UN’ENCICLICA PROFETICA:

LA “HUMANI GENERIS”


Mons. Francesco Olgiati considera l’Humani generis alla luce dei rapporti tra storia, storicismo, metafisica e religione. Infatti il pensiero moderno e contemporaneo, col quale l’enciclica pacelliana si misura, «è tutto orientato verso la storia e lo storicismo»[1]. Ora lo storicismo, subordinando ogni realtà, e persino la Divina Rivelazione, al suo contesto temporale ovvero alla sua epoca storica, le relativizza, perché in parole povere dice: allora si pensava così, ma oggi si pensa altrimenti e domani diversamente ancora. Così non vi sono più essenze e verità immutabili, ma tutto evolve col tempo e con la storia.

L’esito fatale dello storicismo in campo religioso

Una tale dottrina, applicata alla religione e specialmente al dogma, porta dritto dritto all’eresia dell’ evoluzione eterogenea del dogma. La dottrina cattolica insegna che i dogmi, cioè le verità da Dio rivelate e proposte a credere come tali dalla Chiesa, non possono subire mutazioni o evoluzioni sostanziali o intrinseche (passaggio da una verità ad un’altra totalmente diversa), ma soltanto estrinseche o soggettive (il soggetto – magistero/fedeli – approfondisce la propria comprensione del significato del dogma, che, però, resta oggettivamente sempre lo stesso). Questo progresso legittimo del dogma è stato riconosciuto dal Concilio Vaticano I (DB, 1800), che ha ripreso la celebre frase di S. Vincenzo da Lerino: «cresca e progredisca l’intelligenza o la penetrazione del dogma tanto da parte dei singoli […] quanto di tutta la Chiesa, […] ma nei limiti dello stesso identico dogma, nello stesso significato e nello stesso contenuto».

Certamente la formula dogmatica, perché fatta di concetti e parole umane, non riesce ad esprimere tutta la ricchezza infinita della verità divinamente rivelata, ma essa è vera e nella sua sostanza immutabile. La formula è perfettibile, perché il dogma può essere espresso sempre meglio e capito più profondamente ab extrinseco, ma resta in se stesso il medesimo. È questa l’evoluzione omogenea del dogma (cfr. F. Marin Sola, L’évolution homogène du dogme catholique, tr. fr., Parigi, 2a ed., 1924; R. Garrigou-Lagrange, Le sens commun. La philosophie de l’etre et les formules dogmatiques, Parigi, 1909).

Il modernismo, invece, ammette l’evoluzione eterogenea, cioè intrinseca e sostanziale, del dogma, perché ritenendolo solo un “simbolo del sentimento religioso” o una “regola pratica della subcoscienza religiosa”, i quali sono in continua evoluzione, evolve costantemente con essi. S. Pio X ha condannato come opposto alla fede cattolica definita dal Vaticano I l’errore modernista dell’evoluzione eterogenea del dogma nella Pascendi (DB, 2026) e nel decreto Lamentabili (DB, 2079) e Pio XII ha rinnovato tale condanna nella Humani generis.

Ratzinger un teologo inquinato di storicismo

L’Olgiati spiega che specialmente dopo Fichte e Schelling la religione si risolve in storia a causa dell’ immanentismo soggiacente a quasi tutta la filosofia moderna, che identifica l’Assoluto con la storia concepita come manifestazione dello Spirito nel suo concreto divenire[2]. Dopo Fichte ed Hegel, Wilhelm Dilthey, padre della “nuova ermeneutica” (Esperienza vissuta e poesia, 1905), ha ridotto la filosofia e la teologia a sentimento morale ed emozione religiosa, ha ridotto soprattutto la religione ad esperienza vissuta, auto-riflessione, ed ha eliminato ogni metafisica, cadendo nel relativismo storico assoluto, dal quale si è generato il modernismo.

Mons. Olgiati afferma che tutte «le concezioni dello storicismo moderno, pur essendo innumerevoli, sono però, senza eccezione, in urto con la metafisica classica e con la religione»[3]. Uno dei neo-teologi più inquinato di storicismo è purtroppo Joseph Ratzinger, già a partire dalla sua tesi di dottorato, bocciata dal prof. Michael Schmaus (+1993), che vide in essa “un pericoloso soggettivismo che mette in crisi l’oggettività della Rivelazione”[4].

