OLTRE IL NEOMODERNISMO
HANS KÜNG ED EDWARD SCHILLEBEECKX

1) Kung: l’ecumenismo cosmico

Hans Küng nasce nel 1928 in Svizzera a Surzee (Lucerna). Nel 1948 entra nel “Pontificio Collegio Germanico Ungarico” a Roma. Studia filosofia e teologia all’Università Gregoriana, ove consegue nel 1951 una licenza in filosofia con una tesi su L’umanesimo ateo di Jean Paul Sartre. Nel 1955 si licenzia in teologia trattando La dottrina della giustificazione luterana di Karl Barth e la sua conciliabilità con la dottrina cattolica. Frattanto è stato ordinato sacerdote nel 1954. Si trasferisce in Francia nel 1955, ove due anni dopo consegue la laurea in teologia con una tesi su La giustificazione secondo Barth e la teologia cattolica. Nel 1958 insegna teologia all’ Università di Münster e nel 1960 passa a Tubinga come professore ordinario di dogmatica e “teologia ecumenica”[1]. Partecipa attivamente al Concilio Vaticano II in qualità di perito ufficiale. Tuttavia alla fine del Concilio si sente insoddisfatto. Egli è uno dei rappresentanti della post-modernità filosofica o nichilismo teoretico (Sartre e Strutturalismo francese) e del post-modernismo o nichilismo teologico (cfr. i suoi libri: Dio esiste? [1978], Milano, Mondadori, 1979; Vita eterna?, [1980], Milano, Mondadori, 1983). Perciò con la rivista Concilium, nata nel 1963, diventa una punta di diamante del post-concilio, assieme a Schillebeeckx, Rahner, Congar e Metz.

 

Nel 1967 Küng pubblica il suo libro La Chiesa (tr. it., Brescia, Queriniana, 1969) e inizia ad entrare in collisione con i neo-modernisti moderati (Balthasar, de Lubac, Ratzinger e la rivista Communio) o anche avanzati (Chenu e Congar), che si erano accontentati delle novità conciliari. Nel 1970 la sua rottura col neo-modernismo e il suo scavalcamento diventano aperti quando egli pubblica Infallibile? Una domanda (tr. it., Brescia, Queriniana, 1970). A questa domanda Küng risponde che l’infallibilità è propria solo di Dio e quindi né la Sacra Scrittura, né il Papa e neppure la Chiesa sono infallibili. Nel 1979 la Congregazione per la dottrina della fede lo priva della cattedra di teologia alla Università cattolica di Tubinga, ma gli affida quella di filosofia…

Il pan-ecumenismo cosmico

Il punto di partenza della teologia kunghiana è l’ecumenismo, non solo tra cattolici e protestanti o “cristiani riformati”, ma anche coi non cristiani, specialmente con il giudaismo (cf. L’ebraismo, Milano, Rizzoli, [1991], 1992).

«L’intenzione ecumenica […] anche in un senso di dialogo con le culture contemporanee [o post-moderne, nda] è indubbiamente il movente primo e fondamentale dell’opera teologica di Küng. […]. Il metodo che sceglie è [come Ratzinger] quello ermeneutico [re-interpretazione soggettiva del pensiero tradizionale, cfr. “sì sì no no” 15 marzo 2009 p. 3, nda], il solo capace di comprendere il linguaggio altrui penetrando negli schemi di pensiero e di linguaggio che sono propri della tradizione culturale e teologica in cui è inserito, sino a giungere a pensare non più solo nella propria lingua (quella della teologia cattolica), ma anche nella lingua altrui»[2]. Tale ecumenismo universale – di matrice cosmico-teilhardiana, cf sì sì no no 30 novembre 2009, pp. 1ss.) – si avvicina molto al mondialismo, alla globalizzazione o al “Nuovo Ordine Mondiale”, che sta cambiando – in peggio – il volto del mondo attuale sia religiosamente (Concilio e post-concilio) che politicamente, specialmente a partire dal 1990-2001 (guerra del mondo “occidentale” contro il medio oriente conclusasi in una catastrofe militare, politica, economica per l’ «occidente» e foriera di un revanchismo medio-orientale, che potrebbe portare alla conflagrazione atomica).

Una “Chiesa” pneumatica

L’ecclesiologia di Küng è duplice. Ad intra essa è antiromana: sin dal 1967 (La Chiesa), egli attacca non solo la teologia romana, ma anche il Magistero stesso della Chiesa romana. Ad extra essa dialoga con l’uomo moderno e post-moderno (esistenzialismo ateo di Sartre). Con il 1974 (Essere cristiani, tr. it. 1976), la via ad extra diventa il percorso privilegiato.

