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Categoria: Anno 2010

UN’ENCICLICA PROFETICA: LA “HUMANI GENERIS”

(1a puntata)

Il volume XXXVI delle “Pubblicazioni dell’Università cattolica del Sacro Cuore” (1° fascicolo del 1951) dedicò ampio spazio alla enciclica Humani generis di Pio XII, facendola commentare da padre Agostino Gemelli, padre Reginaldo Garrigou-Lagrange, monsignor Francesco Olgiati e Cesare Calvetti.

Una grande enciclica

Padre Agostino Gemelli studia il significato storico della Humani generis (12 agosto 1950) mettendola in rapporto con la Pascendi di S. Pio X (8 settembre 1907). Mentre quest’ ultima condannava il modernismo classico, che voleva sposare il dogma cattolico con la filosofia moderna (dal Seicento all’Ottocento, ossia da Cartesio a Hegel), l’ enciclica di Pio XII condanna il tentativo di conciliare il cattolicesimo con la filosofia contemporanea o post-moderna del Novecento (da Marx, Nietzsche e Freud allo Strutturalismo odierno).

Secondo p. Gemelli l’Humani generis è un «documento solenne, che deve essere collocato accanto alla Aeterni Patris di Leone XIII ed alla Pascendi di Pio X, poiché indica e dichiara quale sia il pensiero della Chiesa cattolica di fronte ai problemi del pensiero moderno»[1]. Anche mons. Antonio Piolanti scrive: «sono molto celebri le encicliche di Leone XIII, che toccano i problemi più vitali della costituzione ecclesiastica, della vita sociale e politica, per esempio la Aeterni Patris sulla filosofia tomistica […]. È molto nota la grande enciclica Pascendi con la quale S. Pio X condannò il modernismo. Numerose e profonde le encicliche di Pio XI, che fanno un bel riscontro a quelle di Leone XIII […]. Piena di Sapienza […] è la Humani generis di Pio XII sui nuovi errori»[2].

Una vecchia accusa e la tentazione di piacere al mondo

Padre Gemelli nota che il significato storico della Humani generis va individuato nell’ accusa rivolta alla Chiesa di non comprendere le esigenze del pensiero contemporaneo, della vita moderna e di essersi separata dall’uomo a lei coevo e quindi fossilizzata[3]. L’enciclica, però, non accetta la “modernità” e risponde a quest’accusa (che si ripresenta costantemente ed è stata puntualmente confutata nel corso della storia della Chiesa) mostrando positivamente (pars construens) quali problemi ponga la filosofia moderna e contemporanea e condannando poi negativamente (pars destruens) gli errori di tali filosofie. È pertanto falso vedere nella Humani generis solo una condanna della “nuova teologia” o neo-modernismo.

Tuttavia, appena dieci anni dopo, alla vigilia del Concilio Vaticano II, la maggior parte dei teologi e anche dei vescovi si misero a “dialogare” col pensiero moderno, adottandone il linguaggio e persino la filosofia o mentalità, illudendosi di rendersi accetti al mondo moderno a costo di edulcorare alcune verità evangeliche troppo esigenti. Ma il mondo moderno, nonostante l’aggiornamento e l’adattamento, continua a non accettare il Vangelo, la Chiesa e il Papato, anzi li odia ancor di più e li rispetta sempre meno. La campagna di questi giorni (fine marzo 2010), contro la figura del Papa e l’ istituzione del Papato, che vorrebbe trascinarle nel fango a motivo degli abusi su innocenti perpetrati da alcuni sacerdoti in aperta violazione della morale cattolica, è più che significativa: da parte cattolica si dialoga, si cede, ci si arrende e da parte della “contro-chiesa” si raddoppia l’odio, mascherato sotto le apparenze di un “laicismo dal volto umano”. Forse Dio nella sua infinita misericordia conduce gli avvenimenti in modo tale che, di fronte ad un’aperta persecuzione, i “missionari dell’ottimismo” e i nemici dichiarati dei “profeti di sventura” debbano prendere atto della triste, anzi pessima situazione, ed affrontare il martirio, cancellando col sangue i disastri che hanno prodotto con l’inchiostro e la voce in oltre cinquant’anni di “buona ventura” ed “esagerato ottimismo”.