Recentemente è uscita per la prima volta in pubblico il testo integrale della tesi di abilitazione alla docenza che il giovane Ratzinger fece su il Concetto di Rivelazione e la teologia della storia in san Bonaventura. Ecco, in una nostra traduzione, l’introduzione che Benedetto XVI ha voluto premettervi:

«Se la Rivelazione nella teologia neoscolastica era stata intesa essenzialmente come trasmissione divina di misteri, che restano inaccessibili all'intelletto umano, oggi la Rivelazione viene considerata una manifestazione di sé da parte di Dio in un'azione storica e la storia della salvezza viene vista come elemento centrale della Rivelazione».

Ricordiamo che a Friburgo Ratzinger ebbe due professori: Schmaus per la teologia dogmatica, il quale riteneva che «la Fede della Chiesa era traducibile in concetti definitivi», e Söhngen per la teologia fondamentale, secondo il quale, invece, “la Fede era un mistero e si comunicava in una storia[5]. L’ammirazione di Ratzinger andava al pensiero del secondo, e non del primo. «Mio compito – continua l’introduzione di Benedetto XVI – era quello di cercare di scoprire come Bonaventura avesse inteso la Rivelazione e se per lui esistesse qualcosa di simile a un'idea di "storia della salvezza". Tuttavia due indizi dimostrano che in Bonaventura era presente il problema della Rivelazione come cammino storico. Innanzitutto si è presentata la doppia figura della Rivelazione come Antico e Nuovo Testamento, che ha posto la questione della sintonia fra l'unità della verità e la diversità della mediazione storica […]. A questa forma classica della presenza del problema del rapporto tra storia e verità, che Bonaventura condivide con la teologia del suo tempo e che tratta a suo modo, si aggiunge in lui anche la novità del suo punto di vista storico, nel quale la storia, che è proseguimento dell'opera divina, diviene una sfida drammatica. […]. Nel mio studio ho cercato di spiegare in che modo Bonaventura affrontò questa sfida e mise in rapporto la "storia della salvezza" con la "Rivelazione". Dal 1962 non avevo più ripreso in mano lo scritto. Quindi per me è stato entusiasmante rileggerlo dopo così tanto tempo. È chiaro che l'impostazione del problema così come il linguaggio del libro sono influenzati dalla realtà degli anni Cinquanta»[6]. Come si vede, Ratzinger è tuttora quel giovane Ratzinger per il quale “come per Söhngen [il suo professore storicista], Dio non è anzitutto un Summum Bonum che si riesce a conoscere e a dimostrare con formule esatte”[7].

La lezione dell’Humani generis

Com’è evidente dalla lettura dell’ Humani generis, la Chiesa fino a Pio XII ha sempre capito le “esigenze” dell’uomo ferito dal peccato originale con le tre concupiscenze (orgoglio, avarizia e sensualità) ed ha cercato di porvi rimedio, aiutandolo a guarire da esse con la grazia soprannaturale, che si ottiene mediante i sacramenti e la preghiera, la verità e la buona condotta. Mai Essa per venire incontro alle esigenze dell’«uomo moderno» ha ceduto all’errore e al peccato seguendo in questo l’esempio di Nostro Signore Gesù Cristo, che, quando all’annunzio dell’Eucaristia fu abbandonato dai discepoli e interrogato dagli stessi Apostoli (“questo linguaggio è troppo duro per noi”), non annacquò la verità, ma la riaffermò con autorità dicendo ai Dodici che, se non se la sentivano di assentire ad essa, erano liberi di andarsene anche loro e fu proprio così che li salvò (“Ma da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna”).

Le “esigenze” specifiche dell’uomo degli anni Cinquanta erano di orgoglio intellettuale (relativismo teorico/pratico) e spirituale (rifiuto o “pretesa intrinseca” del soprannaturale). Purtroppo Giovanni XXIII e il Vaticano II, invece di cercare di guarire l’uomo “moderno”, ne hanno assecondato le false idee, minimizzando e rilassando i precetti morali del Vangelo (“apertura al mondo”). Così i “valori” autonomi o soggettivi della modernità sono stati annichilati dalla “post-modernità”, la quale ha reso alla filosofia moderna ciò che essa aveva fatto alla filosofia classica e scolastica: se la modernità ha negato l’esistenza oggettiva di Dio e dell’aldilà, la post-modernità ne ha voluto distruggere persino l’idea soggettiva. Anzi si è passati dai “valori” soggettivi o autonomi della modernità ai contro-valori della post-modernità: il “bene”, anche se soggettivo e puramente umano, è diventato un contro-valore o un male da schiacciare; dalla morale autonoma si è passati all’immoralismo teorico/pratico per principio: il bene è diventato male e il male bene.

