TEOCENTRISMO O ANTROPOCENTRISMO

Premessa

Abbiamo più volte ricordato la seguente affermazione di Giovanni Paolo II: «Mentre le varie correnti del pensiero umano nel passato e nel presente sono state e continuano ad essere propense a dividere e persino a contrapporre il teocentrismo con l’antropocentrismo, la Chiesa [conciliare, ndr.] cerca di congiungerli in maniera organica e profonda. E questo è uno dei punti fondamentali, e forse il più importante, del magistero dell’ultimo Concilio» (Dives in misericordia, n.1). Nessun Concilio, però, può conciliare l’inconciliabile.

 

A dimostrare la perenne verità cristiana del teocentrismo basterebbe una delle litanie del S. Cuore di Gesù: «Cuore di Gesù, re e centro di tutti i cuori, abbi pietà di noi»[1]. Al contrario, per dimostrare il carattere satanico dell’antropocentrismo, sarebbe sufficiente questo rilievo: «[La rivoluzione, o sovversione integrale, è] l’odio di qualsiasi ordine non stabilito dall’uomo […]. Qui sta la chiave di volta della volontà di “cambiamento” in seno alla Chiesa: si tratta di rimpiazzare un’istituzione divina con un’istituzione fatta dall’ uomo. E l’uomo prende il sopravvento su Dio. Invade tutto. Tutto comincia da lui e termina in lui. È davanti a lui che ci si prosterna»[2]. In termini diversi, ma convergenti: «L’ antropologia diventa l’asso piglia tutto. […] Oggi […] l’uomo è il centro»[3]. Ricordando altresì che l’ “umanesimo integrale” di Maritain, fu bollato come «naturalismo integrale»[4] e ricordando parimenti che la posizione filosofica di Maritain fu accusata di un oggettivo nichilismo[5] siamo tenuti a riconoscere con quanta ragione S. Pio X condanna la cinquantottesima proposizione modernistica nella quale sono contenute, in un certo modo, le altre sessantaquattro: «La verità non è più immutabile dell’ uomo stesso, giacché essa evolve in lui, con lui e per lui»[6]. È dunque centrata la tesi di un “filosofo implicito”, convertitosi in età matura, secondo cui la civiltà moderno-contemporanea è la massima «rivalsa anti-divina» in quanto originata dall’estremo sovvertimento della religiosità[7]. Stando così le cose, con che faccia i neomodernisti presumono di accordare l’ antropocentrismo col Cristianesimo? Per agire in buona fede dovrebbero essere incapaci di intendere e volere.

L’antropocentrismo svelato da alcuni suoi esponenti

Alle considerazioni ora esposte ne aggiungiamo un’altra, non meno dolorosa: nel descrivere il vero volto dell’antropocentrismo o immanentismo, alcuni suoi esponenti – tra cui addirittura Togliatti, come si vedrà – sono più sinceri dei neomodernisti, capi-partito dell’«antopocentrismo cristiano».

Cominciamo da Heidegger uno dei più noti esistenzialisti, nichilista-immanentista pressoché hegeliano. A suo parere l’umanesimo moderno-contemporaneo, cioè l’ antropocentrismo, non è nient’altro che «un’antropologia […]. Il termine antropologia […] designa […] ogni dottrina filosofica dell’uomo che spieghi e valuti l’ente nel suo insieme a partire dall’uomo e in vista dell’uomo»[8]. Con chiara coerenza, quindi, Heidegger osserva che in questo umanesimo, la cui radice teoretica è – come vedremo – il cogito cartesiano, non si ha più «il regno dell’essente-presente, ma il territorio dell’aggressione»[9]. Perciò uno schietto laicista, valido solo come storico della filosofia, dice davvero bene: «È antropologistico [o antropocentrico] ogni indirizzo di pensiero che tenti di risolvere tutto il significato della realtà in valori umani o ponga l’uomo come punto di prospettiva del tutto […]. Forme di antropologismo possono essere considerati […] l’ esistenzialismo di M. Heidegger e di C. Jaspers»[10].

Va qui precisato che l’ antropocentrismo moderno-contemporaneo è senza confronti più grave di quello antico nelle sue varie forme, a motivo dell’inaudito rifiuto dell’unico vero Dio e a motivo della conseguente negazione dell’autentica dignità dell’ uomo. Non è forse antropocentrismo la rivoluzione di Lutero? Questi caldeggiava un “libero esame” della S. Scrittura ad opera dell’uomo che pure, a suo dire, è privo di libero arbitrio e peccatore in modo irreparabile.