L’interlocutore del suo dialogo ecumenista non è più il cristiano, nemmeno il “riformato” né l’ebreo, ma l’ateo. Egli arriva quasi alla “teologia della morte di Dio” (nata inizialmente in ambiente protestantico), dopo essere passato per l’ esistenzialismo ateo di Sartre.

Secondo p. Battista Mondin, «quello che pregiudica tutta l’opera di Küng è il postulato hegeliano, secondo cui si deve distinguere l’essenza di una cosa dalle sue forme o figure storiche»[3]. Per questa via Küng arriva alla conclusione che la natura della Chiesa, da Pietro fino ad oggi, non si è mai realizzata nelle forme o strutture storiche volute da Dio[4] perché, secondo lui, l’essenza della struttura della Chiesa è carismatica, e non istituzionale o gerarchico-giuridica[5] e la sua origine è pneumatica o spirituale: «la Chiesa è una costruzione che ha consistenza in forza dello Spirito del Signore, nello Spirito e mediante lo Spirito»[6]. Küng, di conseguenza, nega l’episcopato monarchico, e quindi il primato petrino, come pure il presbiterato o sacerdozio ministeriale o ogni ordine sacramentale sia sacerdotale che episcopale[7]. Nessuna meraviglia se nel 1969 Küng prende posizione pubblica contro l’enciclica Humanae vitae di Paolo VI.

L’infallibilità: sulle orme di Lutero e Calvino

Per quanto riguarda l’infallibilità della Sacra Scrittura, della Chiesa, del Papa e della Tradizione, Küng le nega decisamente, rifacendosi alle eresie di Lutero e Calvino. La Bibbia, per lui, contiene errori non solo scientifici e storici, ma persino morali e dogmatici[8]. Tali errori sarebbero presenti anche nei testi dei Concili ecumenici dogmatici e persino in dogmi pronunciati ex cathedra dal Papa[9]. Tali proposizioni estreme provocarono l’ allontanamento da Küng di Congar, Ratzinger e persino – anche se parzialmente – di Rahner.

Un “Cristo per il nostro tempo”

In Essere cristiani (1974) Küng propone e sostiene una «re-interpretazione della figura di Cristo per l’uomo del nostro tempo»[10].

Se Küng studia la Chiesa sui postulati dell’hegelismo e l’infallibilità sul positivismo logico e l’analisi linguistica, qui si fonda sulla demitizzazione di Bultmann e sulla distinzione tra il “Cristo storico” e il “Cristo della fede”.

Il Gesù della storia incarna in modo rivoluzionario i rapporti tra l’umanità e Dio; Gesù è l’amico, il rappresentante di Dio presso l’umanità, in Lui l’uomo viene posto direttamente in rapporto con Dio sul quale è chiamato a dare una risposta positiva o negativa[11]. Siccome Cristo è fedele al suo compito di rappresentante di Dio presso l’ umanità, viene a scontrarsi col potere umano costituito, che si fonda sulla sopraffazione dell’uomo. Viene perciò ucciso e sepolto ma, quando la vicenda del Cristo storico è finita nella tomba, ecco nascere la figura del “Cristo della fede” nella mente dei primi cristiani.

Küng mette in dubbio la storicità della Resurrezione di Gesù, ma essa, pur non essendo un fatto storicamente vero e certo, è, secondo lui, un simbolo autentico, il quale vuol significare che Cristo e noi con lui, nostro amico, siamo il punto alfa e omega (cf. Teilhard de Chardin sì sì no no 30 novembre 2009). Perciò anche la nostra resurrezione e quella di tutta l’umanità è un simbolo come la Resurrezione di Cristo.

Oltre la Risurrezione, anche la divinità, l’incarnazione, i miracoli di Nostro Signore Gesù Cristo sono per Küng simboli o miti e non fatti storici, «sono elaborazioni soggettive, con cui la comunità primitiva ha cercato di dar espressione alla sua fede nel Cristo, facendo ricorso alle categorie dell’ambiente storico-culturale giudeo-ellenistico»[12]. Pertanto la formula dogmatica di Calcedonia “Gesù Cristo vero Dio e vero uomo” è mitologica e pre-scientifica. Essa significa, quanto alla prima parte (“vero Dio”), che «In Gesù, […] fu vicino all’umanità Dio stesso»[13] e, quanto alla seconda parte (“vero uomo”), essa vuol significare che «Gesù fu pienamente e integralmente uomo»[14]. Così Küng, indirettamente e implicitamente, nega la divinità di Cristo, facendone un semplice vicario o rappresentante di Dio, un semplice uomo, ma pienamente tale, un uomo da imitare per giungere al teilhardiano “punto omega”.