Chi semina vento raccoglie tempesta

Pio XII con l’enciclica Humani generis insegna che la filosofia e la mentalità moderna/contemporanea sono inconciliabili colla retta ragione e la fede della Chiesa romana perché fondate su due errori: a) il relativismo teoretico/pratico; b) il rifiuto del soprannaturale come dono gratuito di un Dio personale e trascendente, rifiuto unito – paradossalmente - alla stolta presunzione di auto-divinizzarsi (soprannaturalismo esagerato e panteista), in nome di un immanentismo il quale ritiene la grazia “dovuta alla natura”, e che accoglie in sé le varie correnti della modernità (Cartesio-Hegel), dall’idealismo assoluto, allo storicismo, dal materialismo dialettico a tutti i sistemi irrazionalistici, volontaristici e nichilistici che caratterizzano la post-modernità (Marx-Nietzsche-Freud).

Padre Gemelli osserva acutamente che i presunti valori assoluti, ma in realtà soggettivi e puramente logici, su cui si era fondata la filosofia moderna (da Cartesio ad Hegel) ovvero l’ idealismo razionalista, il quale pensava di poter tutto capire con la sola ragione umana, «si sono eclissati nell’atmosfera del Novecento. Mai nella storia si è assistito a una simile negazione. La ribellione a Dio [modernità] ha originato la derisione dell’assolutezza anche dei valori umani [post-modernità], travolti dal turbine della relatività, fra il sorriso infecondo dello scetticismo»[4]. Gemelli spiega anche la coerenza logica di tale processo o “suicidio della sovversione della filosofia moderna”, poiché a partire da certi princìpi (razionalismo soggettivista, per il quale Dio è un prodotto dell’Io pensante), non si può che giungere a certe conclusioni (nichilismo della post-modernità o “del tempo in cui viviamo”: bisogna distruggere anche l’Io pensante e le sue categorie soggettive o le sue idee aprioristiche[5]). In breve: “chi semina vento, raccoglie tempesta”.

Lo scacco della modernità

Gemelli osserva che l’epoca moderna (Seicento-Ottocento) pur rigettando il Dio oggettivo, reale, personale e trascendente in nome dell’Io assoluto o del soggettivismo idealistico, almeno «voleva salvare i valori umani»[6], dopo aver immanentizzato quelli soprannaturali. Ma era una pretesa chimerica, poiché senza un Dio reale, oggettivamente esistente, personale e trascendente il mondo, la fondazione di una “morale autonoma” (Kant) non può reggere, in quanto essa cambia col cambiar dell’uomo ed è simile ad “una canna agitata dal vento”.

Quando lo Zarathustra di Nietzsche andava cercando Dio e non lo trovava, gli uomini, noncuranti di Dio, lo deridevano; allora Zarathustra esclamò: “cerco Dio e non lo trovo. Siamo noi che lo abbiamo ucciso”, avendo negato la sua esistenza reale ed oggettiva. Purtroppo le cose stanno esattamente così. La post-modernità è la riprova dell’ inconsistenza della filosofia moderna, del soggettivismo che vuol mettere al posto di Dio, un “dio” senza la “D” ossia l’Io.

Padre Pio (pur molto osteggiato da p. Gemelli) diceva che il nome più consono del diavolo è “Io”; quando si dice: “Io faccio, Io so, Io posso, lì c’è il diavolo: Io, Io, Io”. Ora, la modernità è stata fondata esattamente sul primato dell’Io rispetto alla realtà (“Cogito ergo sum”), sino ad arrivare all’Io assoluto, il quale pensando crea l’oggetto (Hegel).