Da questo falsissimo “libero esame” al “dubbio”-cogito di Cartesio il passo è breve. Dopo quell’ impossibile “dubbio” iniziale e universale (impossibile perché il dubbio vero nasce sempre dalla difettosa certezza di qualche verità: cfr. Dante Alighieri, Par., IV, 130 ss) si fa un altrettanto impossibile salto in un cogito che, in seguito al “dubbio” in questione, non può affatto essere personale e, tanto meno, può renderci sicuri della realtà in sé. Pertanto siamo già nel nichilismo, prima radice antropocentrica dell’ ateismo[11], e l’antropocentrismo, che agli innumerevoli sprovveduti sembra la difesa della “dignità dell’ uomo”, si disvela in realtà il nemico numero uno anche della autentica dignità dell’uomo quale il Cristianesimo di sempre la insegna e la difende. Si deve pertanto lamentare che una certa stima verso il cogito, come anche verso Spinoza e Kant, da parte di non pochi pensatori “cattolici di nome” è un errore colossale, destinato a confondere le anime deboli ossia la maggioranza, pietosamente immatura. Tali pensatori, pur rispettabili, trascurano il fatto che immanentisti del calibro di Spinoza, Hegel, Nietzsche, Croce, Gentile, Heidegger e Sartre a ragione ravvisano nel cogito la nichilistico-atea, e quindi antropocentrica, spersonalizzazione della persona reale sia divina, sia angelica, sia umana. Purtroppo, gli stessi immanentisti ora detti continuano e aggravano il veleno antropocentrico insito nel cogito; a proposito del quale uno dei comunisti più famigerati dichiarò: «Il nostro motto è stato sempre: “cogito, ergo sum”»[12].

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È uno sviluppo ideal-materialistico del cogito la proposizione spinoziana, del tutto gnostica, secondo cui «l’ ordine e la connessione delle idee s’identificano con l’ordine e la connessione delle cose»[13]. Soprattutto così si spiega perché Spinoza arrivi a dire: «L’estensione è un attributo di Dio; cioè Dio è cosa estesa»[14]. Se questo non è ateismo antropocentrico-idolatrico, tali termini vanno tolti dal dizionario. Secondo Spinoza, perciò, «gli uomini s’ingannano nel sentirsi liberi […]. Questa opinione consiste solo nel fatto che essi sono consapevoli delle loro azioni, ma ignari delle cause da cui sono necessitati»[15]. Sicché, a parere di Spinoza, la libertà dell’uomo non è nient’altro che una «finzione»[16]. Ma, allora, che senso ha il parlare di “etica” e, per giunta, secondo “un ordine geometrico”? Le due contraddizioni saltano agli occhi. Non per nulla «la filosofia ebraica esercitò un notevole influsso sul sistema di Spinoza»[17].

A questo punto i neomodernisti sarebbero capaci di obiettare addirittura che Spinoza era un “cristiano anonimo o “implicito”, come scrivevano Rahner e Schillebeeckx. Ma a confutare questi sofismi blasfemi è più che sufficiente quanto insegna S. Paolo in Ebr., XI, 24-40; Ivi, X, 28-31; Rom., II, 1-29[18].

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Il nichilismo antropocentrico del cogito e di Spinoza riceve una radicalizzazione in Kant, secondo il quale la nostra conoscenza non può oltrepassare i fenomeni e non può, peraltro, raggiungere il “noumeno” (o cosa in sé), diverso da essi. Ma, allora – osserviamo – Kant sa che c’è questa realtà in sé; dunque egli oltrepassa i fenomeni. Se, infatti, la nostra conoscenza è limitata a questi, come possiamo sapere – contraddizione estrema – che al di là di questi c’è il “noumeno”? L’assurdo è più che evidente; ed è pertanto assurda anche l’opinione kantiana sull’ impossibilità di dimostrare l’esistenza di Dio; e ugualmente assurda è la sostanziale negazione kantiana della vera libertà della persona; persona a cui Kant si permette di sostituire il suo “Io penso in generale”, che non è nessuno e non è niente. Ecco un testo che si può considerare, in un certo senso, un riassunto della posizione kantiana: «Tutto sprofonda sotto di noi [noi chi, se non possiamo valicare i fenomeni?] e tanto la massima perfezione quanto la minima [ma com’è possibile distinguerle se la realtà in sé ci sfugge?] oscillano senza appoggio, semplicemente di fronte alla ragione speculativa alla quale non costa nulla far scomparire senza il minimo ostacolo tanto l’una quanto l’altra»[19]. Nessuna meraviglia che Kant, la cui posizione è un decisivo prodromo all’idealismo, neghi anch’ egli la divinità di Gesù[20]. Si noti: quella “ragione” che, secondo Kant, non conosce la realtà in sé diventerebbe nientemeno che l’arbitra della religione. Se ciò non è ateismo di fondo, si faccia la predetta operazione lessicale, ossia si tolga dal dizionario tale termine[21]. Era ineluttabile che Kant distruggesse la morale stessa con l’antropocentrismo e con l’autonomismo, antimetafisici ed antietici, del suo “imperativo categorico”.