Contro la “morte di Dio”, ma sulla scia dei “padri” del nichilismo teologico

Per rispondere alla teologia della “morte di Dio” di Feuerbach, Marx, Nietzsche e Freud Küng si rifà (Dio, esiste?, tr. it., Milano, Mondadori, 1979) non alle cinque vie tomistiche né alla solenne definizione dogmatica del Vaticano I, ma alla teoria kantiana: in teoria (Critica della ragion pura) non si può dimostrare con certezza l’esistenza di Dio (contrariamente al dettato dogmatico del Vaticano I) e quindi non si può confutare chi la nega, ma in pratica (Critica della ragion pratica) il bisogno dell’uomo postula l’ esistenza di una Entità superiore. Inoltre Küng non si ferma a Kant, ma «sulla scia di Hegel, accede ad una visione più dinamica di Dio»[15], ossia, per lui, Dio non è, ma diviene e quindi in pratica non esiste ma si fa, per evoluzione creatrice (cf. Teilhard de Chardin, sì sì no no 30 novembre 2009). Ora, ritornare al nonno (Kant) e al padre (Hegel) della post-modernità (Nietzsche, Marx, Freud) per confutarla, significa soltanto farla rivivere. Non è la modernità moderata (Kant) o spinta (Hegel) che cura il nichilismo post-moderno, ma solo il ritorno alla metafisica aristotelico-tomistica. Non si può curare una bronchite col raffreddore, occorre estirpare il virus che ha invaso le prime vie respiratorie e poi anche i bronchi.

La doppia verità e la “nuova cultura planetaria

«Dopo il Vaticano II molte frontiere della teologia sono cadute. La stessa posizione della Chiesa nei confronti delle altre religioni è cambiata. Le religioni non cristiane non sono più viste come creatura del demonio… [cf. Nostra aetate]. Così i cristiani sono invitati a pregare assieme ai credenti delle altre religioni. In questo nuovo clima (con Daniélou, Schlette, Rahner) è sorto un nuovo ramo della teologia: la ‘teologia delle religioni’. Hans Küng, nel suo ecumenismo universale, si è occupato ampiamente, sia in sede storica che teologica, delle religioni non cristiane […]. Per Küng esistono due criteri diversi di verità: uno filosofico e uno teologico. Quello teologico si basa sul Vangelo, quello filosofico sull’Humanum. Küng, che intende far valere il suo “ecumenismo universale”, dà la precedenza al criterio filosofico […]. Quella nuova cultura planetaria, di cui si avverte sempre più acutamente il bisogno […], si basa esattamente su quell’ Humanum universale di cui parla Küng»[16]. Ma questa “nuova cultura planetaria” di sapore cosmico-teilhardiano ci fa pensare alla “repubblica” e al “tempio universale” preconizzati dalla massoneria quale preludio al regno anti-cristico.

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2) Schillebeeckx: il nichilismo teologico

Edward Schillebeeckx, nacque nel 1914 ad Anversa in Belgio, nel 1934 entrò tra i Domenicani a Gand. Si cimentò nello sforzo di conciliare il fenomenologismo di Husserl col dogma cattolico, scivolando fatalmente verso il nichilismo teologico e oltrepassando lo stesso Küng. Tra il 1939 e il 1943 studiò a Lovanio. Ordinato sacerdote nel 1941, si licenziò in teologia a Le Saulchoir nel 1945, ove sotto la guida di p. Dominique-Marie Chenu apprese lo storicismo teologico, che relativizza il dogma, il quale non esporrebbe verità valide per tutti e sempre, ma sarebbe condizionato dalle categorie del tempo in cui venne formulato. A Parigi entrò in contatto e in dialogo con il post-marxismo utopistico, il personalismo e l’esistenzialismo ateo ossia con il post-modernismo o nichilismo filosofico-teologico. L’influsso nefasto di Schillebeeckx si fece sentire soprattutto in Olanda, essendo stato scelto dal card. Alfrink come consigliere teologico, e, tramite Alfrink, nel Vaticano II, pur non essendo stato Schillebeeckx nominato “ufficialmente” perito conciliare. Dopo il Concilio collaborò alla stesura del “Nuovo Catechismo Olandese”, negazione quasi totale del Credo, dei Comandamenti e dei Sacramenti, quali erano stati insegnati dal Magistero nel Catechismo romano (o del Concilio di Trento) e in quello di San Pio X[17].

