianesimo evangelico con le nozioni di essenza ed essere, che sarebbero realmente distinte nelle creature e identiche solo in Dio9.

b) Occorre quindi passare alla pars construens per salvare il cristianesimo, che altrimenti sarebbe irrimediabilmente perduto. Essa consisterebbe per il Dewart nel sostituire la classicità con l’hegelismo, onde arrivare all’evoluzione intrinseca e sostanziale del dogma10. Non basta parlare pastoralmente11, con un linguaggio più comprensibile all’uomo d’oggi, ma addirittura occorre far propri la filosofia e i concetti filosofici della modernità (da Cartesio a Hegel) e della post-modernità (Marx-Freud-Nietzsche) per sposarli col messaggio cristiano, rendendolo non solo soggettivistico, relativista, immanentistico, ma anche nichilistico ossia distruttore dell’essere, della conoscenza razionale e della morale antica, vale a dire rendendolo “cristianamente” ateo12.

L’ateismo-cattolico non è per il Dewart il termine della speculazione, ma dovrebbe fungere da trampolino di lancio per una nuova forma di teismo, che, dopo avere distrutto o annichilato quello tradizionale, ne fonderebbe uno totalmente nuovo, compatibile con la mentalità dell’uomo moderno13, ossia non dell’uomo di oggi, ma dell’ uomo che ha fatto sue le categorie della filosofia immanentistica e nichilistica. Ma, se Dio non è l’Essere o - come dicevano Dionigi il mistico e S. Tommaso d’Aquino nel De divinis Nominibus - un “Super Ente in-finito”, poiché il Dewart rifiuta la metafisica classica e il concetto di essere come atto perfetto che compie la essenza e dalla quale è realmente distinto tranne che in Dio, la cui essenza coincide con l’Essere (Ipsum Esse Subsistens), allora Dio cosa è? come Lo si definisce? Per tal via è inconoscibile ed indefinibile. Ma Dewart non arretra, poiché secondo lui questa è la trappola della metafisica classica, che vorrebbe reintrodurre e rinchiudere Dio dentro la gabbia dell’essere. Quindi Dio, pur non essendo, si può esperimentare come «una realtà oltre (beyond) l’essere14. […]. L’uomo esperimenta Dio, anche se non lo conosce come essere, ma come la profondità spalancata della nostra coscienza e per conoscerlo dobbiamo soltanto aprire noi stessi a ciò che sperimentiamo»15.

Dewart riassume e porta a termine tutti gli errori e gli orrori del neo-modernismo da Teilhard (v. sì sì no no 30 novembre 2009) sino a Metz (v. sì sì no no 31 marzo 2010) e li sorpassa per sincerità nell’ ammissione di colpa. A partire da certi princìpi non si può giungere che a certe conclusioni. Dewart è l’esito finale del neo-modernismo e della “nuova teologia”, che sfocia in a-teologia sentimentalistica. L’unico rimedio a tanto sfacelo è la chiave di volta della metafisica tomistica: la distinzione tra essere ed essenza; la partecipazione della creatura (o ente per partecipazione) all’Ente per essenza o Dio; l’analogia che attribuisce il concetto di essere a Dio e alle creature in maniera relativamente simile quanto al fatto di esistere e sostanzialmente diversa quanto all’essenza, infinita in Dio e finita nelle creature.

L. Dewart è lucidamente conscio di ciò. Nella sua opera I Fondamenti della Fede del 1969, tre anni dopo Il Futuro della Fede (1966), l’Autore riprende il discorso è ammette candidamente che «il campo di battaglia su cui, nella Chiesa cattolica, si stanno scontrando conservatori e progressisti, non sono soltanto dogmi particolari, ma i fondamenti stessi della fede, i quali coincidono nei concetti di verità e realtà»16. Infatti, i conservatori hanno della realtà e della verità la concezione classica o metafisica aristotelico-tomistica, mentre i progressisti hanno quella della modernità idealista e soggettivista17. Dewart, per uscire dall’impasse si rifà all’ evoluzione creatrice18 alla quale, per lui, è sottomessa anche la religione, o, come la chiamava Teilhard, il “meta-cristianesimo” (v. sì sì no no 30 novembre 2009). Dio non è un essere, è “diverso dall’essere (other than being) e non va ricercato fuori di noi. […]. Dio si rivela all’uomo, rivelando l’uomo a se stesso19. […]. Dio non ha nessuna realtà al di fuori dell’esistenza umana”20. Padre Mondin osserva: «malgrado le sue buone intenzioni, Dewart si fa promotore di una dottrina che conduce infallibilmente all’ateismo cristiano. […]. Non è possibile sottoporre il cristianesimo a nessuna di quelle operazioni della teologia radicale, senza ucciderlo. Non si può demitizzare, secolarizzare, de-ellenizzare totalmente il cristianesimo senza svitalizzarlo completamente»21.

