Arte religiosa e Vaticano II

L’Istruzione del Sant’Uffizio del 30 giugno 1952 fornisce le regole riguardanti la retta concezione dell’arte ecclesiastica o sacra, di modo da escludere dalle chiese cattoliche (nella loro architettura, come nelle loro immagini e decorazioni) tutto ciò che non è conciliabile con lo spirito della cultura cattolica e della divina liturgia.

Il professor Hans Sedlmayr, tedesco, nato ad Hornstein nel 1896 e morto a Salisburgo nel 1984, docente prima all’università di Vienna (1934-1950) e poi dal 1951 in quella di Monaco, è uno dei maggiori storici dell’arte del Novecento. Severamente critico dell’arte moderna in quanto non corrispondente alla nozione oggettiva di bello, che è stata egregiamente esposta da Aristotele e San Tommaso, inviò nel 1962 al concilio Vaticano II un “Memorandum sull’arte ecclesiastica cattolica”, rifacendosi alla suddetta Istruzione del 30 giugno 1952, onde mettere in guardia contro il pericolo dell’ introduzione dell’arte moderna anche negli edifici sacri. Ma invano. Lo scempio architettonico che oggi è sotto i nostri occhi (cfr., ad esempio, la nuova “chiesa” di San Giovanni Rotondo) deve farci riflettere. Infatti esso non è casuale, ma è l’ applicazione pratica dei princìpi della “nuova teologia” antropocentrica del Vaticano II all’arte sacra, che è diventata così orizzontale, immanentistica e dissacrata. Lo studio del Sedlmayr ci aiuterà a capire meglio quali sono i princìpi della sana ragione e della retta teologia riguardanti il bello e l’arte sacra contro quelli della ragione impazzita e della teologia deviata della modernità e post-modernità, i quali discendono dal modernismo, neo-modernismo e post-modernismo.

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L’Autore scrisse, nel 1962, al concilio dicendo che: «Queste regole [del S. Uffizio, 1952] non implicano né un’accettazione timida di ciò che è mediocre, né alcuna volontà di permettere che l’arte sacra stagni, senza rinnovamento» (H. Sedlmayr, La rivoluzione dell’arte moderna. Memorandum sull’arte ecclesiastica cattolica, Siena, Cantagalli, 2006, p. 167). Egli cita Pio XII (Discorso agli artisti italiani, 8 aprile 1952): «La funzione di ogni arte consiste nell’ infrangere il recinto angusto e angoscioso del finito […]. Da ciò ne segue che ogni sforzo, inteso a negare qualsiasi rapporto tra religione ed arte, risulterebbe menomazione dell’ arte stessa, poiché qualsiasi bellezza artistica […] non può prescindere da Dio […]. Non si dà dunque, come nella vita così nell’arte […], l’ esclusivamente “umano”, l’ esclusivamente ‘naturale’ od immanente. […] L’arte rispecchia l’ infinito». Il Sedlmayr aggiunge: «Il talento artistico […], ogniqualvolta non è diretto verso il sole divino non può generare buoni frutti. […] La bellezza artistica non risiede alla superficie delle cose» (La rivoluzione dell’ arte moderna…, cit, p. 169). L’arte che vorrebbe rappresentare la pura immanenza, negando la Trascendenza, è un’arte falsa, poiché non conforme alla realtà creata, la quale dice ordine essenziale e necessario alla Trascendenza increata. Ogni sensismo filosofico (anche se non esplicitamente ateo) che si rifiuta di andare oltre le apparenze, i fenomeni o gli accidenti per cogliere la realtà, l’essere, le essenze, è radicalmente antimetafisico e quindi irreale e falso, per cui da esso non potrà derivare che una concezione falsa ed errata dell’arte, in quanto negatrice del principio di causalità: “ogni effetto presuppone una causa”.

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Nel Settecento e Ottocento, continua l’Autore, l’arte cristiana europea «si colloca in antitesi all’arte secolarizzata del mondo moderno che si è alienata dalla Fede» (ibidem, p. 170). I movimenti artistici contemporanei non solo sono a-cristiani, ma addirittura anti-cristiani. Onde essi sono a-reali e anti-reali. Il Sedlmayr cita, come esempio di arte anti-cristiana il Surrealismo: «Esso prende origine da una visione del mondo ostile al cristianesimo» (ivi). Essendo surreale, ossia negando la realtà creata da Dio, è irreale. Come “la grazia presuppone la natura, non la distrugge, ma la perfeziona” (San Tommaso), così un’arte a-reale o irreale è immancabilmente a-soprannaturale e anti-soprannaturale: presupponendo che la realtà venga causata dall’uomo, la riproduzione artistica di essa sarà falsata sia nell’ ordine naturale che in quello soprannaturale.

Anche il puro Estetismo (il bello separato dall’essere, dal reale, dal vero e dal bene), eleva la bellezza irreale a livello di idolo, che fa colpo anche se è avulso dalla realtà. È una sorta di narcisismo o di idolatria della bellezza esteriore, finita e contingente, messa al posto del Bello stesso sussistente che è l’Essere stesso sussistente o l’Atto puro.