Come Küng Schillebeeckx si spinse oltre il neo-modernismo e nel 1968 contestò troppo esplicitamente la presenza reale di Cristo nell’ Eucarestia, la divinità di Cristo, la illiceità della contraccezione e il celibato ecclesiastico[18]. Nel 1977 fu messo sotto inchiesta dalla Congregazione per la dottrina della fede. Nonostante ciò, ha mantenuto fino alla morte, sopravvenuta il 24.XII.2009, «la chiara fama di essere fra i migliori [immaginatevi i peggiori!, nda] teologi del nostro tempo, in grado, assieme a Karl Rahner, di costituire un ponte di collegamento fra i teologi che hanno preparato il Concilio [neo-modernisti, nda] e la nuova generazione di teologi [della “morte di Dio”, nda] che va affermandosi in questi anni»[19].

Il “ripensamento” della Fede

«Il problema fondamentale della teologia di Schillebeeckx è il problema del ripensamento della fede cristiana, alla luce del momento storico presente»[20]. Nelle sue prime opere[21] egli si servì di Husserl e dell’esistenzialismo per “ripensare” ovvero annichilare la teologia come studio di Dio.

Dio non è un Ente reale, oggettivo, personale e trascendente, che si può conoscere tramite la ragione o la Fede, ma è una misteriosa entità o presenza soggettiva di quell’amore che ci spinge a sentirne il bisogno nel nostro inconscio o sentimento[22]. Padre Battista Mondin definisce così il metodo del Nostro: «abbandono massiccio della tradizionale teologia speculativa di stampo metafisico, per dedicarsi a svariate forme di teologia della prassi […]. Si è optato per il criterio dell’ortoprassi rinunciando a quello dell’ortodossia»[23]. Ciò deve farci riflettere poiché, se non si vive come si pensa (fede e buone opere), si finisce per pensare come si vive (prassi senza fede e carità soprannaturale).

La teologia della secolarizzazione

Verso la metà degli anni Sessanta, specialmente con la “rivoluzione culturale” del 1968, l’esplodere del nichilismo teoretico (Scuola di Francoforte: Adorno e Marcuse; Strutturalismo francese: Levy-Strauss, Sartre, Lancan), impegna il Nostro a “sorpassarsi” a passare cioè dal personalismo al catto-comunismo di March Bloch alla “teologia della speranza terrena o politica” di G. B. Metz cercando un punto di incontro tra secolarizzazione nichilistica, la nuova immagine soggettivistica di Dio e addirittura lo stesso uomo secolarizzato e nichilista.

La fede cristiana va riletta alla luce dell’esperienza umana, come diceva già Maurice Blondel nel 1893, e Schillebeeckx afferma che la dimostrazione razionale dell’ esistenza di Dio, sancita dogmaticamente, solennemente e infallibilmente dal Concilio Vaticano I, si è mostrata fallimentare, poiché dà per scontata la esistenza reale e oggettiva di un mondo creato che rinvia a Dio creatore, come l’effetto alla Causa. Ma, secondo le categorie filosofiche post-moderne o nichilistiche, non vi è nulla di reale ed oggettivo e quindi non si può risalire a nulla, partendo dal nulla. Solo il sentimento e il bisogno istintivo ed inconscio di un’Entità superiore possono risvegliare nell’uomo post-moderno la speranza di “Dio[24] e solo la praxis e la realizzazione politica e terrena del regno di Dio su questo mondo e in questo mondo possono dare all’uomo un avvenire migliore tramite quell’Humanum, di cui parla anche Küng, che solo può unificare ciò che le religioni positive hanno finora diviso e portare l’umanità alle soglie di un “Nuovo Ordine Mondiale”[25].

La speranza di un “paradiso in terra” (Bloch) rimpiazza così l’ angoscia provocata dalla “morte di Dio”, e la teologia si trasforma in ideologia politica o prassi rivoluzionaria e cerca, millenaristicamente, di instaurare il Regno divino sulla terra, combattendo le istituzioni sociali dominanti[26]. Benché il Dio trascendente sia morto, perché irreale, tuttavia l’uomo può e deve rimpiazzarlo con una prassi politica, che porta “dio” in terra (immanentismo) e non più la terra verso Dio (trascendenza).

La cristologia

Nel suo Il Cristo. La storia di una nuova prassi (1977; tr. it., Brescia, Queriniana, 1980) Schillebeeckx afferma che anche il Gesù della storia non può essere colto come un dato oggettivo e reale, ma solo tramite l’esperienza sentimentale del bisogno religioso che alberga inconsciamente nel cuore di ogni uomo e che coincide con l’immagine che si fecero di lui i primi cristiani. (L’approccio a Gesù di Nazareth. Linee metodologiche, [1970], Brescia, Queriniana, 1972, p. 23; e Gesù, la storia di un vivente [1974], tr. it., Brescia, Queriniana, 1976, p. 423.