Conclusione

Il concilio pastorale Ecumenico Vaticano II si è fondato sull’illusione che bastasse cambiare la forma teoretico-espositiva o dogmatica del cristianesimo rendendola “pastorale” perché tutti lo accettassero. Ma non è stato così. Anzi, molti lo hanno abbandonato, proprio perché questa edulcorazione non li soddisfaceva. L’ansia di “dialogare con la modernità” ha portato i periti conciliari all’affossamento della teologia tradizionale e all’accettazione supina dell’immanentismo, che pian piano è giunta all’ateismo nichilistico. Se si vuol rimediare al male fatto, bisogna correggere la rotta, abbandonare i rivoli inquinati della modernità e post-modernità, per tornare (approfondendo e polemizzando) alla teologia tradizionale e alla metafisica dell’essere, che sole possono dare le risposte agli interrogativi che ogni uomo, di ieri di oggi e di domani, si pone.

Non basta dire che non vi è rottura tra Concilio e Tradizione, perché vi sia continuità reale. Se ho spezzato in due un canale di acqua, debbo ripararlo realmente, affinché l’acqua torni ad irrigare i prati. Invece, se mi limito a dire che il tubo non è rotto senza far nulla per aggiustarlo, allora l’acqua non giungerà e sarà il deserto e la morte della vita.

Padre Cornelio Fabro scriveva nel 1974: «la crisi attuale della teologia, e di riverbero della Chiesa post-conciliare, è di natura metafisica: è l’oscuramento, se non il rifiuto esplicito, della presenza dell’ Assoluto nell’orizzonte della coscienza dell’uomo contemporaneo: una crisi che si è trasferita nei teologi per una “collisione di simpatia”. E senza il riferimento all’Assoluto nessun valore può resistere. […]. Senza un Dio trascendente, creatore del mondo e dell’uomo, non c’è alcun io come nucleo infrangibile di libertà. […]. Senza l’assoluto della metafisica viene a mancare all’uomo il fondamento della pietà, l’animo si indurisce nell’orgoglio del transeunte e la volontà si corrompe nella suggestione degli istinti: la rivolta come contestazione permanente o il suicidio. […]. Fino a qualche mese fa […] l’impressione era che per l’ortodossia tradizionale ormai tutto fosse finito. Pessimismo. Esagerazione evidente. Con la pubblicazione ora della “Dichiarazione sulla dottrina dell’infallibilità del magistero della Chiesa del 6 luglio 1973, l’equivoco di quella teologia di rottura con la Tradizione […] è finito: i teologi ritornano nei ranghi, l’episcopato si allinea unanime con il magistero di Roma, le resistenze si dileguano, il chiasso nella Chiesa è finito. Ottimismo. Esagerazione anche questa21. Troppo profonde sono state le confusioni seminate dai progressisti. […]. La Chiesa oggi fa l’impressione di certi campi dove è stato mietuto il grano e poi appiccato il fuoco. […]. Ma mentre nei campi l’operazione del fuoco può essere benefica, […] nella Chiesa le ferite e le emorragie dello spirito lasciano sempre dietro a sé un segno di angoscia, una confusione di fondo. […]. Per riprendersi occorre una scossa folgorante dello spirito, almeno doppia rispetto alle distruzioni: occorre soprattutto un’azione di recupero in tutte le sfere della dottrina e della disciplina come quella che salvò altre volte la Chiesa nei conflitti con il pensiero moderno»22.

Non basta, dunque, affermare di richiamarsi alla Tradizione, ma occorre ritornarvi realmente e tagliare tutte le mal’erbe che hanno cercato di soffocarla, come fa la zizzania col grano. Non è stata la Chiesa ad aver abbandonato l’umanità, né l’ umanità la Chiesa, ma sono stati gli uomini di Chiesa, e i più alti, ad aver abbandonato Dio e Cristo. La sociologa Ida Magli ha scritto recentemente: «Le strutture fondamentali della Chiesa [gli ordini religiosi] sono abbandonate perché non rispecchiano più il rigore di Assoluto, quell’essenza del messaggio evangelico di cui ha sete l’uomo contemporaneo. Più [gli uomini de] la Chiesa si avvicina[no] alle altre religioni e più Gesù si allontana, perché Gesù non assomiglia a nessuno» (Il Giornale, 10 giugno 2010). Per riprendersi “occorre una scossa folgorante dello spirito, almeno doppia rispetto alle distruzioni” (C. Fabro). Ma le ferite hanno quasi toccato il limite di sopportazione, la teologia cattolica è stata quasi annichilita dal neomodernismo. Ora solo Dio può edurre qualcosa dal nulla con la sua onnipotenza. Umanamente parlando, ogni tentativo di rimediare alla rivoluzione nichilisticamente irreligiosa post-conciliare è impari, non si può creare dal nulla con le sole forze umane, anche ecclesiali, senza un intervento divino che sia “una scossa folgorante, almeno doppia rispetto alle distruzioni”, una specie di “ri-creazione” spirituale, religiosa e teologica. “Emitte Spiritum tuum et creabuntur et renovabis faciem terrae” (“Signore, manda lo Spirito Santo e saranno nuove creature e così rinnoverai la faccia della terra”). Ne siamo certi perché ce lo ha promesso: “Portae inferi non praevalebunt” e ultimamente a Fatima la Madonna ci ha rincuorato: “Alla fine il mio Cuore Immacolato trionferà!”.

Doroteo

21 Così oggi non ci si deve illudere che con il Motu proprio del 7.VII.2007 il chiasso nella Chiesa sia finito.

22 L’avventura della teologia progressista, Milano, Rusconi, 1974, pp. 309-311