Il terzo pericolo è la deificazione dello “Spirito dei tempi”, che ha usurpato il posto che lo Spirito Santo (eterno e immotus in se permanens, hodie heri et in saecula) occupa nella vita del creato e dei cristiani. Perciò un’arte che vuol rimpiazzare lo Spirito Santo con la moda attuale è prometeica, titanica o luciferina, in quanto mette lo “Spirito dei tempi”, ossia la moda, al posto di Dio Creatore e Signore del cielo e della terra.

È quello che si è avverato nell’ arte dissacrata e dissacratoria nata dallo “Spirito del concilio”, che ha messo, con la svolta antropologica della nouvelle théologie, l’uomo o la natura al posto di Dio. Questa “contr-arte” (figlia della “contro-chiesa”) è definita dal Sedlmayr come “avidità per tutto ciò che è nuovo”, “conformarsi, ad ogni costo, ai mutamenti dello stile di vita e della moda” (secondo la nuova definizione di verità data dal Blondel: “adaequatio mentis et vitae”), pensare che l’essenziale è “essere dipendenti e ancorati all’espressione del tempo attuale”. Ed invece essere incatenati all’ultima moda significa esserne schiavi. L’arte, in quanto vera, ci rende liberi, fuori o, meglio al di sopra dei tempi, come manifestazione e riproduzione dell’eterno, dell’a-temporale, nello spazio di tempo in cui ci troviamo a vivere. Gesù ci ha insegnato che dobbiamo essere “in questo mondo ma non di questo mondo”, ossia che non dobbiamo averne lo spirito o la mentalità (che è quella delle tre concupiscenze: piaceri, ricchezze e onori) pur vivendo in esso in quanto uomini in carne ed ossa che vivono in un determinato spazio di tempo e di luogo, ma secondo lo spirito o la filosofia del Vangelo (che è quella dei tre consigli: mortificazione, distacco e umiltà). Lo “Spirito dei tempi” o della modernità è quello che ha emancipato filosoficamente l’uomo da Dio, onde l’arte religiosa che volesse adattarsi allo “Spirito dei tempi” sarebbe un’arte impoverita, «isolata dal Trascendente, in un mondo che è completamente “creato” da lui solo» (p. 172). Questo spiega la “inimicizia verso la natura” dell’arte moderna (ivi).

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Anche il soggettivismo artistico è inconciliabile con l’arte religiosa, poiché vorrebbe rendere il soggetto “creatore” della realtà, seguendo la strada aperta in filosofia da Cartesio, in religione da Lutero e in politica dal liberalismo che scambia la libertà vera, che è libertà di fare il bene, con il capriccio di poter fare tutto ciò che piace. Onde l’arte soggettivista propugna una «sottomissione alle “visioni private” di artisti che rifiutano ogni responsabilità» (ivi), ossia rifiutano la natura razionale e libera dell’uomo, fatto per conoscere la realtà extra-mentale adeguandosi ad essa e non per rifugiarsi in una sorta di “sogno ad occhi aperti” simile al mondo illusorio del drogato, che ha rinunciato alla sua ragionevolezza e alla libertà responsabile dei propri atti. Queste correnti pseudo-artistiche, avendo rotto con la realtà, hanno rotto anche con la grazia, che “presuppone la natura e la perfeziona senza distruggerla” (San Tommaso d’ Aquino), e sfociano o in un naturalismo, radicale o in un esagerato falso soprannaturalismo, che può venir definito come “apparizionismo artistico”.

Il bello, invece, non è qualcosa di puramente soggettivo. San Tommaso lo definisce “ciò che, visto, piace”, ossia ciò che “aggrada alla conoscenza”. Gli elementi del bello sono essenzialmente tre:

a) l’integrità. Infatti le cose monche, in quanto incomplete o prive di integrità, sono deformi e non piacciono alla retta ragione che è ordinata a conoscere la realtà nella sua interezza. Ad esempio una statua alla quale un barbaro ha staccato un braccio o la testa è brutta e va restaurata. Così un uomo senza gambe (non forzatamente, però, una donna”senza cervello”);

b) la proporzione o armonia: le parti di un tutto debbono essere armonizzate e armoniche tra loro; per esempio, una testa più grande del busto sarebbe mostruosa, le gambe più corte delle braccia idem, un quadro di Picasso con l’occhio al posto del piede, la mano più grande del corpo è oggettivamente brutto, poiché sproporzionato o disarmonico;

c) lo splendore o “claritas”: ciò che ha colori nitidi, chiari e splendenti è bello (come il sole), ciò che è grigio, sbiadito e oscuro è brutto (come la nebbia, con buona pace della “Padanìa”); solo se si combina lo scuro con il chiaro, che così risalta maggiormente grazie al contrasto voluto e proporzionato, ne risulta il bello (per esempio Caravaggio).

Tenendo presenti queste considerazioni, si capisce perché l’arte “religiosa” conciliare sia oggettivamente brutta, in quanto discende da una filosofia falsa, da una teologia senza “Dio come centro” e dunque da una “fede” falsa, poiché “sine Fide non remanet Theologia”.

Bruto Bellini