Come si può facilmente vedere, il neomodernismo è ben peggiore del modernismo (così come la post-modernità lo è in rapporto alla modernità) poiché ha rimpiazzato la pur debole “idea soggettiva” del “bene” con il male voluto scientemente e per principio.

Un’enciclica avversata

Padre Battista Mondin ha scritto: «Raramente nella storia della Chiesa è capitato che il giudizio su un Pontefice abbia subìto, dopo la sua morte, un rovesciamento così radicale come è toccato a Pio XII. Tutti ricordiamo la stima altissima da cui era circondato mentre viveva. Era considerato superiore a quasi tutti i Pontefici che l’avevano preceduto in questo secolo. Era opinione comune che sarebbe stato quasi impossibile trovare un successore pari a lui. Ma poi vennero i giorni tristi della sua morte, l’elezione di Giovanni XXIII, il Concilio riformatore»[8]. Purtroppo l’avversione a Pio XII era già iniziata anzi esplosa tra i “nuovi teologi” con la promulgazione della Mystici Corporis e ancor più dell’Humani generis (12 agosto 1950). Alcuni teologi d’oltralpe non accettarono l’ enciclica pacelliana contro il neomodernismo e il precedente magistero della Chiesa che aveva cercato di emarginare i mali del tempo presente (soprattutto il Sillabo, la Aeterni Patris e la Pascendi), anzi vi si opposero positivamente perseverando nelle loro teorie anti-scolastiche e neo-moderniste, che hanno portato all’attuale stato comatoso della teologia come scienza che non studia più Dio quale oggetto reale, ma quale frutto soggettivo dell’ “a-teologo” o del “mis-credente”.

Gianni Valente ha appreso da Alfred Läpple, che fu prefetto del seminario di Frisinga, la reazione negativa dell’ambiente teologico tedesco sia alla Mystici corporis sia all’Humani generis. Quest’ultima suscitò le ire del prof. Söhngen a tal segno che, non solo non ne fece neppure cenno agli studenti durante la lezione, ma, entrato nel suo studio privato insieme con Läpple e Ratzinger, “gettò con rabbia sulla scrivania i libri che portava con sé dalla lezione. Poi si mise al piano e sfogò tutta la sua ira sulla tastiera”[9].

Necessaria opzione: o Humani generis o “nuova teologia”

Nell’Humani generis Pio XII ribadisce la dottrina cattolica tradizionale (Gregorio XVI, Pio IX, Leone XIII, S. Pio X, Pio XI) sul valore del magistero pontificio, scrivendo: «Né si deve credere che gli insegnamenti delle Encicliche non richiedano, per sé, il nostro assenso, col pretesto che i Pontefici non vi esercitano il potere del loro Magistero supremo. Infatti questi insegnamenti sono del Magistero ordinario, anche per il quale valgono le parole: “Chi ascolta voi ascolta Me” (Lc. 10,16); e per lo più quanto viene proposto ed inculcato nelle encicliche e già per altre ragioni patrimonio della dottrina cattolica. Se poi i Sommi Pontefici nei loro atti emanano di proposito una sentenza in materia finora controversa, è evidente per tutti che tale questione, secondo l’intenzione e la volontà degli stessi Pontefici, non può più costituire oggetto di libera discussione tra i teologi».

Ecco distinti i due gradi del Magistero ordinario (non ex cathedra) dei Romani Pontefici:

1) magistero ordinario mere authenticum, semplicemente “autentico” (cioè autorevole), che è il più comune;

2) magistero ordinario infallibile, che ripropone ed inculca la dottrina cattolica tradizionale (è il caso dell’Humanae vitae di Paolo VI e dell’Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II sull’invalidità del sacerdozio femminile) o definisce una questione ancora dibattuta tra i teologi.

Ai due gradi del magistero ordinario si devono due assensi diversi.

1) Al magistero ordinario infallibile si deve lo stesso assenso di fede fermo ed incondizionato (“senza esaminare l’oggetto”), che si deve al magistero straordinario infallibile (ex cathedra; v. L. Billot, De Ecclesia, tesi XVII).

2) Al magistero ordinario semplicemente “autentico”, non infallibile, si deve un assenso non di fede, ma prudenziale e condizionato, che non esclude l’esame della dottrina proposta qualora questa appaia discordante con la dottrina fino a quel momento insegnata dalla Chiesa (v. Dom Nau Le magistère pontifical ordinaire, lieu théologique pp. 23-24).

