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LA CURVA AD U DELLA TEOLOGIA CATTOLICA

La “teologia della liberazione”

La “teologia della liberazione” è figlia della “teologia politica” di Johannes B. Metz.

«L’impulso decisivo alla formazione della teologia della liberazione venne dall’Europa», scrive G.B. Mondin, poiché essa non è altro che un «adattamento alle condizioni socio-politiche dell’America Latina della teologia politica che già alla fine degli anni Sessanta Metz e Moltmann avevano elaborato per l’Europa. Certamente i teologi [della “liberazione”], che avevano avuto una formazione teologica sostanzialmente europea, come Gutiérrez, Assmann e Boff, non potevano non essere al corrente di quello che in quegli anni stava diventando l’indirizzo teologico più rinomato e influente»[1].

 

Il primato dell’azione

L’America latina nel secolo XIX e XX ha conosciuto un’epoca di subalternità economica e politica rispetto ai Paesi più industrializzati e specialmente agli Usa. Anche la progressiva industrializzazione del sud-America, dopo la crisi del 1929, non l’ha liberata dalla condizione di sudditanza quasi coloniale dal nord-America. Gli anni Sessanta portarono anche nel subcontinente sud-americano una ventata di sviluppo (soprattutto sotto la presidenza di J. F. Kennedy) nota come “Alleanza per il progresso”. Si sperava che gli investimenti fatti in loco dai Paesi industrializzati avrebbero migliorato le condizioni dell’America latina. «Ben presto, tuttavia, ci si avvide che le distanze anziché accorciarsi aumentavano e che gli investimenti stranieri, se miglioravano le condizioni immediate di vita, erano per altro fonte di ulteriore sudditanza»[2]. In questo stato di cose nasce la “teologia della liberazione”.

Il cristianesimo sociale o demo-cristianesimo aveva sostenuto lo “sviluppismo”, che però non aveva prodotto i frutti sperati, anzi aveva accentuato la dipendenza latino-americana. Allora il modello rivoluzionario comunista, stile cubano-castrista, prese la ledearship anche in ambiente cristiano moderato o democristiano. Il cristianesimo da sociale diventa socialista, si schiera a fianco della rivoluzione comunista e persino religiosi e preti si uniscono, in qualche caso, a gruppi di guerriglieri, come, ad esempio, il padre Camillo Torres, che morì braccato dalle truppe governative nel 1965.

Nel 1966 a Ginevra la “Conferenza del Consiglio Mondiale delle Chiese” portò alla ribalta le nuove voci della teologia sud-americana o della liberazione sul tema “Chiesa e società”. Nel 1968 la II Conferenza Generale dell’Episcopato latino-americano tenutasi a Medellin (in Colombia)[3] sviluppò i contenuti dell’ enciclica Populorum progressio di Paolo VI, utilizzando esplicitamente per la prima volta il concetto di “liberazione” per indicare la soluzione dei problemi sociali da parte della teologia cattolica. Da allora nacque formalmente la “teologia della liberazione”, la quale si rifaceva a Metz e alla sua teologia del mondo, della speranza e politica, ad Ernest Bloch e alla Scuola di Francoforte (cfr. sì sì no no, 30 marzo 2010).

Tuttavia la “teologia della liberazione” scavalca tutte queste teologie e le critica in quanto ancora astratte e speculative e incapaci di ribaltare le ideologie dominanti che pur dicono di voler combattere. Esse discutono invece di agire, mentre la “teologia della liberazione” propone il primato della prassi sulla teoria. Questo rovesciamento di metodo è la novità essenziale della “teologia della liberazione”: non è il pensiero, la riflessione a partorire l’azione, ma l’azione, la prassi precede, produce e accompagna la riflessione teologica; è una teologia che va dalla prassi alla “liberazione”: «Dalla prassi si origina un nuovo pensare teologico e nella prassi esso ha il proprio luogo di verifica»[4].

I rappresentanti più noti della “teologia della liberazione” sono Gustavo Gutierrez e Leonard Boff.

Gustavo Gutiérrez

Nacque a Lima (Perù) nel 1928. Studiò filosofia dal 1951 al 1955 a Lovanio (Belgio) e teologia dal 1955 al 1959 a Lione-Fourvière (Francia). Nel 1959 fu ordinato sacerdote e dal 1960 insegna teologia all’Università cattolica di Lima. Nel 1968 partecipò alla Conferenza Episcopale di Medellin, dando un contributo fondamentale all’elaborazione dei documenti di quella Conferenza. Nel 1971 ha scritto Teologia della liberazione (tr. it., Brescia, Queriniana, 1972) che costituisce il libro fondamentale di questa corrente teologica. Secondo l’autore, la Teologia non è teoria, ma azione; è la riflessione che accompagna o, meglio, segue la prassi rivoluzionaria, leggendola alla luce della Parola di Dio. L’intera Teologia speculativa non vale un solo atto rivoluzionario.