Nonostante ciò, ci si illudeva di poter mantenere perlomeno una certa dirittura etica, anche se puramente autonoma e soggettiva (“imperativo categorico” kantiano), la quale invece è stata abbattuta dalla post-modernità nichilistica e distruttrice dell’essere, della ragione e della morale, proprio come la modernità aveva pensato di abbattere il Dio realmente esistente, oggettivo, personale e trascendente. “Chi di spada ferisce di spada perisce”. Questo è lo scacco della modernità, insito nel suo sistema soggettivistico e immanentistico. La sua illusione è del tutto simile a quella di chi pensasse di poter attraccare una nave non sulla stabilità del fondale marino, ma sulla mutabilità e scorrevolezza delle onde. Dopo un po’ la nave se ne va al largo. Così è stato per la modernità, che ha fondato la “ragion pratica” non su Dio, sull’ essere oggettivo e stabile, sulle essenze immutabili, ma sull’Io empirico o sulle categorie soggettive, che cambiano e si evolvono continuamente. Ebbene essa è stata portata al largo e poi assalita e travolta dalla burrasca della post-modernità o filosofia contemporanea, la quale ha distrutto con furia nichilistica anche ogni resto e parvenza di idea soggettiva di essere, di logica e di etica e padre Gemelli deve costatare che «gli ultimi decenni hanno rinnegato tali valori basilari»[7].

L’epoca contemporanea, ossia il Novecento, è caratterizzata dal primato dell’economico, del pratico, del fare, del relativo; manca di ogni assolutezza o valore basilare, anche puramente umano e soggettivo, come la ragione e la vita, per assumere dimensioni animalesche, puramente istintive, brute e passionali e distruggere ogni reliquia di “valore”, fosse pure solamente nominale e non reale. «Le correnti materialistiche [Marx], vitalistiche, ludiche [Nietzsche], anti-intellettualistiche, attivistiche, pansessualistiche [Freud] non hanno dubitato, contro la razionalità puramente logica del reale ieri affermata, di sostenere l’irrazionalità di quest’ultimo, la sua assurdità, come pure non hanno avuto paura di negare ogni principio etico, dopo aver abbandonato il piano di una moralità puramente autonoma, soggettiva e razionale, e di proclamare i diritti dell’immoralismo più crudo»[8]. Si è anche negato il valore della volontà razionale ridotta a puro istinto animalesco o sentimento. Il Gemelli cita Sartre. Noi abbiamo già parlato della Scuola di Francoforte e dello Strutturalismo francese, eredi ultimi del nichilismo ludico di Nietzsche e pansessualistico di Freud (v. sì sì no no, agosto 2009, p. 2).

Modernismo e neomodernismo/ modernità e post-modernità

Come scrive p. Gemelli la differenza tra neo-modernismo o Nouvelle théologie condannata dalla Humani generis (1950) e modernismo classico condannato da S. Pio X con la Pascendi (1907) è la stessa che intercorre tra modernità soggettivista, sì, ma ancora illusa di poter mantenere una certa logica, una certa etica ed una vita puramente umana (anche se disancorate dal reale e dall’essere oggettivo) e la post-modernità o filosofia contemporanea, la quale vuole distruggere perfino le vestigia del tutto soggettive e non più reali di questi valori umani (pensiero, morale, vita, essere). Lo stesso Maritain ha riconosciuto che “il modernismo rispetto al neomodernismo fu un semplice raffreddore da fieno” (Il contadino della Garonna, 1966). Eppure fu proprio lui con Umanesimo integrale (1936) a spalancare le porte al neo-modernismo in ambiente cattolico, ma evidentemente è rimasto poi orripilato dall’apprendista stregone sfuggitogli di mano.