Ora l’Humani generis rientra nel magistero ordinario semplicemente “autentico” ed è in piena concordanza con la dottrina fino a quel momento costantemente insegnata dalla Chiesa[10]. Perciò noi cattolici dobbiamo il nostro assenso all’ Humani generis rigettando la “nuova teologia” dei periti conciliari, i quali hanno operato in aperta rottura con l’enciclica di Pio XII, anche se oggi parlano di “ermeneutica della continuità” (senza dimostrare, però, dove stia questa “continuità”).

Principio di non-contraddizione e non “libero esame” luterano

Di fronte allo sfacelo odierno e alla comune dottrina cattolica, che insegna la obbligatorietà di ascoltar la voce del magistero anche semplicemente autentico (“chi ascolta voi ascolta Me”) molti rimangono interdetti.

Alcuni negano l’autorità di chi nel magistero contemporaneo insegna degli errori. La negano basandosi sulla normale veracità del magistero anche ordinario “semplicemente autentico” e sul principio che una vera autorità spirituale non può errare. Essi dimenticano, però, che questa normale veracità è legata all’«alta prudenza con quale l’Autorità ecclesiastica agisce abitualmente in queste circostanze» (Dict. de Th. Cath., voce Eglise, t. IV, col. 2209) così che il singolo atto del Papa “si inserisce in un insieme e in una continuità” che è data dalla “serie dei Pontefici romani presi nel tempo” (v. Dom Nau: Une source doctrinale: les Encycliques). Mancando tale “prudenza”, i teologi ammettono la possibilità, sia pure eccezionale e remota, che nel magistero ordinario non infallibile possano infiltrarsi delle “discordanze” con l’insegnamento tradizionale della Chiesa (v. Dom Nau: Le Magistère cit. il che scioglie il fedele cattolico da ogni dovere di assenso su quel punto; e Nicolas Jung Le Magistère de l’Eglise, pp. 153-54: Joseph de Sainte Marie o.c.d. Eucharestie, salut du monde, pp. 56 ss.)

Altri cercano di non vedere la triste realtà dicendo che in fondo tutto va bene, nulla è cambiato sostanzialmente. Chiaramente essi vogliono in tal modo salvare l’autorità e l’autorevolezza della Prima Sede. Tuttavia sarebbe il caso di ammettere onestamente che qualche problema c’è, ma che, essendo la Chiesa indefettibile, “le porte dell’inferno non prevarranno” e perciò ci si affida alla promessa di Cristo attendendo e sperando tempi migliori.

Qualcuno, infine, cerca di vedere entrambi i rovesci della medaglia. Se, per salvare l’autorevolezza del magistero non infallibile, ma semplicemente autentico, si giunge a negare l’esistenza di un’autorità nella Chiesa da mezzo secolo, (anche materialmente a partire dal 2005, con l’elezione di Benedetto XVI), si distrugge l’unità e l’essere stesso della Chiesa e si mette “un rattoppo peggiore dello strappo”; tuttavia siccome “contro il fatto non vale l’argomento”, si deve distinguere ciò che la Chiesa ha sempre insegnato (come scrive S. Vincenzo da Lerino nel suo Commonitorium) ed attenersi ad esso, perché non è possibile aderire a due dottrine contrarie nello stesso tempo e sotto lo stesso rapporto.

È questo l’elementare principio logico di non-contraddizione per cui, se un intervento del magistero ordinario “semplicemente autentico” è in conflitto con quanto il Magistero infallibile insegna sia nei suoi atti solenni sia nella dottrina costante ovvero tradizionale, non è lecito aderire alla “novità”, ma si deve restare fedeli a “ciò che sempre, da tutti e in ogni luogo è stato creduto” (Commonitorium, III), aspettando che la Chiesa docente stessa si pronunci e risolva autorevolmente o dommaticamente il problema[11].