Secondo Gutiérrez, la teologia sud-americana è unitaria, ma segue diverse tappe:

1) “liberazione economica”, che è sinonimo di rivoluzione: in quanto rottura con il passato, la “liberazione” è immancabilmente azione politica rivoluzionaria;

2) segue la “liberazione storica” dell’ uomo, che diventa padrone del proprio destino e costruisce una nuova società;

3) viene poi la “liberazione utopistica”, che denuncia l’ordine esistente ed annuncia, con una speranza tutta terrena, l’ordine “nuovo” che verrà (il “non-ancora” di Metz);

4) ultima viene la “liberazione dal peccato”, che significa entrare in comunione con Dio e gli altri uomini. Tuttavia tale salvezza dal peccato non viene all’uomo dal di fuori, come dono di Dio, ma è intrinseca all’azione rivoluzionaria umana.

Questo quadruplice processo è inscindibile, dacché non c’è liberazione dal peccato senza liberazione economica rivoluzionaria, storica ed utopistica. Ed è l’utopia o la speranza mondana a far da cemento in tutto questo procedimento.

Nel 1983 la Congregazione per la dottrina della fede inviò alla Conferenza Episcopale peruviana dieci osservazioni sulla teologia di Gustavo Gutiérrez, il quale rispose evasivamente e rinunciò ad occuparsi ulteriormente di “liberazione”.

Leonardo Boff

Nacque a Concordia in Argentina nel 1938, entrò nell’Ordine francescano, studiò filosofia a Paranà e teologia a Rio de Janeiro, poi si specializzò in teologia dogmatica a Monaco di Baviera sotto la guida di Rahner. La sua opera più nota è Cristo liberatore del 1972 (tr. it. Assisi, Cittadella, 1973). Essa offre alcuni contenuti cristologici alla lotta per la liberazione: «Non senza richiami a Teilhard de Chardin, Boff presenta Cristo in modo da mostrare in lui la piena convergenza di umano e divino»[5].

Come il “Cristo cosmico” di Teilhard è l’uomo che diviene Dio, così la “lotta per la liberazione” è azione o prassi rivoluzionaria umana che libera anche dal peccato e divinizza l’uomo. Come il “Cristo cosmico” è il punto omega o l’anticipazione del futuro (il “non-ancora”, di Metz), l’ultimo stadio della evoluzione creatrice, così la “teologia della liberazione” è il principio e il termine di un’ evoluzione in cui è dato all’uomo di aprirsi ad una nuova vita pienamente libera.

Nel 1979-80 l’«Assemblea Ecclesiale» di Puebla[6], secondo i teologi della liberazione, costituì una conferma e una universalizzazione di questa teologia sud-americana e non una sconfessione, come pensano comunemente i teologi europei: «Quanto lì è stato criticato, particolarmente nei discorsi di papa Giovanni Paolo II, e che in Europa è suonato come una sconfessione della teologia della liberazione, sarebbe quanto la stragrande maggioranza dei teologi sud-americani stessi rifiuta: una riduzione ideologica della teologia della liberazione, che invece si pratica in occidente. Intatto e confermato, viceversa, è rimasto l’impegno dei teologi a riflettere a fianco di una comunità cristiana che lotta per la propria liberazione»[7].

Nel 1984, per le tesi espresse nel suo libro Chiesa: carisma e potere, in cui contestava l’uso dell’autorità da parte della Chiesa, che avrebbe soffocato i carismi con le sue strutture, Boff fu convocato dalla Congregazione per la dottrina della fede, che ne censurò l’opera ed obbligò Boff ad un anno di silenzio, passato il quale egli riprese la sua polemica contro la Chiesa. Nel 1995, dopo aver convissuto a lungo con la sua segretaria, Boff ha lasciato il ministero sacerdotale per lo stato laicale e si è trasferito a Rio de Janeiro. Ecco come la “teologia della liberazione” libera dal peccato!

Le “teologie” post-moderniste del “Terzo mondo”

Padre Battista Mondin scrive che «il 1965, anno della fine del concilio Vaticano II, può essere assunto come data epocale per la storia della teologia» (Storia della Teologia, Bologna, ESD, 1997, 4° vol., p. 664). Infatti a partire da quella data la teologia perde il suo carattere speculativo ed acquista un’inflessione eminentemente pratica, seguendo la china del concilio “pastorale” e non dogmatico: «L’orientamento verso la prassi e l’inculturazione è la caratteristica principale della teologia degli anni 1965-1995. “Prassologia” e “inculturazione” sono due facciate di quella grande svolta antropologica che ha avuto luogo nella teologia di quel periodo» (B. Mondin, Ibidem, p. 665). Anche Marcel de Corte scrive che i «Padri fecero sbilanciare il Concilio verso l’ “azione”. […] per questo il Concilio volle essere pastorale a differenza di quelli precedenti» e «non ha proclamato nessun dogma». (L’intelligenza in pericolo di morte, ed. Volpe, p. 12). È quella linea di pensiero che p. Gabriele Roschini chiamava “bolscevismo teologico”. Sempre Mondin spiega che oggetto della teologia post-conciliare non è più Dio, ma l’uomo e, in particolare, «quella “nuova umanità” che negli ultimi decenni ha acquistato cittadinanza nel mondo civile: il nero, la donna, l’africano, l’ indiano e altri ancora» (Ivi). Padre Cornelio Fabro ha scritto La svolta antropologica di Karl Rahner (Milano, Rusconi, 1974); oggi dovrebbe scrivere sull’inversione a “U” della teologia cattolica.