La grandezza positiva (e non solo negativa o di condanna degli errori contemporanei) della Humani generis è quella di aver cercato, purtroppo invano, di far capire ai “nuovi teologi” che il loro soggettivismo e immanentismo filosofico avrebbero condotto inevitabilmente alla “a-teologia” della “morte di Dio” prevista da Nietsche nei primi del Novecento (“siete voi che Lo avete ucciso”, avrebbe detto Zarathustra ai “periti” conciliari). Infatti se la morale autonoma e laica è una contradictio in terminis, la a-morale per principio è ancora più disastrosa, e se il modernismo, che cerca di sposare il dogma cattolico col soggettivismo idealistico, è contraddittorio e svuota l’essenza del cristianesimo dall’ interno, il neomodernismo, che vuol distruggere persino le ultime vestigia del “cattolicesimo” trascendentale o aprioristicamente kantiano, è ancora più dirompente e vorrebbe fare tabula rasa del cattolicesimo e di ogni verità e morale naturale, se ciò fosse possibile. Si potrebbe far la seguente equazione: il neomodernismo sta al modernismo come Adriano (135) sta a Tito (70). Adriano rase al suolo quel che restava di Gerusalemme e della Giudea tutta, già rovinate da Tito. Infatti, dal Seicento sino ai primi del Novecento, esistevano ancora almeno le idee di “Dio”, patria, famiglia, matrimonio, bene e male; con il Novecento e nella seconda sua metà persino le idee di queste realtà, a cui la modernità aveva tolto ogni consistenza ontologica sostituendola con il loro concetto puramente logico, vengono messe in discussione, anzi aggredite per essere annichilite pure soggettivisticamente o logicamente: è l’idea stessa di Dio, di morale, di patria che deve essere distrutta.

La modernità diceva: “Dio esiste perché Io lo penso” (Kant, Critica della Ragion pura), e quindi “Io debbo comportarmi eticamente bene” (Critica della Ragion pratica); la post-modernità dice: “se Dio non esiste realmente, la sua idea è oppio, va distrutta e tutto è permesso moralmente” (Marx, Nietzsche, Freud, Adorno, Marcuse, Sartre, Levy-Strauss). Come si vede la filosofia e la teologia contemporanee sono filosofia e teologia “della crisi e del nulla, a fatti e non solo a parole, nella vita pubblica e non solo in quella privata” (p. Gemelli); mentre quelle della modernità perlomeno salvavano le idee soggettive degli enti reali della metafisica aristotelico-tomistica e classica e una certa moralità anche se puramente autonoma.

La grandezza positiva dell’ Humani generis

È la filosofia contemporanea e non il magistero – risponde Pio XII alle accuse rivolte alla Chiesa – che conduce alla morte; di questo eccidio dell’essere, della ragione e della morale non è colpevole la Chiesa, la quale invece porta alla vita intellettuale, morale, spirituale ed eterna. Questo è il messaggio positivo e più grande della Humani generis, che è stato disprezzato, non ascoltato o volutamente frainteso. Purtroppo appena dieci anni dopo, l’eccidio previsto da Pio XII ha iniziato ad avverarsi con Giovanni XXIII e il Vaticano II.

L’Humani generis, quindi, è stata non solo un’enciclica opportuna, vera e giusta, ma realmente profetica e costruttiva, ossia ha previsto e lanciato un grido di allarme pieno di preoccupazione e di speranza al tempo stesso: se accetterete la filosofia contemporanea e post-moderna, sprofonderete nella distruzione della natura e nella perdita della grazia, che è inizio di dannazione eterna; se invece tornerete alle fonti pure della divina Rivelazione, della patristica e della scolastica (specialmente tomistica), inizierete il cammino che porta dalla ragione alla fede, dalla natura alla grazia e da questa al Paradiso.

Come nel 1939/40 Pio XII aveva esclamato: “tutto può essere ancora salvato con la pace e nulla può esserlo con la guerra”, così nel 1950 ci ha lasciato detto: “tutto è perduto col neomodernismo o modernità e tutto può essere restaurato col neotomismo o classicità”. Purtroppo nel 1940 non lo si ascoltò e la civiltà europea sprofondò nella neobarbarie dei vincitori, che ci hanno svuotati della nostra tradizione culturale, filosofica, giuridica e spirituale. Allo stesso modo nel 1950 lo si osteggiò e nel 1960 lo si contraddisse facendo tabula rasa della filosofia e teologia scolastica per sposare la post-modernità, che ci ha portato inevitabilmente alla distruzione e alla morte dell’essere, della ragione, della morale e persino dell’idea di Dio, il quale, essendo invece reale, “tace ma non acconsente”, tollera e attende di mostrare all’umanità, nella maniera che ritiene più opportuna, la vacuità delle sue pretese soggettivistiche, immanentistiche, antropocentriche e deicide.