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[1] Corsivo nostro, come anche quello degli altri testi che citeremo direttamente.

[2] M. Lefebvre, Lettera aperta ai cattolici perplessi, tr. it., Spadarolo-Rimini, 1987, p. 98. Cfr., Id., Lo hanno detronizzato. Dal liberalismo all’apostasia. La tragedia conciliare, tr. it., Chieti, Amicizia Cristiana, 2009. Circa l’ineguagliabile diabolicità di siffatto “antropocentrismo” o “umanesimo integrale”, due termini, secondo noi, sostanzialmente equivalenti, v. sì sì no no, 19, 2009, pp. 1-2, dove si fa vedere la continuità antropocentrica fra il discorso di chiusura del Concilio (1965) e le deviazioni dottrinali degli anni Ottanta-Duemila circa.

[3] C. Fabro, Introduzione a San Tommaso. La metafisica tomista e il pensiero moderno, Milano, 1997, 2a ed., p. 9 s. Per la confutazione teoreticamente più radicale delle varie forme di antropocentrismo o immanentismo, v. Id., Introduzione all’ateismo moderno, Roma, 1963, 2a ed., 2 voll.; Id., L’avventura della teologia progressista, Milano,1974; Id., La svolta antropologica di Karl Rahner, Milano, 1974; Id., Riflessioni sulla libertà, Segni, 2004, 2a ed.

[4] Cfr. A. Messineo, L’umanesimo integrale, “La Civiltà Cattolica”, 1956, vol. III, quad. 2549, pp. 449-463.

[5] Cfr. C. Fabro, Problematica del tomismo di scuola, in “Rivista di Filosofia neoscolastica”, 2, 1883, pp. 187-199.

[6] Cfr. tr. it., del Decreto “Lamentabili”, in “Encicliche proibite, Roma, 1972, p. 75.

[7] Cfr. A. Ferrabino, Storia dell’uomo avanti e dopo Cristo, Assisi, 1957, pp. 174-183; Id., Scritti di filosofia della storia, Firenze, 1962, pp. 433-603, 617-644, 653-743, 775-792.

[8] M. Heidegger, L’epoca dell’immagine del mondo, in “Sentieri interrotti”, tr. it., Firenze, 1973, p. 98.

[9] Art. cit., in op. cit., tr. cit., p. 95, nota 9; cfr. Id., Nietzsche, Pfullingen, 1961, vo. II, pp. 90-173.

[10] C. Carbonara, Antropologismo, in “Enciclopedia filosofica”, Firenze, 1967, 2° ed., vol. I, col. 367.

[11] Contro siffatta rivoluzione, spirituale ancor prima che filosofica, cfr. C. Cardona, René Descartes: Discorso sul Metodo, tr. it., L’Aquila, 1975; G. L. Rossi, La perfettissima scienza dell’anima di Cristo, Genova, 1980. pp. 30 ss.

[12] Cfr. “Il Giornale d’Italia”, 19 ottobre 1982, p. 10. Il che corrisponde al titolo del libro di A. Ghinzberg, La supremazia della ragione, New York, 1937.

[13] B. Spinoza, Ethica ordine geometrico demonstrata, P. II, prop. 7, in Opera, ed. Geghardt, Heidelberg, 1925, vol. II, p. 89.

[14] Ivi, P. II, prop. 2, in Opera, ed. cit., vol. II, p. 86.

[15] Ivi, P. II, prop. 35, sch., in Opera, ed. cit., vol. II, p. 117.

[16] Epist., LVIII, A G. H. Schuller, in Opera, ed. cit., vol. IV, pp 265 ss.

[17] E. Zolli, voce Giudaismo, in “Enciclopedia Cattolica”, vol. VI, col. 702.

[18] Cfr. F. Spadafora, San Paolo: le Lettere, Genova, 1990. Id., San Paolo alla conquista dell’impero, Roma, 1983.

[19] E. Kant, Critica della ragion pura, P. II, l. II, c. 3, sez. 5, tr. it., Torino, 1957, p. 635.

[20] Id., La religione entro i limiti della sola ragione, tr. it., Parma, 1967, pp 153 ss.

[21] Quanto all’oggettivo ateismo e al conseguente storicismo di Kant vedi gli acuti rilievi del cardinal Giuseppe Siri, in Getsemani. Riflessioni sul movimento teologico contemporaneo, Roma, 1985, pp. 208-232. Sull’obbligazione spiritualmente liberatrice v. la Dichiarazione della Chiesa in DB 141. Intorno ai danni incalcolabili cagionati da Kant sia sul piano filosofico sia sul piano morale cfr. F. Varvello sdb, Institutiones philosophiae, Pars III. Ethica, Torino, 1930, 5a ed., pp. 61 ss. e 167 ss.

 

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