1)La teologia della donna, nata in nord-america, è una vera e propria teologia femminista in cui la donna è l’oggetto formale dello studio teologico e perciò la Rivelazione è letta alla “luce” della donna che si emancipa dall’uomo. Questa “teologia” mette in questione tutta la teologia tradizionale perché non studia più Dio nella sua divinità, ma vede tutto sub specie feminilitatis. Comprende due momenti: a) la “parte negativa”, in cui si de-maschilizza la Rivelazione e lo stesso concetto di Dio, come se Questi fosse un uomo e non Purissimo Spirito; b) la “parte positiva”, in cui si promuove la valorizzazione della donna all’interno della Chiesa e del sacerdozio[8].

2) La teologia nera (black theology) è la “teologia” della gente nera che vive in stato di segregazione razziale, negli Stati Uniti più che in Africa. Padre Mondin la definisce “una teologia della liberazione nera”. Alcuni teologi neri degli Usa si sono appropriati della “teologia della liberazione” sud-americana e l’hanno calata nella situazione di degrado che i neri soffrivano in nord-america prima del 1968[9].

«Nella teologia radicale la specificità è data dal silenzio di Dio o “morte di Dio”; nella teologia politica la specificità è data dalla valenza pubblica della fede cristiana; nella teologia della speranza la specificità è dovuta all’escatologia [mondana] e alla filosofia blochiana della speranza [terrena]. La specificità della teologia della liberazione è il mysterium paupertatis»[10], ma tutte queste “teologie” hanno un medesimo filo conduttore: l’immanentismo. «Mentre gli anni Sessanta e Settanta erano stati dominati dal tema della secolarizzazione e gli anni Ottanta da quello della liberazione, gli anni Novanta vedono concentrarsi sempre più l’attenzione della Chiesa e dei teologi sul tema della inculturazione […] il tentativo di inserire il Vangelo nella cultura moderna»[11] e di renderlo così totalmente “immanentizzato”, come volevano Feuerbach e Bloch.

Eleutherius



[1] B. Mondin, Storia della teologia, cit., pp. 718-719.

[2] F. Ardusso…, La teologia contemporanea, cit., p. 566.

[3] Gli Atti di Medellin sono stati raccolti nel 1968 in due volumi editi dal Celam di Medellin/Bogotà e tradotti in italiano: “Medellin Documenti, Bologna, Dehoniane, 1969.

[4] F. Ardusso…, p. 567.

[5] F. Ardusso.., cit., p. 570.

[6] Gli Atti di Puebla sono raccolti in “Puebla. L’evangelizzazione nel presente e nel futuro dell’America Latina”, Bologna, EMI, 1979, che è l’unica versione autorizzata.

Padre Battista Mondin scrive: «Attualmente si possono distinguere nella storia della teologia della liberazione tre fasi, che possono essere collegate alle tre grandi Conferenze Episcopali della Chiesa latino-americana: Medellin (1968), Puebla (1980) e Santo Domingo (1992). Medellin segna l’inizio della fase della creatività. Puebla dà il via alla fase di assestamento, specialmente grazie agli interventi della S. Sede con le Istruzioni Libertatis nuntius del 1984 e Libertatis conscientia del 1986. A Santo Domingo (1992) […] la teologia della liberazione così come era stata progettata e sistematicamente elaborata, a partire dalla prassi letta in chiave marxista, dopo il crollo della ideologia marxista risulta definitivamente superata. Quella teologia è esausta e va necessariamente verso la dissoluzione» (Storia della teologia, Bologna, ESD, 1997, 4° vol., p. 720).

[7] F. Ardusso.., cit., p. 572

[8] In Italia è rappresentata da Adriana Zarri, (Impazienza di Adamo) e Adriana Valerio (Cristianesimo al femminile).

[9] James Hal Cone, Teologia nera della liberazione, Torino, Claudiana, 1973; Major J. Jones, Christian Ethics for Black Theology, Nasville, 1974; James Deotis Roberts, A Black Political Theology, Philadelphia, 1974; Manas Bouthelezi, Black Theology. The South-African Voice, Londra, 1973; Allan Aubrey Boesak, A socio-Ethical Study on Black Theology and Black Power, New York, 1977; D.M. Chenu, Le Christ noir américain, Parigi, 1984; Id., Teologie dei terzi mondi, Brescia, 1988. In italiano si possono consultare le seguenti monografie: R. Gibellini, Teologia nera, Brescia, Queriniana, 1978. Aa Vv., Teologie dal terzo mondo: teologia nera e teologia latino-americana, Brescia, Queriniana, 1974.

[10] B. Mondin, Storia della teologia, cit., p. 724.

[11] Id., p. 798.