La tragedia del Vaticano II

Giovanni XXIII, al contrario di Pio XII, ha ascoltato la sirena tentatrice della post-modernità e si è messo a “dialogare” con essa, portando la confusione e “il fumo di satana dentro il Tempio di Dio”. Questa è la tragedia del Concilio Vaticano II: “abbattere i bastioni” della Chiesa, la “mano tesa” e il “dialogo” con la modernità e post-modernità, il rigetto de jure e de facto della Humani generis (avversata fin dal suo apparire da tutti i “nuovi teologi”, anche i più “conservatori”: Daniélou, Balthasar, Ratzinger v. sì sì no no ,15 marzo 2009, pp. 4 ss.), e la canonizzazione dei “nuovi teologi”, che hanno fatto il Concilio in qualità di “periti” ufficialmente nominati, e sono stati poi creati cardinali (de Lubac, Congar, Balthasar, Daniélou, Ratzinger), pur non avendo avuto né ripensamenti né pentimenti sugli errori da loro sostenuti contro la Humani generis.

Il rimedio

Il risultato dell’adattamento alla modernità è stato catastrofico. Basta non chiudere gli occhi sulla situazione di degrado dottrinale e morale in cui versano gli uomini di Chiesa o la Chiesa nella sua componente umana e la mancanza di credito di cui gode oggi il cattolicesimo.

La Humani generis ha non solo scorto negativamente la gravità degli errori contemporanei e le disastrose conseguenze, ma ha fornito positivamente il rimedio per uscirne: il ritorno alle vere fonti del cristianesimo, la patristica integrata e ultimata dalla scolastica, sotto la guida del magistero della Chiesa. L’enciclica ribadisce e spinge a rivalutare

a) il valore della ragione umana, che, se non può conoscere tutto di ogni cosa, può nondimeno giungere a conoscere con certezza la essenza delle cose e perciò rappresenta “l’ancora di salvezza nel mare del dubbio universale” (Gemelli);

b) il valore perenne della sana filosofia scolastica e specialmente tomistica, fondata sui principi primi e per sé noti;

c) che solo una retta ragione e volontà illuminate e rafforzate dalla fede e carità soprannaturali potranno risolvere i problemi dell’uomo contemporaneo. Non è affogando assieme che si salva un bagnante in difficoltà, ma occorre prima portarlo in salvo dai flutti che lo stanno per ghermire per poterlo poi rianimare[9].

Allo stesso modo non si può salvare l’uomo moderno e contemporaneo sprofondando con lui negli errori della modernità e negli orrori della post-modernità, ma è solo riportandolo alla chiarezza cristallina della scolastica, specialmente tomistica, che si salva un intossicato da un fumo denso accecante ed asfissiante qual è la filosofia moderna e contemporanea.

Reginaldo

(continua)



[1] A. Gemelli - R. Garrigou Lagrange - F. Olgiati - C. Calvetti, L’enciclica “Humani generis”, testo e commento, Milano, Vita e Pensiero, 19 51, fascicolo 1°, p. I.

[2] Dizionario di teologia dommatica, Roma, Studium, 4a ed., 1957, p. 137.

[3] A. Gemelli…, cit, p. 30.

[4] Ivi.

[5] Per la filosofia classica e scolastica “a priori” significa ragionamento deduttivo, che dalla causa (prius) arriva all’effetto (posterius), per esempio dalla spiritualità dell’anima giungo alla sua immortalità, in quanto ciò che è spirituale è non composto. Ora, ciò che non è composto non può corrompersi. Quindi, spirituale significa incorruttibile o immortale. Invece colla filosofia moderna e specialmente con Kant “apriorismo” significa un’intuizione intellettiva soggettiva, che precede ogni conoscenza sensibile o esperienza.

[6] Ibidem, p. 31.

[7] Ivi

[8] Ivi.

[9] Padre Reginaldo Garrigou-Lagrange nel suo articolo (pp. 41-48) spiega soprattutto la correlazione perfetta tra dottrina cattolica e il tomismo, raccomandato dalla Humani generis quale rimedio ai mali contemporanei.


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