I “FENDENTI DIRETTI” DI YVES CONGAR, “PERITO” DEL CONCILIO, CONTRO LA TRADIZIONE CATTOLICA

Il tomismo “storicizzato”

Congar nacque il 13 maggio 1904 a Sedan nelle Ardenne. Si definiva «un celtico delle Ardenne», dove celtico è sinonimo di a-romano, se non di anti-romano: «Io sono profondamente celtico e mi riconosco nell’ immagine celtica che delinea [il razionalista apostata] Renan»[1]. Nel 1921, dopo aver iniziato gli studi di medicina, si sentì attratto verso la vita religiosa ed entrò nel seminario di Parigi. Frequentò i corsi del p. Sertillanges e di Jacques Maritain (v. sì sì no no, 31 marzo 2009) per tre anni all’Institut catholique e conobbe anche il padre Garrigou-Lagrange, campione dell’ antimodernismo. Nel 1925 entrò tra i domenicani, prima ad Amiens e poi a Le Saulchoir. Qui sotto la guida di Chenu (v. sì sì no no, 15 dicembre 2009, p. 7) studiò il tomismo “storicizzato”, assai diverso da quello che gli era stato presentato da Maritain.

Congar dichiarò sempre che p. Chenu lo aveva aiutato a non «assolutizzare il relativo […]. Non consideravamo S. Tommaso come un “oracolo” al di sopra del tempo»[2]. Tale espressione è ambigua e sofistica: certamente nessun uomo è un “oracolo” al di sopra del tempo (neppure Congar, che pur si prendeva molto, e forse troppo, sul serio), ma la dottrina rivelata da Dio, definita dalla Chiesa ed insegnata costantemente dai Padri, Dottori e Magistero ecclesiastico, non cambia sostanzialmente col mutar dei tempi. Congar, invece, vorrebbe relativizzare proprio la verità immutabile, con il pretesto di non idolatrare il relativo. Ma “2+2=4” non è relativo e non è soggetto a mutamento, così come la divinità di Cristo, della Chiesa, l’ infallibilità del Papa e tantissime altre formule dogmatiche non sono relative e quindi sono immutabili. Ciò che passa è la gloria di questo mondo, assieme a Congar.

Contro la Tradizione

Congar non solo mal sopportava la ‘filosofia perenne’ delle essenze immutabili propria della prima scolastica tomistica, da lui chiamata “paleo-tomismo” e accusata di essere antiquata, ma entrò in conflitto anche con la teologia che lui chiamava “barocca”[3], cioè con quella del Concilio di Trento e della Controriforma o seconda scolastica (Cajetanus, Ferrarensis, Johannes a Sancto Thoma, Vittoria, Cano, Soto…).

Ordinato sacerdote nel 1930, venne nominato professore di Apologetica o teologia fondamentale. Si servì come base dei suoi corsi di Maurice Blondel (v. sì sì no no, 30 novembre 2009, p.3), del quale lo colpì specialmente e in modo particolare il concetto di Tradizione”[4].

La Tradizione in “moto perpetuo”

Il metodo apologetico d’ immanenza del Blondel, però, sul quale Congar fondò i suoi corsi, era stato condannato dalla Chiesa e condannata era stata (1893) altresì la sua definizione di verità, non più, come per la filosofia perenne (Aristotele e San Tommaso), conformità dell’ intelletto alla realtà (“adequatio rei et intellectus”), ma adeguazione del pensiero umano alle esigenze sempre mutevoli della vita (“adequatio vitae et intellectus”).

La seguente 5a proposizione condannata dal Sant’Uffizio il 1° dicembre 1924 è tratta, infatti, da L’Action di Blondel: «la verità non si trova in nessun atto particolare dell’intelletto, nel quale si avrebbe la conformità con l’oggetto conosciuto, come dicono gli scolastici, ma la verità è sempre in divenire e consiste in un’adeguazione progressiva dell’intelletto con la vita, e cioè in un certo moto perpetuo con il quale l’intelletto si sforza di interpretare e spiegare ciò che l’esperienza produce o l’azione esige, in modo, però, che in tutto il procedimento non si abbia mai nulla di determinato e di fisso” (v. sì sì no no, 31 gennaio 1993).

È l’errore fondamentale dei modernisti, dei quali San Pio X ha scritto che “pervertono l’eterna nozione di verità” (Pascendi) perché per essi la verità “non è più immutabile dell’uomo stesso, giacché si evolve in lui, con lui e per lui” (Lamentabili prop. 58).

A questo “moto perpetuo” i modernisti sottomettevano anche la Verità rivelata e quindi la Tradizione dommatica (v. Pascendi) e con loro i neomodernisti, Blondel e i “nuovi teologi”, incluso Congar, per il quale la Tradizione è “vivente” nel senso che è “sempre in divenire” per la necessità di adeguarsi alle esigenze sempre nuove della vita e della “storia”; errano, perciò, secondo lui, sia coloro che identificano la Tradizione con le “idee ricevute” (conservatorismo) sia coloro che fanno un’ accoglienza troppo larga alle “novità” (progressismo): per Congar ogni sviluppo e accrescimento della Tradizione (“riformismo”) va sempre confrontato con le sue “radici”, (solo “radici”, si badi) che egli protestanicamente, riduce al “sola Scriptura” di Lutero (v. Y. Congar La Tradizione e la vita della Chiesa, San Paolo, Catania, 1964, pp. 188-192).



[1] J.P.Jossua, Le père Congar. La théologie au service du peuple de Dieu, Parigi, 1967, p. 43. Questo “complesso antiromano” caratterizza tutta la teologia del “celtico” Congar, ispiratosi al modernista, razionalista e apostata Renan.

[2] J. Puyo-Y. Congar, Jean Puyo interroge le père Congar. “Une vie pour la verité”, Parigi, Le Centurion, 1975, p. 43 e 38.

[3] F. Ardusso, op. cit., p. 344. Cfr. A. Nichols, Yves Congar, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1991, p. 9.

[4] A. Nichols, Yves Congar, Cinisello Balsamo, Edizioni Paoline, 1991, p.13.

 

 

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