Quest’applicazione del principio di non-contraddizione, pertanto, avendo come “stella polare” il Magistero di sempre e attendendo dal Papato la soluzione della crisi attuale, non ha nulla a che vedere con il libero esame luterano, che rigetta il Papato e il Magistero. Per questa via i protestanti si sono, poi, trovati nella necessità di rimpiazzare il magistero petrino, che è il centro di unità, con la dottrina degli Articoli fondamentali[12], che sono un minimum di verità cui tutti sono tenuti a credere per mantenere una parvenza di unità di fede. Ma è fin troppo facile obiettare: chi ha l’autorità e da chi gli è stata conferita di stabilire che quegli articoli e non altri sono “fondamentali” ovvero assolutamente necessari per salvarsi? Solo il Cattolicesimo può rispondere che Cristo personalmente ha detto: “Tu sei Pietro e su questa Pietra Io fonderò la Mia Chiesa. Tutto ciò che tu legherai in terra sarà legato in Cielo, tutto ciò che scioglierai in terra sarà sciolto in Cielo”. Ma Lutero da chi è stato mandato? Da se stesso! Ora, Gesù ci ha anche detto: “Se Io parlassi da Me stesso, la mia testimonianza sarebbe falsa”.

Per reagire al neomodernismo, dunque, non si deve né sostituire al magistero il proprio libero esame soggettivo; né autoconsiderarsi inviati a salvare la Chiesa arrogandosi un’autorità che non si ha da Dio, dopo averla negata a chi è stato canonicamente eletto a farne le veci in terra (anche se le fa malamente). Esiste una sana reazione che consiste nel fare e credere ciò che la Chiesa ha sempre fatto prima dell’attuale “tsunami” che ha sconvolto menti e cuori, richiamandosi al principio di non contraddizione, e mai al “libero esame”.

La fede, infatti, “esige la sottomissione dell’intelligenza dinanzi al Mistero che la oltrepassa, ma non le sue dimissioni dinanzi a quella esigenza di coerenza logica, che è di sua competenza [e i cui princìpi – aggiungiamo – hanno in Dio il loro Autore]” (Joseph de Sainte Marie, op. cit.).

Conclusione

L’attuale situazione della Chiesa, anche se causa di vero tormento, non deve portare a disprezzare la figura del Papa in quanto tale né il Papato; anzi dobbiamo difenderli quando sono attaccati da coloro che li odiano in quanto tali nonostante le edulcorazioni e gli annacquamenti apportati alla dottrina e alla morale della Chiesa per rendersi simpatici all’uomo contemporaneo (“quando il sale diventa insipido viene buttato via e calpestato”). Nello stesso tempo, però, è lecito mostrare con rispetto le divergenze tra la Tradizione costante della Chiesa e l’insegnamento pastorale oggettivamente innovatore, senza pretendere con ciò di poter da noi stessi salvare la Chiesa. Che Pio XII ci aiuti a mantenere la vera fede integra e pura, senza deviare per eccesso o per difetto!

Reginaldo



[1] F. Olgiati..., L’enciclica “Humani generis”, testo e commento, Milano, Vita e Pensiero, 1951, p. 49.

[2] F. Olgiati, cit., p. 50.

[3] Ibidem, p. 54.

[4] G. Valente, Ratzinger professore (Cisinello Balsamo, San Paolo 2008, p. 52).

[5] Ibidem, p. 39.

[6] Le ricerche di Joseph Ratzinger sono sempre state “influenzate” dal periodo storico in cui scrive, come emerge già dall'autobiografia Aus meinem Leben. Erinnerungen (1927-1977) (La mia vita, Cinisello Balsamo, San Paolo, 1997), e come ha ricostruito Gianni Valente in una serie di articoli su "30 Giorni" e poi nel volume Ratzinger professore (Cinisello Balsamo, San Paolo, 2008; cfr. sì sì no no, 15 marzo 2009, pp. 1 ss).

[7] G. Valente op. cit. p. 39.

[8] B. Mondin, La nuova teologia cattolica, Roma, Logos, 1978, p. 195.

[9] Ibidem, p. 46.

[10] V. sì sì no no, 31 marzo 2001, pp. 1 ss. Idee chiare sul magistero infallibile del Papa.

[11] È la distinzione fatta anche recentemente da mons. Brunero Gherardini (Concilio Vaticano II. Un discorso da fare, Frigento, Casa Editrice Mariana, 2009) tra “magistero dogmatico” e magistero semplicemente “pastorale”, il quale ultimo può contenere degli errori, senza ledere per ciò la dottrina cattolica sul valore del magistero semplicemente autentico, né l’autorevolezza del Papa e della Chiesa gerarchica.

[12] Cfr. Pietro Parente, voce “Articoli fondamentali”, in “Enciclopedia Cattolica”, Città del Vaticano, 1949, vol. II, col. 59.