La nuova scienza “ermeneutica”

Secondo il domenicano olandese non si tratta solo di “aggiornare” (come aveva chiesto Giovanni XXIII) al nuovo modo di esprimersi un nucleo di verità immutabili, ma di storicizzare e relativizzare ogni dottrina umana o religiosa. Affermazioni di fede fatte in tempi e contesti culturali diversi dal nostro, vanno re-interpretate con creatività ma assieme con fedeltà, perché il tempo (passato, presente e futuro) che le avviluppa tutte le rende continue, anche se apparentemente divergenti (cf. sì sì no no 15 marzo 2009 Joseph Ratzinger: un enigma svelato).

Queste teorie mutuate da Dilthey, Schleiermacher e Gadamer sono state riprese da Benedetto XVI nel suo discorso del dicembre 2005 alla Curia romana sul Concilio Vaticano II, il quale sarebbe in continuità con la Tradizione e non in rottura con essa. Continuità affermata, ma non provata, come ha giustamente scritto mons. Brunero Gherardini (Il Concilio Ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, CME, Frigento, 2009).

Leone



[1] Per quanto riguarda la inconciliabilità tra cattolicesimo e protestantesimo si legga il volume di Brunero Gherardini, Ecumene tradita. Il dialogo ecumenico tra equivoci e passi falsi, Verona, ed. Fede e Cultura, 2009. Per quanto riguarda Küng e von Balthasar, si veda specialmente il capitolo VI «Il consenso su ‘Chiesa e giustificazione’», pagine 117-145. L’Autore è il massimo specialista cattolico sul protestantesimo. Specializzatosi a Tubinga tra il 1954-55, dopo essersi lauretato in teologia alla Lateranense nel 1952, ha insegnato “Ecclesiologia” alla Pontificia Università Lateranense dal 1968 al 1995, quale successore di monsignor Ugo Lattanzi.

[2] Ardusso- Ferretti- pastore-Perone, la Teologia contemporanea, Torino, Marietti, 1980, p. 512.

[3] B. Mondin, Storia della Teologia, Bologna, ESD, 1997, 4° vol., p. 760.

[4] La Chiesa, Brescia, Morcelliana, 1969, pp. 5-6.

[5] Ibidem, p. 203.

[6] Ibidem, p. 196.

[7] Ibidem, p. 467.

[8] Infallibile? Una domanda, Brescia, Queriniana, 1969, p. 251 ss.

[9] Ibidem, p. 238, 53, 182, 196 e 254.

[10] Essere cristiani, tr. it., 1976, Milano, Mondadori, p. 153.

[11] Ibidem, p. 353.

[12] B. Mondin, Storia della Teologia, cit., p. 767.

[13] Essere cristiani, p. 508.

[14] Ibidem, p. 509.

[15] Ardusso, La Teologia contemporanea, cit., p. 515.

[16] B. Mondin, Storia della Teologia, cit., p. 771. Cf. H. Küng, Progetto: Ethos universale, [199o], tr. it., Milano, Rizzoli, 1991.

Su Küng si vedano:

L. Jammarone, Küng, eretico?, Brescia, 1980.

G. Pozzo, Funzioni del Magistero e uso dei suoi documenti dottrinali nella teologia di P. Schoonemberg e H. Küng. Problemi e riflessioni, Roma, 1982.

[17] Cf. P. C. Landucci, Critica al Nuovo Catechismo Olandese, 1976.

[18] La presenza eucaristica, Roma, Paoline, [1966], tr. it., 1968; Il celibato del ministero sacerdotale, [1968], tr. it., Roma, Paoline, 1970;

[19] Ardusso…, op. cit., p. 472.

[20] Ardusso.., op. cit., p. 474

[21] Rivelazione e teologia, [1964] tr. it., Roma, Paoline, 1966, pp. 277-302 e 303-354.

[22] Dio e l’uomo, [1964], tr. it., Roma, Paoline, 1967, pp. 60-90.

[23] Storia della Teologia,Bologna, ESD, 1997, 4° vol., p. 771.

[24] E. Schillebeeckx, Dio e l’uomo, op. cit., p. 60.

[25] Intelligenza della fede, [1972], Roma, Paoline, 1975, p. 106.

[26] Gesù, la storia di un vivente, [1974], tr. it., Brescia, Queriniana, 1976, p. 658.